(Continua la storia di Maria Luisa)
La signora di cui sto parlando è “la mia madrina”. Vi spiegherò in seguito come lo è diventata. Nel frattempo mi aveva sistemata come dormire. Dunque, la casa era composta con un ampio ingresso, a destra si andava nel salotto che dava sulla strada principale con un bel balcone, a sinistra c’era la camera da letto pure con un grande balcone che dava sul terrazzo, abbastanza luminosa, anche se di fronte ci stava un altro edificio. Quindi questa camera era situata nella parte interna. Accanto al balcone c’era una porticina per accedere nella cucina e nel bagno. Praticamente cucina e bagno erano state ricavate da l’altra metà della terrazza. Questo appartamento un tempo era comunicante con quello accanto e ci abitava la signora con tutta la sua famiglia prima che lei e le sue sorelle si sposassero. Questo palazzo era di due piani, naturalmente di altezza antica. Ogni appartamento aveva tre balconi, uno in mezzo più grande e due più piccoli laterali. L’ingresso era con un grandissimo portone e poi un grande atrio che portava in un piccolo cortile. La scala era abbastanza alta con una bella ringhiera antica tutta lavorata e nella prima rampa di scala c’era una finestra che prendeva la luce dal cortile. Questo edificio era proprietà di famiglia e forse anche quello interno. A sua volta “signora Anna” divenne padrona del primo piano di cui avendo chiuso alcune aperture, lei abitava in quello più piccolo che ho già descritto e nell’altro accanto, che era più grande, vi abitava sua nipote, figlia di una sua sorella. Il nome della signora Anna è stato da me scelto, diverso dal suo vero nome, così anche quello di suo marito, delle sorelle e dei suoi nipoti. Non ricordo quanto tempo passò prima che rivedessi i miei genitori, però ricordo che quando sono venuti gli feci capire che volevo tornare a casa con loro. E così fu.
Infatti mi ritrovai a casa mia senza ricordarmi come avvenne. Però ricordo bene che ero tanto contenta.
Mi era sembrato di aver fatto un brutto sogno. Ma purtroppo non era stato un brutto sogno, ma una triste, crudele realtà, infatti passò poco che mi sono ritrovata di nuovo in quella casa.
Arrivati lì, mamma mi disse che dovevo stare dalla signora Anna, perché per me sarebbe stato meglio sia per il presente che per il futuro. “La signora Anna ti vorrà bene come ad una sua figlia, io verrò spesso a trovarti e anche tu verrai qualche volta a casa nostra”. Io non capivo ancora bene quello che volessero significare quelle parole, ma capii che dovevo rimanere lì. Col pianto nel cuore, mi chiusi in un mutismo e la salutai appena, anche se avevo tanta voglia di buttarmi al suo collo piangendo e gridando dirle: “Mamma, mamma perché mi lasci qui? non voglio rimanere, portami a casa con te”.
Per la prima volta ascoltai il rumore delle scarpe di mia madre che scendeva le scale ed mi misi in un angolo a piangere silenziosamente, chiedendomi: “Perché mi ha lasciata qui?” Questa domanda me la facevo sempre nel mio intimo, senza mai avere una risposta giusta.
Così tra una domanda e l’altra, tra i miei pianti e angosce, dovetti piano piano rassegnarmi a rimanere con la signora Anna e suo marito.
A questo punto la dottoressa mi dice che inizia la seconda fase negativa per me, molto più intrinseca, per la mia formazione mentale, di carattere, sensibilità, emotività, angosce, spirito di volontà e di personalità. Insomma di tutto.
Infatti per me iniziò una nuova vita, una vita quasi da adulta, assai difficile, perché all’improvviso mi era stato tolto quello che per me era più caro: il calore e l’affetto dei miei genitori, anche se poveri; e soprattutto mi era stato tolto nella mia più tenera età, quando ancora ne avevo tanto bisogno. Credetemi, è stata dura, tanto tanto dura per me.
Ricordo che dopo essermi calmata dal pianto trovai davanti a me loro due che mi guardavano con curiosità; per me fu come se li avessi visti solo allora per la prima volta.
Suo marito era un uomo alto e magro con il viso un po’ scarnito, gli occhi neri e tondi un po’ incavati ma molto espressivi, i capelli quasi tutti neri, la carnagione piuttosto chiara, quasi pallido. Mi si avvicinò e cercò di farmi sorridere facendo dei gesti buffi e dicendomi “Non aver paura, vedrai qui ti troverai bene”.
