L’amore si fa servizio
Impegno a creare la coniugalità
L’amore unitivo è amore fecondo. È’ amore che chiama la potenza di Dio a far scoccare la scintilla della vita. Qualcosa di sacro viene operato nelle viscere della donna: è il miracolo della vita!
Niente di più bello anche se si opera nella carne, nella sofferenza, nel disagio. Il disagio è santificato dall’amore per la nuova creatura e dall’amore per lo sposo che ha fatto alla donna il dono della maternità.
Per sua parte lo sposo si assume l’impegno di proteggere madre e figlio, perché sente che quell’esserino gli appartiene e che la sua sposa lo ha reso padre. E’ un vincolo in più che si stringe tra i due e la presenza di Dio, promessa all’altare, mette in opera “il mistero grande” in cui i due sono avvolti, dando vita al figlio.
Ma il bambino è fragilità e bisogno, è dipendenza assoluta. Egli necessita del servizio, senza del quale la vita che ha ricevuto si spegne.
La natura dispone la mamma e il papà al servizio alla vita, ciò però non esclude che il disagio può essere grande. Ma proprio nel farsi dono al figlio si sperimenta la pienezza della maturità, espressa nella maternità e nella paternità.
Il concepimento e il parto possono essere anche solo conseguenza di un momento di piacere, ma il servizio alla vita è dono volontario e quindi meritorio.
Amore e dolore, fusi in un unico dono, producono LA’MORE OBLATIVO, che non è altro che il darsi incondizionatamente, senza riserva, senza neanche lasciarsi sfiorare dal pensiero di negare qualcosa di sé, E’ OFFERTA VITTIMALE.
Il giorno, la notte, la mattina, il pomeriggio… tutto il tempo è della creatura amata, lo può chiedere sempre, può anche esigerlo perché gli appartiene. Il vestito, la casa, il cibo… il figlio lo può pretendere gratuitamente, perché il legame che lo stringe ai genitori è così forte che tollera anche la prepotenza: lui sente, infatti,che non glielo rinfacceranno mai.
Ovviamente questo atteggiamento è tipico della famiglia, dove i rapporti sono regolati sulla logica dell’amore vero, il che non è da confondersi con la mancanza di rispetto e con la tracotanza.
Il figlio dà per scontato l’amore oblativo dei genitori e non se ne fa una colpa se esige molto da loro; la confusione comincia in lui quando la mamma comincia a sentirsi schiava e a rivendicare il suo spazio, quando il padre ha una parte della sua vita che gestisce autonomamente, sia pure dopo aver provveduto alle necessità economiche della famiglia. Il codice di diritto della famiglia tollera una parte di autonomia, ma l’amore no: l’amore espropria.
Il fatto è che il matrimonio non lascia spazio al privato: tutto è comune, tutto appartiene anche al coniuge e alla famiglia, quindi non si possono avere spazi di tempo per sé o spazi di evasione da cui la famiglia è esclusa; non si possono avere tasche di portafogli in cui il coniuge non può esplorare o di cui, all’occorrenza, non possa usufruirne.
Il “Noi” di cui si è già parlato, espropria la persona del “sé”, esso nasce sul sacrificio dei due “sé” e non ammette risurrezioni dell’io egoistico, che fa morire il matrimonio e la famiglia.
I figli, frutto dell’amore, hanno diritto ad avere per genitori una coppia, cioè due creature in relazione di comunione, per imparare l’arte di vivere e per proiettarsi verso traguardi di maturità piena.
In famiglia è permesso di parlare solo di schiavitù d’amore, cioè di un legame così totale e necessario, senza del quale non avrebbe senso la propria vita.
Ha suscitato stupore la mamma che non si è fatta cure radioattive per evitare danni al bambino che aveva in grembo, ma lei è stata semplicemente una vera madre. Nessuna mamma dovrebbe poter agire diversamente.
Siamo giunti, purtroppo, a tempi in cui tutto si decide razionalmente, o, peggio ancora, tutto si misura in base al proprio tornaconto e la coscienza non dice più nulla, l’egoismo impera e la paura di soffrire blocca l’amore. E così l’aborto è diventato un normale contraccettivo, addirittura l’eutanasia comincia ad essere legalizzata, il suicidio è all’ordine del giorno, il divorzio si chiede e si ottiene per contrasti che anche una virtù ordinaria, un po’ di buon senso e il senso di responsabilità verso i figli, basterebbero a risolvere.
Non per questo, però, si può abbassare il traguardo dell’amore maturo. Ogni persona dovrebbe tendere a divenire capace di dono totale e generoso.
Gesù ci ha detto: “Chi perderà la sua vita, nel dono totale di sé, la ritroverà, mentre chi vuol salvarla anche contravvenendo alla propria coscienza e alle esigenze vocazionali, la perderà”.
Il servizio alla vita nobilita la persona perché è partecipazione all’opera creativa di Dio stesso.
Dio è sempre all’opera e trova la sua gioia nel donarsi.
Forse abbiamo bisogno di occhiali diversi per vedere come un’opportunità ciò che l’egoismo vorrebbe farci vedere come una condanna.
Il grande problema è sempre quello di liberarci dall’egoismo. E’ la zavorra che ci portiamo dietro e che rende difficoltoso il nostro cammino.
CHIEDIAMOCI:
- Ti senti realizzato/a nella funzione materna o paterna?
- Ti senti avvolto/a nella potenza di Dio che opera in te il miracolo della vita?
- Sei generoso/a nel servizio che la vita richiede, facendoti sostegno e stimolo ai figli per aiutarli a raggiungere la loro maturità?
- Cosa trovi più difficile in questo compito?^.
- Ti sembra di aver deluso i figli con atteggiamenti di chiusura o per aver rinfacciato i tuoi sacrifici?
- Sei disposto/a a perdere la tua vita nel servizio umile e nascosto, come ha fatto Gesù per noi?
- Sostieni con la preghiera e l’offerta della tua impotenza, la crescita spirituale e soprannaturale dei tuoi figli?
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La voce del cuore
Gribaudi Editore
Non puoi amare Dio
e odiare il tuo prossimo,
dal momento che anche lui
è UNO con Dio.
Non giudicare dalle apparenze.
Qualunque aspetto abbia “l’altro”
sappi che egli porta in sé
la pienezza di Dio.
Ma tu non puoi amare
che col Mio amore,
cioè concedendo a Me
di amare attraverso te.
Quelli che non riesci
ad amare,
chiedi a Me di amarli
attraverso te.
In questo modo tu amerai