“Come frecce in mano ad un eroe sono i figli della giovinezza”
Sono queste le parole del Salmo127, passo che forse meglio esprime la figura del giovane oggi. Lo sguardo senile della cultura occidentale è come se non avesse più occhi per la condizione giovanile, lasciando le giovani generazioni parcheggiate in spazi vuoti e privi di prospettiva, dimenticando invece quale forza biologica ed ideativa sono a disposizione della società.
Numerosi gli studi che le scienze umane hanno dedicato al mondo giovanile e svariati i dati emersi dalle recenti ricerche condotte dall’Istituto IARD, famoso ente attivo nel campo della ricerca sociologica.
Innanzitutto la fascia d’età che definisce i “giovani” risulta ampliata, negli anni Ottanta i giovani erano considerati coloro i quali avevano un’età compresa tra i quindici e i ventiquattro anni. Con il tempo si è verificato un progressivo differimento delle tappe di passaggio dalla giovinezza all’età adulta che ha prodotto uno slittamento semantico e la fascia d’età che definisce i giovani si è ampliata fino a ventinove anni, per arrivare all’alba del nuovo millennio, a trentaquattro anni.
Oggi la categoria del giovane sembra estendersi senza tempo, ogni individuo può percepire la propria condizione di giovane come non terminata o persino non terminabile. I tempi e i modi con i quali questo passaggio si realizza appaiono fortemente influenzati da contingenze storiche, economiche e culturali. I giovani si trovano a costruire il proprio progetto personale, professionale e la propria identità confrontandosi con una realtà che richiede di negoziare continui cambiamenti in sé e nei propri contesti.
Ma analizziamo meglio: chi sono i giovani oggi?
In una società fluida, segnata dall’instabilità, dal rischio, dall’incertezza, per usare i termini del noto sociologo polacco, pensatore vivente Zygmunt Bauman, una strategia diffusa ed attuata dalle giovani generazioni è quella del rifugio nella famiglia d’origine, il prolungamento della loro permanenza in essa.
Questo è un tratto che deriva dalla lunghezza abnorme dei percorsi di formazione, dall’alto tasso di disoccupazione giovanile, accompagnati dalla mancanza di efficaci meccanismi d’ingresso nel mondo del lavoro e dalla mancanza di facilitazioni per l’accesso al mercato delle abitazioni.
“Incerti, flessibili ma soprattutto liquidi”. Siamo diventati un po’ tutti così: nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni affettive, è quanto sostiene Z. Bauman. La nostra vita sociale è caratterizzata da profonda instabilità degli eventi, mutamenti repentini ed imprevedibili, da incertezza esistenziale degli individui, dalla frammentazione delle loro identità. L’aggettivo “liquido” è particolarmente significativo, a differenza dei corpi solidi quelli liquidi non mantengono forma propria. Essi sono inclini a cambiarla e una società liquida è una società in cui le situazioni nelle quali gli individui agiscono sono in continuo cambiamento.
L’individuo è sempre più isolato nelle sue vicende private e caratterizzato da quel senso di solitudine, di precarietà, e sfiducia esistenziale. Il mondo liquido moderno è caratterizzato da una fragilità dei legami, dall’individualismo esasperato grazie al quale le relazioni diventano le più diffuse, acute, sentite e sgradevoli incarnazioni delle ambivalenze. Anche le relazioni umane diventano provvisorie, precarie, instabili. I giovani del terzo millennio vivono momentanee individualità, godono di una seconda vita e molteplici identità, navigano in realtà virtuali, mettono in scena se stessi e il proprio mondo interiore sui blog, diari personali on-line accessibili a tutti gli utenti della rete. I giovani sono dei maghi del contatto a distanza. Appunto a distanza. Una generazione costantemente impegnata a comunicare incontrandosi sempre meno in modo diretto, fisico. Da ciò ne deriva una sfiducia nell’altro, il prossimo è percepito come una minaccia piuttosto che come una risorsa. Come può un individuo esortato incessantemente ad accettare le novità infinite del mercato ad essere poi disposto a lavorare a lungo su una relazione? Le promesse d’impegno non hanno senso nel lungo termine per ogni tipo di rapporto, da quello d’amicizia, di lavoro a quello amoroso. In uno scenario in cui la “sindrome consumista” ha posto il valore della novità al di sopra di quello della durata, anche l’amico, il collega, il partner possono essere cambiati. Anche nelle relazioni, la società dei consumi rende permanente l’insoddisfazione e legittima il cambiamento che diventa ossessivo. Come per i normali consumi, la fedeltà diviene motivo d’imbarazzo anziché d’orgoglio. Siamo tutti sul mercato, pertanto non c’è da stupirsi se l’uso/consumo delle relazioni si adegua all’uso/consumo di un prodotto, ripetendo così il ciclo che inizia con l’acquisto e termina con lo smaltimento.
