(Continua la storia di Maria Luisa)
Quella stessa estate ci trasferimmo nella sua villa che ancora non era del tutto finita, perché doveva essere completato il bagno e impiantarsi le porte.
Il podere era un terreno stretto e lungo, e un po’ prima della sua metà c’era la casa. All’ingresso del cancello c’era una piazzetta, dal centro della quale partiva un lungo viale che andava a finire in una grande terrazza da dove cominciava la casa. Davanti a questa terrazza c’erano due balconi, uno per la camera da letto e l’altro dava nella sala da pranzo. La terrazza continuava sul lato destro dove al centro c’era il portone d’ingresso, con un largo corridoio, a sinistra c’erano le due camere che già ho descritto, a destra c’erano le varie porte che portavano nel soggiorno, in cucina e nel bagno. La terrazza che iniziava davanti la casa che girava fino a queste ultime che ho descritto.
Alla fine di questo terreno, stavano costruendo un’altra casetta piccola. Sia davanti che dietro la casa, la signora aveva fatto piantare tante piante da frutta, e solo davanti c’erano fiori.
Anche lì c’era tanto lavoro da fare. Intanto con i muratori sempre in giro si pestavano sempre calcinacci e io, quindi, dovevo sempre pulire, e continuare dare acqua alle piante. Devo dire che dare l’acqua alle piante, per me era un modo per isolarmi da tutto e da tutti, e questo mi dava un po’ di sollievo, perché potevo stare a pensare. Pensavo sempre a casa mia, e mi chiedevo come vi andassero le cose. Poi mi accorgevo che nella mia testolina di dodicenne si formavano pensieri e visioni, e arrossivo se qualcuno faceva dei complimenti alla signora Anna per me. che bella ragazzina! Quando sarà più grande farà girare gli uomini. Fantasticare e sognare mi piaceva tanto. Certe volte, mentre innaffiavo le piante, si avvicinava la signora e s’interrompevano i pensieri che frullavano la mia mente. Mi raccomandava di non dare troppa acqua, oppure mi diceva che a quella pianta ne avevo data poca, che sprecavo molta acqua di qua e di là, e mi diceva anche di star attenta
a non bagnarmi i piedi. Non capiva che me li bagnavo apposta, perché mi piaceva; col caldo che c’era provavo un senso di benessere.
Notavo che il suo modo di fare dava fastidio a tutti: Anche ai muratori faceva osservazioni, come se fosse competente su tutto, e spesso litigavano pure. Andava dicendo che solo suo padre era stato un bravo costruttore.
La sera quando andavo a letto avevo paura, perché come ho detto, mancavano ancora le porte e le finestre, in alcune c’erano accomodate delle tavole. Dormivo in fondo al corridoio. Durante i temporali estivi, poi, avevo tanta paura dei tuoni e dei lampi che filtravano attraverso le tavole che erano davanti al portone, e che illuminavano tutto il corridoio; il cuore mi batteva forte forte e mi nascondevo sotto il lenzuolo, ma la luce la vedevo lo stesso.
Accanto a noi c’era un’altra bella villa, con tanti fiori e piante ornamentali. I proprietari di questa villa, avevano una figlia più o meno della stessa mia età. Io avrei voluto essere sua amica, ma la sentivo distante, e questo, come sempre, mi faceva soffrire. Avevamo conosciuto anche dei contadini da cui compravamo le uova, polli ruspanti e il pane di casa, che era buonissimo.
