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FEBBRAIO 2021

     

 (Continua la storia di Maria Luisa)

FINALMENTE A CASA

Capitava che Gino o Domenico dimenticavano la chiave del portone, e allora chiamavano dalla finestrella della strada che dava luce e un po’ di sole alla camera, noi eravamo già a letto, e allora borbottavamo, perché nessuno aveva voglia di alzarsi per andare ad aprire: Alla fine si alzava Pierina o Rachele, borbottando. Quando capitava che mio padre era a casa, poveretto, si alzava lui, e sentivo il suo respiro affannoso e la sua tosse durante il tragitto. Mi faceva tanta pena, perché gli volevo tanto bene, nonostante fossi vissuta poco a casa mia, e quelle poche volte che c’ero stata. Lo vedevo poco, per i suoi frequenti ricoveri in ospedale. Non avevo mai avuto occasione e modo di dirgli che gli volevo bene, e nemmeno lui, naturalmente. Però, una volta, ebbe modo di farlo. Avevo avuto la febbre, e mi era venuto l’herpes alle labbra. Per non so quale motivo avevo litigato con Rachele che mi diede uno schiaffo, colpendomi proprio alle labbra, facendomi sanguinare perché mi aveva staccato la crosticina che si era formata. Mi misi a piangere e mio padre, quando mi vide quel sangue, inseguì Rachele rimproverandola: “Non la dovete toccare, nessuno deve toccare la bambina”. Poi ritornò da me per vedere cosa mi aveva fatto Rachele, ripetendo: “Nessuno di deve toccare”. Per la prima volta mi sentii un po’ protetta da mio padre. Se lui avesse visto il modo come mi trattava la signora Anna!!!...

La sera mancava quasi sempre qualcosa per la cena. Vicino casa mia c’era una piccola salumeria dove la mamma comprava, spesso anche a credito. La padrona della salumeria si chiamava donna Carmela. A volte ci andavo io a fare le compre, e avevo paura a fare quella strada, perché buia e isolata, specialmente in alcuni tratti. Io che sono stata sempre paurosa, più paurosa delle mie sorelle, siccome a quei tempi ci si poteva imbattere in tipi strani, soprattutto la sera, e quando mi accorgevo di qualcuno che mi seguiva, il cuore incominciava a battermi forte e acceleravo il passo. A volte qualcuno mi faceva qualche complimento piacevole, ma più spesso erano gesti e parole sgradevolissimi e allora correvo all’impazzata e arrivavo a casa arrabbiata e col fiatone. Minacciavo: “Basta! non ci vado più da sola da donna Carmela”.

Certe volte, donna Carmela, mi chiedeva i soldi e mi diceva: “Dillo a tua madre, mi deve saldare il conto, altrimenti non vi do più niente”. Io a queste parole, provavo vergogna, e capivo che mamma si dava da fare per guadagnare qualche soldo, non ce la faceva a tirare avanti e mi rattristavo.

Venne la primavera e si avvicinava il tempo della mia comunione. Io andavo al catechismo, nella vicina Chiesa di Cristo Re, situata in corso Italia, una delle prime Chiese costruite dopo la guerra: Infatti, rispetto a tutte le altre, era la più nuova e moderna.  

Io stringevo sempre amicizia con Enza, la figlia minore della famiglia che abitava in uno di quegli scantinati del corridoio del sottoscala. Già di Enza parlai di quando mangiammo il pane duro bagnato con l’acqua. Era scherzosa, e io che mi divertivo di tutto quello che facevano gli altri, notavo la differenza che c’era tra me e gli altri, e ne soffrivo tanto, perché notavo che la mia presenza non contava niente, anche se qualche rara volta prendevo qualche iniziativa. Ma tutto era inutile, non contavo niente e così mi chiudevo sempre di più nel mio intimo. Cercavo di godere di ogni cosa, e desideravo essere sempre presente, di non essere esclusa dagli altri. Forse per me era come rifarmi degli anni che avevo perso quando ero con la signora Anna. A volte provavo gelosia, perché pensavo che le mie sorelle volessero più bene alle loro amiche che a me, e nel mio cuore aumentava la tristezza, e rimpiangevo di non essere stata tutti quegli anni con loro, e di non aver goduto di tutte quelle cose che loro avevano fatto man mano che gli anni passavano. Pensando a tutto quello che era potuto accadere durante la mia assenza da casa, sia di bello che di brutto, e come quando ero dalla signora Anna, mi chiedevo: “Perché io, perché proprio io?” E mi sentivo più vicina a Gianni che, come me, era stato allontanato da casa e anche lui aveva avuto le sue pene.