Le nuove generazioni sono sempre più vittime del cosiddetto “pensiero debole”, si trovano inserite a pieno titolo nella società dell’immagine, dell’apparenza, dove la riflessione e il ragionamento sono sostituiti dal computer. Il flusso continuo di immagini, di suoni suscita forti emozioni, ci si sballa nelle serate lunghe ed interminabili in discoteca, ci s’incontra su face book ma si rinuncia al piacere di perdersi in un sorriso reale. Eppure cessata l’esperienza forte, spento il monitor del computer, ci si rende conto di dover affrontare un ospite purtroppo ultimamente sempre più presente nella vita dei giovani: la solitudine. Arrivati proprio a questo punto che i giovani s’interrogano sulla società, sul mondo, su quel Dio troppo spesso sconosciuto e spessissimo non sono capaci di dare risposte, a volte sono coscienti della propria aridità spirituale, altre volte invece non avvertono nemmeno il bisogno di conoscere i veri e grandi valori dell’umanità.
Il relativismo valoriale è frutto della caduta di modelli di riferimento forti. In passato i criteri di definizione dell’identità individuale e sociale e di ruolo all’interno della famiglia e della società, seguivano meccanismi più consolidati: ciò rendeva altamente prevedibili le azioni proprie ed altrui garantendo agli individui un sistema sociale stabile e rassicurante. Oggi i sistemi di credenze si sono frammentati e relativizzati. La mancanza di modelli comportamentali condivisi ha favorito la creazione di nuovi sistemi di riferimento anche in contraddizione tra loro che non hanno validità assoluta ma sono adattabili, integrabili a seconda del contesto in cui si trova da agire ed interagire.
Un dato su tutti dipinge la condizione identitaria dei giovani italiani: il precariato. Siamo di fronte ad una generazione che della flessibilità derivante dai rapporti economici e lavorativi ne ha fatto una caratteristica identitaria, inserendo nel proprio DNA quella fluidità esperienziale prodotta da continue transizioni tra diverse attività e ruoli sociali, nella ricerca che ogni giovane compie per trovare il proprio posto nel mondo. La precarietà lavorativa sta diventando precarietà esistenziale, inchiodando molti giovani ad un’incertezza strutturale. Senza un lavoro stabile i giovani italiani non riescono a lasciare la famiglia d’origine, non riescono a costruirsene una propria e non trovano il coraggio di donarsi un’identità genitoriale.
Emergono nuove criticità legate al fatto di vivere una condizione di sostanziale incertezza non solo rispetto al futuro, ma anche rispetto a tutto ciò che nel presente, si pone al di fuori di quella stretta cerchia relazionale che rappresenta sempre più il porto sicuro a cui fare ritorno al termine di ogni viaggio.
Barbara
Nota: Questa rubrica è a cura di Barbara Battaglia, che durante l’estate ha discusso la sua tesi di laurea dal titolo:”Giovani tra futuro e fede”. Una giovane che scrive per i giovani è senz’altro più credibile e forse i destinatari potranno leggere i suoi articoli senza pregiudizi. Spero che la lettura possa suggerire loro molti spunti di riflessione e aiutarli a districarsi nel labirinto della vita.