C’era una cosa che mi piaceva tanto fare; andare a prendere il latte. Mi piaceva perché la latteria era in un posto bellissimo. Ogni mattina uscivo da un piccolo cancello che si trovava alla fine del podere (accanto all’atra casetta che stava facendo costruire la signora Anna). Mi immettevo in una piccola “trazzera”. Mentre facevo la strada sentivo davanti cattivi odori, o di fiori o di piante selvatiche, che lungo la trezzara erano abbondanti come i giardini di agrumi ai suoi lati. Ogni mattina la mia fantasia si metteva in moto, e vedendo una farfalla, sentendo cantare un uccellino, avrei voluto essere come loro. Poi, quando uscivo da questa trezzara, prendevo la strada provinciale che era la stessa strada che facevamo quando la sera andavamo a Viagrande. Era, e lo è ancora, un bel viale alberato. Dopo nemmeno una ventina di metri, entravo per un grande cancello antico, indicava che il luogo era proprietà di gente ricca. Per arrivare dove mungevano il latte, dovevo attraversare un lungo viale. Era un po’ in salita e ad ogni metro circa c’era uno scalino. Alla mia sinistra c’era una grande casa antica. Alla fine di questo viale c’era una grandissima stalla, dove c’erano tante mucche e diverse persone che mungevano il latte. Io davo loro il contenitore e loro me lo riempivano.
Per me tutto era nuovo, soprattutto le mucche e vedere mungere il latte. Provavo delle sensazioni che non mi sapevo spiegare: Per me era tutto bello, così naturale, persino romantico. Forse per me la parola più giusta era “romantica”. Si, romantica, io stesso stavo diventando una romantica, una sognatrice ad occhi aperti. Per me, ogni mattina andare a prendere il latte in quel luogo era bello e gli alberi, la trazzera, le persone, le cose erano uno spettacolo di bellezze. Quella mezzora che trascorrevo sognando, mi ripagava per tutto il resto della giornata, bella o brutta, che dovevo trascorrere.
Alla fine, anche se più lunga e più laboriosa, finì anche quell’estate.
Ritornati a Catania sistemammo tutte le cose secondo il solito.
L’anno seguente, il 1954, dovevo prepararmi per la prima comunione e cresima, che si facevano nello stesso tempo. La mia madrina doveva essere la signora Anna. Ero di già in ritardo con l’età, come lo ero per la scuola..
Avevo sentito dire dai miei che mia sorella Rosa sarebbe tornata da Genova a Catania, definitivamente. Ci fu anche una brutta notizia, quella della morte improvvisa del marito della signora Tina. Si trovavano in campagna per la vendemmia.
Non ricordo bene, quanto tempo era passato dalla morte del cognato della signora, quando mia madre decise di parlare con la signora Anna, riguardo alla mia dote. Infatti la signora Anna, quando mi prese con sé, promise alla mamma che avrebbe pensato tutto lei per il mio corredo e per una casa. Mia mamma, suppongo che abbia detto: Vista la morte improvvisa di suo cognato, starei più tranquilla se quello che deve fare a Luisa, lo facesse quanto prima, e desidererei che lo facesse per iscritto. Con ciò, non voglio dire, me ne guarderei bene, che debba succedere la stessa cosa a lei. Ma, sa come vanno queste cose! Io starei più tranquilla.
La signora si offese e disse a mia madre. “Ma… tu pensi a queste cose! Dicendo così pensi che io posso morire da un momento all’altro?” Insomma, tra loro ci fu un po’ di discordia, che credo fu superata presto.
Al cinema ci andavo sempre più volentieri, e notavo sempre di più che quando c’erano scene d’amore mi turbavo e quando ero a casa, mentre facevo le pulizie, fantasticavo sui film che più mi piacevano. A volte parlavo da sola imitando scene o ballando, o piangendo, per finta s’intende, anche se talvolta le lacrime mi spuntavano veramente.
Quando non andavo al cinema, ci sedavamo dietro le vetrine del balcone.
Loro due si sedevano nel balcone della loro camera da letto ed io in quello del salotto. Stando ferma, sentivo un freddo da morire, lottavo con i miei geloni che mi facevano sempre soffrire. Certe volte sentivo il signor Angelo che stuzzicava la signora, e lei gli diceva: “Sta fermo che Luisa ti può sentire”. Io sentivo e ridevo in silenzio.
(Continua al numero successivo)