(Continua la storia di Maria Luisa)
Stimolata dalla psicologa e dall’assistente sociale, mi venne di nuovo la forza di ricominciare a scrivere la mia storia e devo dire che ci sono riuscita, scrivendo tra un colloquio e l’altro, tra un aerosol e l’altro e qualche volta anche la sera prima di andare a letto.
“Ci riuscirò!!!” Di questo devo ringraziare la signora Anna per avermi mandata a scuola, perché altrimenti non avrei potuto fare quello che sto facendo: “Scrivere la mia storia”.
Dopo questa parentesi riprendo la storia da dove l’ho lasciata.
Ritornata dalla signora Anna, ritornarono le mie pene, le mie paure e le mie ansie.
Ricordo una sera, mentre sparecchiavo la tavola, che, come sempre, loro pranzavano nella stessa camera da letto, dove c’era un tavolo rotondo, non tanto grande, ed era messo vicino al balcone e alla porticina che dava nel piccolo corridoio. Di fronte al corridoio c’era una credenza di quelle antiche di colore celeste che si usavano una volta.
Io avevo preso i piatti puliti che erano rimasti sul tavolo e li stavo rimettendo dentro la credenza. Non ricordo e non so come questi piatti mi caddero dalle mani: Tutto quel rumore e la vista di quei piatti tutti frantumati a cui lei teneva tanto (in verità teneva a tutte le sue cose, anche a una piccola cosa da nulla), mi portarono subito alla disperazione. E ne avevo ragione perché sentii la voce della signora stridula e rabbiosa che mi investì. Indietreggiavo verso la cucina, pioveva e sentivo la pioggia con furia sui vetri, lampeggiava e tuonava. Ero atterrita vedendo la signora Anna venire verso di me: Dissi qualcosa, forse che non avevo rotto i piatti apposta o che non sapevo come fossero caduti, e sentivo il viso bagnato di lacrime. Comunque dovetti impressionare la signora perché ad un tratto si fermò dicendo: “Fermati, Luisa, non aver paura, non è successo niente”.
Chissà! Forse avrà avuto paura che mi buttasi dalla finestra che stava alle mie spalle o forse ero talmente stravolta in viso che in lei si era svegliato un po’ del suo lato umano e le feci pena o tenerezza. Era la prima volta che mi trattava a quel modo malgrado quello che mi era successo.
Strano! Dopo tutto, quella volta il guaio era successo proprio a me, non, come altre volte, era stato il signor Angelo a fare il danno e poi la colpa ricadeva sempre su di me.
Quella sera non ricordo bene cosa sia successo dopo, però sentivo anche il signor Angelo dire: “Non spaventare Luisa, non fare niente, adesso i piatti rotti li raccoglie “a signora”. Perché lui reagiva secondo il comportamento della moglie, proprio perché anche lui aveva un certo timore della signora Anna.
Per come mi trattò quella sera, provai per lei, un nuovo sentimento. Tra me dicevo: “Se fosse sempre così sarebbe tutto più bello, forse le vorrei un po’ di bene”. Ma questo non era facile, né per me né per lei.
Una volta mi trovai sola a casa con il signor Angelo, gli venne una crisi e come al solito lo aiutai come potevo. Si trovava a letto e a furia di sbattere la testa contro il comodino, dalla fronte gli vidi uscire del sangue. Alla vista di quel sangue che gli cadeva lungo il viso, ebbi tanta paura. Fortunatamente arrivò la signora, e si rese subito conto di quello che era accaduto, si dette subito da fare, chiamò un dottore e non ricordo quanti punti di sutura ci vollero.
Devo dire che la signora era di carattere molto forte. Prendeva qualsiasi situazione con grinta, coraggio e una forza che un uomo non avrebbe avuto.
Come ho già detto, la musica a me piaceva tanto, sin da piccola e mi piace ancora.
Ricordo una canzone che canticchiavo un po’ balbettando quando ero ancora a casa mia. Avevo circa cinque anni. La canzone diceva. “È triste il mio cuore”. Credo che il suo vero nome fosse proprio “Tristezza”.