Comunque cercavo di ottenere più simpatia, sia in famiglia, sia presso le amiche o le persone che mi dimostravano affetto o simpatia, e mi sentivo meno infelice.

Cercavo di farmene una ragione: allontanandoci da casa, mia madre lo aveva fatto per necessità. E vedere mia mamma, fare tanta fatica per la sua famiglia, ne soffrivo, mi faceva tanta pena e tenerezza, e provavo per lei un grande amore.

Anche da nonna Rosa, cercavo di ottenere più affetto e confidenza, come ce l’aveva con Pierina e Rachele. La nonna aveva altri figli, di cui lo zio Giovanni, che abitava a S:G: Galero. Qualche volta, Pierina o Rachele, accompagnavano la nonna da suo figlio Giovanni, pensate un po’, a piedi! Alcune volte rimaneva da suo figlio o da sua figlia Carmela, e poi, noi, andavamo a riprenderla. Ricordo che diceva che non stava volentieri con altri, perché era abituata con noi. fu così che andai a finire, per più di un mese, dallo zio Giovanni.

Non ricordo come fu presa questa decisione: Credo che fu perché mi aveva notato quando qualche volta portavamo la nonna Rosa da lui. Lo zio Giovanni era sposato e senza figli. Aveva una piccola bottega che faceva anche da abitazione e da osteria. Avevano anche tanti animali da cortile, polli, galline, conigli e colombe. Di lavoro ce ne era abbastanza e forse, vedendomi volenterosa e disponibile, visto che la mamma di figli ne aveva tanti, avrà chiesto a mia madre di lasciarmi per un po’ di tempo da loro, per fare compagnia alla zia durante il giorno, quando lui scendeva a Catania per il suo lavoro. E fu così.

Io andai mal volentieri, perché, proprio quando stavo assaporando la mia permanenza a casa, dovetti staccarmi di nuovo da ciò che tanto amavo.

La moglie dello zio si chiamava Peppina. Era una donna pienotta, e aveva un seno talmente evidente, che quando arrivava lei si vedeva prima il seno, e poi quando stava dietro il banco, il seno lo poggiava sul bancone. Insomma, mi faceva un po’ ridere, però, tutto sommato, si rendeva simpatica.

Spesso trovavo le galline accovacciate nei cassettoni del dietro banco, dove teneva la pasta o il granoturco. Lì trovai un gran da fare. La zia Peppina mi fece pulire tutta la casa, e notai che era un po’ trascurata. Non che la zia non fosse pulita, ma siccome badava alla bottega e preparava qualcosa di caldo per gli operai che venivano verso le dodici, non le rimaneva tempo disponibile per le pulizie della casa. Ricordo che lustrai tutti i banconi, il pavimento, i tavoli, le panche e tutte le stoviglie. Lavorai e lavorai, e misi tutto a nuovo. Ogni persona che veniva chiedeva di me e la zia rispondeva orgogliosa: “È mia nipote, figlia di una sorella di mio marito”. Mi guardavano incuriositi e poi mi facevano dei complimenti: “Ma guarda che bella nipote che ha, e che occhi belli!” Dicevano anche che da quando c’ero io tutto era cambiato, che tutto era ben pulito e facevano altri bei complimenti rivolti a me. poi, quando venivano gli operai per mangiare, ricevevo altri complimenti e notavo che mentre mi davo da fare, aiutando la zia a servire, e prendere dalla botte il vino o le gassose, mi davano certe occhiate che mi mettevano in imbarazzo. Sentivo addosso certi sguardi che mi scrutavano e mi davano un certo fastidio, però allo stesso tempo me ne compiacevo.

Da un po’ di tempo, in me, si era svegliato quel qualcosa che una tredicenne inizia a sentire. Io stessa costatavo che mi stavo facendo veramente bellina. Vedevo il seno crescere da un giorno all’altro, e vedevo il mio corpo formarsi piano piano a donnina. Pertanto, quando qualcuno mi faceva dei complimenti, provavo piacere, e sentivo un’emozione che prima non sentivo, e la mia testolina continuava a sognare sempre si più.

(Continua al numero successivo)

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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