Mi fece coraggio e cercai di abituarmi a loro. Capii poi che i figli non ne avevano perché non ne vedevo mai. La signora Anna era di statura media, un po’ pienotta, capelli neri e ondulati con due occhini neri che sembravano grosse amarene, quando sorrideva nelle guance le si formavano due fossettine che la facevano ancora più bella. Aveva un carattere piuttosto forte, in casa comandava lei, e il signor “Angelo” faceva tutto quello che lei gli comandava. Col tempo capii che aveva paura della moglie.
Era un uomo mite e debole di carattere, sicchè lei lo dominava in tutto e per tutto. Poi capii anche che il suo pallore era dovuto al fatto che era ammalato. Una volta mi accorsi che mentre era seduto dietro al balcone tremava tutto e che gli usciva bava dalla bocca. Ebbi paura e gridai: “Signora Anna, venga, suo marito sta male, lei venne a soccorrerlo:” gli mise un panno bagnato sulla fronte, mentre io lo guardavo con gli occhi sgranati.
Piano piano si calmò, e guardava lei e me con gli occhi che sembravano di vetro e diceva: “Anna cosa è successo?”
“Niente, niente, fu la risposta, tutto è passato”. Poi la signora Anna mi spiegò che suo marito soffriva di epilessia e che quando gli passava la crisi non ricordava più niente; e mi raccomandò che se gli fosse successo un attacco in sua assenza avrei dovuto soccorrerlo come aveva fatto lei. Sebbene ancora non capissi la gravità della malattia, piccola com’ero, provai per lui tanta tenerezza.
Le cose, però, non andavano come mi aveva detto mia madre: Non mangiavo a tavola con loro ma sola soletta in cucina, e quando finivano il primo o il secondo, mi chiamavano per togliere i piatti e portare quelli puliti; dovevo sparecchiare la tavola, e spazzare e mentre loro andavano a riposare, facevo la cucina badando a non rompere niente, altrimenti ci sarebbero state botte di sicuro. Avevo imparato anche, sempre dalla signora Anna, a lavare la biancheria, (allora si lavava a mano); piano piano imparai anche a stirare e pulire quasi tutta la casa. Insomma facevo quasi tutte le faccende di casa, all’inizio aiutata da lei, e poi sempre più da sola. Spesso mi chiedevo se questo era un essere trattata come una figlia, e capivo che io ero una servetta tutto fare. La signora, che sembrava “brava”si rivelava molto esigente, avara, nervosa e anche cattiva; esigeva troppo da me e se non filavo bene, per come lei esigeva, sarebbero state sgridate e botte. La mattina dovevo alzarmi presto e per me era piuttosto pesante, soprattutto d’inverno, e poi, era un tormento il latte che mi saliva in gola in quanto era assai poco appetibile perché con poco zucchero e annacquato abbondantemente come costatai con i miei stessi occhi.
Una mattina non ce la feci a mandarlo giù, approfittai che lei si era allontanata e lo versai nel lavandino, ma ahimè; nel latte che buttai c’era anche il pane e quindi il lavandino si otturò. Sentendo che lei stava per venire, aprii il rubinetto sperando che il tutto andasse via, ma peggiorai le cose perché il pane restava a galla. La signora mi vide che ero sconvolta in viso e mi chiese se avevo finito la colazione, ma lei si accorse dell’accaduto, andò su tutte le furie e gridando, mi chiese perché avevo buttato il latte e detto la bugia. E cominciò a bastonarmi. Spaventata e piangente risposi che il latte non era buono, che era amaro, acquoso e acido. Dio! non l’avessi mai detto: “Bugiarda, bugiarda” mi diceva, e continuava a bastonarmi. Perfino la nipote che abitava accanto sentendola gridare la chiamò dal balcone della cucina chiedendo cosa fosse successo. “Questa bugiarda, ragazza di strada, dice a me che il latte non era buono, quando io di zucchero ne avevo messo due cucchiai: è una sfacciata”. Insomma mi svergognò di fronte a tutto il vicinato senza dare ascolto alla nipote che cercava calmarla, dicendole che non era il caso che facesse in quel modo.
(Continua al numero successivo)