I miei dicevano che non solo mi piaceva questa canzone, ma anche tante altre napoletane: “O sole mio” che cantava proprio bene mio fratello Gino. “Viri u mari quantu è bello”. Poi la mattina quando la radio apriva le trasmissioni, sentivo con dolcezza la sigla musicale tutta a suon di campane. Era bellissima. Ricordo che mi piaceva tanto e a volte piccola com’ero mi commuovevo a sentirla, mi sembrava di essere in Paradiso.
Poi cominciai ad apprezzare anche la lirica che finì per piacermi ancora di più. A farmela amare ed apprezzare ci pensava il signor Angelo. Quante volte notavo che si asciugava gli occhi, ed io , come una stupida. lo seguivo commossa da tante romanze. Man mano che crescevo imparavo a cantarle come meglio potevo.
Un giorno ebbi la gioia di andare per la prima voltala Teatro Massimo Bellini. Nino, il marito di Maria, era impiegato al Comune di Catania ed inoltre nella stagione lirica faceva la maschera al teatro. La signora, conoscendo Nino da molto tempo, prima che fosse il marito di Maria, gli chiese dei biglietti per due poltrone al teatro. Ricordo che per quella occasione, la signora mi aveva ammodernato un cappottino di velluto verde militare. Alle spalle c’erano dei volantini che cadevano sulla manica. Era il mio primo cappottino, ricordo che mi piaceva tanto, non mi importava che fosse stato di Laura, mi piaceva e basta. Avevo anche le scarpe verdi di camoscio, tipo alla “Mary Poppins”, non credo che fossero appartenute anch’esse a Laura, perché avevano un po’ di tacco. Forse erano della signora Lina, perché lei aveva il piede piccolo.
Mi sentivo importante, mi sembrava di essere ben vestita. Non ricordo come arrivai al teatro, ma l’ingresso, quello si che lo ricordo. Rimasi incantata da bellezze che non avevo visto mai: Tendaggi di velluto color cardinale, il grande palcoscenico, le luci, le poltrone di colore uguale alle tende: Dovunque girassi gli occhi, vedevo tutto incantevole. E poi la gente, tutta quella gente elegante! Mi sentivo confusa e quasi sperduta. Non ricordo bene dove ero seduta, se con Maria o da sola, però ricordo che di tanto in tanto mio cognato Nino veniva a controllare.
Davano la Traviata di G. Verdi che in parte conoscevo per averne sentito dei brani alla radio. Alla fine dell’opera, quando la protagonista muore, ricordo che piansi. Ancora non capivo tanto bene cosa significasse emozione, commozione, sensibilità, però notavo che per ogni minima cosa mi commuovevo, mi immedesimavo nel personaggio che più mi piaceva. Spesso, mentre facevo le pulizie di casa, imitavo qualche scena, ballavo o cantavo, e a furia di vedere più volte certe scene, imparavo a memoria alcune parti e dicevo tra me: “Ah! Se potessi essere come una di loro come sarebbe bello”!
A svegliarmi da questi sogni ci pensava la signora Anna, che mi chiamava: “Luisa cosa fai, dormi?” Sbrigati, altrimenti non farai in tempo per andare a scuola.
Sentendo ciò ritornavo alla realtà e sentivo in me delusione e amarezza e non avevo voglia di fare più niente. Ero stanca già, a quella età.
Avevo sempre una grande voglia di andarmene a casa mia, e non volevo fare più quello che mi comandava la signora: Fai questo, fai quell’altro; qui non è stato pulito bene. Non è vero che l’hai fatto, sei bugiarda. Eppure, rodendomi dentro, incassavo quel “bugiarda” che proprio non sopportavo, e ripulivo quello che per lei non era stato fatto.
PENSAVO SEMPRE CASA MIA
La sera mi ritrovavo al solito da sola nel mio lettino con tanti pensieri che mi passavano per la mente e pensavo: Chissà che fanno a casa mia? Pensavo a Pierina e a Rachele che, anche se avevano il loro da fare, avevano anche il tempo di giocare, potevano stare insieme soprattutto la sera, e li vedevo seduti intorno alla “conca”, il braciere. Chissà cosa si raccontano, pensavo anche a Gianni che come me doveva stare lontano dalla sua famiglia.
Al pensiero che soffrisse come me mi rattristavo ancora di più e alla fine piangevo.
(Continua al numero successivo)