Cari giovani,
Scrive Leo Buscaglia in un suo libro autobiografico “Vivere, Amare, Capirsi”:
Le mie speranze per il domani si fondano su tre cose … la Verità, la Gioventù e l’Amore … e il compito degli educatori è quello di offrirsi come “ponti” verso la conoscenza e invitare i giovani a servirsi di loro per affrontare la “traversata”, incoraggiandoli poi a fabbricarsi da soli altri ponti nuovi …
L’essenza dell’educazione non consiste nell’imbottirvi di nozioni, bensì nell’aiutarvi a scoprire la vostra unicità, nell’insegnarvi a svilupparla e poi mostrarvi come dovete donarla …
Vedete, sono convinto che questa meravigliosa qualità di esseri umani, con tutti i suoi prodigi, sia il dono che Dio vi ha fatto. E il modo in cui l’usate è il dono che voi fate a Dio.
Non accontentatevi di qualcosa che sia da meno nell’offrire a Dio quel dono perfetto che siete e, divertitevi a farlo!”
Non meno ottimista era Paolo VI quando diceva: “Dobbiamo riaccendere il fuoco, il genio della Carità di Cristo, ridestare nel mondo il senso della fraternità e perciò di una giustizia più dinamica e attiva.
L’educazione dei giovani a una nuova mentalità universale della convivenza umana, a una mentalità non scettica, non vile, non inetta, non dimentica della giustizia ma generosa e amorosa è già incominciata e progredita. Essa possiede imprevedibili risorse per la riconciliazione e questa può segnare la via di pace nella verità, nell’onore, nella giustizia, nell’amore e perciò nella stabilità e nella nuova storia dell’umanità.
Uomini giovani, uomini forti, uomini responsabili, uomini liberi, uomini buoni: vi pensate? Non potrebbe questa magica parola “riconciliazione” entrare nel dizionario delle vostre speranze, dei vostri successi?
Il mondo ha bisogno del Vangelo … tutto ci dice che questa è un’ora grande e decisiva a che bisogna avere il coraggio di vivere a occhi aperti e con cuori impavidi …
Gesù non vuole un mondo di violenti, ma di forti, capaci di guadagnare con la loro mitezza i cuori degli uomini. Questa è la forza dei santi, delle mogli amabili, dei genitori pazienti, degli educatori comprensivi, ei giovani docili all’insegnamento degli sdulti”.
Farà piacere ai giovani studenti sapere che il loro santo protettore – rinomato per la sua “ignoranza” – è San Giuseppe da Copertino, un grande esempio di semplicità e di modestia.
Aiutato da alcuni parenti sacerdoti, dopo varie vicissitudini e malgrado il suo scarso latino, riuscì miracolosamente a essere ordinato sacerdote “per grazia singolarissima di Dio e della Beata Vergine”. Scrisse di lui Pio XI:
“La santità è la prima e la più importante dote di un sacerdote cattolico. Senza questa altre doti poco valgono. Con questa, anche se le altre doti non sono in grado eminente, si possono compiere meraviglie, come avvenne in Giuseppe da Copertino”.
Fu il 4 ottobre del 1630 che il Signore lo elesse alla missione che l’avrebbe caratterizzato.
Mentre a Copertino si stava snodando la processione in onore di San Francesco, padre Giuseppe, che fungeva da ministro, si sollevò da terra estatico e immobile, sotto gli occhi di una folla in delirio.
Da ballora fu tutto un susseguirsi di questi eventi straordinari; il fenomeno delle estasi e dei voli sarà il lui continuo, nella Messa come fuori e, col passar degli anni persino maggiore. Giuseppe non amava questo sfoggio della grazia che lo esponeva alla altrui curiosità e si scusava dicendosi ammalato o bisognoso di sonno …
Le suppliche al Signore, perché lo liberasse dal grave impegno, furono lunghe e accorate. Ma non fu esaudito.
Alcu0ni suoi motti sono rimasti famosi per la loro semplicità e verità:
“Chi ha la sapienza in ogni luogo, non fa poco, non fa poco”.
“Chi ha la carità è ricco e non lo sa”.
“Amore e carità è una grande felicità.
“Sono peggiore dei Giudei, mentre ti crocifiggo e so chi sei”.
“Signore – tu lo Spirito – sei la tromba, ma senza il fiato tuo nulla rimbomba”.
Stringendo tra le mani un Bambinello di cera, estatico ballava e cantava:
“Bambinello mio Bambinello, quanto sei vago, quanto sei bello; a chi ti mira gli rubi il cuore con il tuo divino amore”.
Rimanere “piccoli” a quel modo è utopia per la maggior parte degli uomini di oggi; è un programma che solo l’onnipotenza di Dio può realizzare in noi fragili creature … ma sarebbe utile una salutare “cura d’urto” per ritrovare il coraggio di credere in Dio e rinsavire dalle scelte consumistiche del nostro tempo che quasi mai tengono conto degli interessi e della formazione dei nostri giovani …
Per l’edificazione di noi tutti, torniamo a confrontarci con i valori e la professione di fede del passato quando, centinaia di anni prima della venuta di Gesù, l’uomo si è posto nella Bibbia il problema della sofferenza dell’innocente. Al riguardo un anonimo autore ebreo del V secolo a.C. scrisse il libro di Giobbe, che è considerato un capolavoro della letteratura universale.
All’inizio di questo libro sta scritto che “Satana” si presentò davanti al trono di Dio, che gli domandò: “Hai visto il mio servo Giobbe? Non c’è tra gli uomini uno buono come lui”.
“Satana” espresse dei dubbi sulla fedeltà di giobbe e Dio gli consentì di metterlo alla prova.
Il povero Giobbe prima venne privato di tutti i suo beni; -era molto ricco -, ma lui alla povertà reagì con queste parole: “Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore, così è avvenuto. Sia benedetto il nome del Signore”.
Poi Giobbe fu sottoposto a tante altre vessazioni sia fisiche che morali. Alla moglie che lo invitava a ribellarsi a Dio rispose: “Se da Dio accettammo il bene, perché non dovremmo accettare il male?” …
Alla fine Giobbe, stremato dalla povertà e dalla sofferenza, esplose nei suoi lamenti e nelle sue proteste verso gli amici che gli contestavano la sua innocenza.
Egli si difese così dai suoi accusatori: “Per la vita di Dio che mi ha privato del mio diritto, per l’Onnipotente che mi ha amareggiato l’animo, finché ci sarà in me un soffio di vita e l’alito di Dio nelle mie narici, mai le mie labbra diranno falsità e la mia lingua mai pronunzierà menzogna!
Lungi da me che io mai vi dia ragione, fino alla morte non rinunzierò alla mia integrità, mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni”.
Questa fede nella giustizia di Dio gli dà la forza di resistere, pur tra continui lamenti, fino a quando Dio non decide di rispondergli:
“Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo se hai tanta intelligenza!
“ … Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai mai passeggiato?
“ … Conosci tu le leggi del cielo e ne applichi le norme sulla terra?
“ … Forse per il tuo senno si alza in volo lo sparviero e piega le sue ali verso Sud?” E dopo un lungo discorso Dio dice:
“ … Il censore vorrà ancora contendere con l’Onnipotente? L’accusatore di Dio Risponda!”
Giobbe, contrito e mortificato risponde:
“Ecco, sono ben meschino; che ti posso rispondere’ Comprendo che Tu puoi tutto … io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono perciò mi ricredo e ne provo pentimento …” Le domande di Giobbe sulla giustizia restano senza risposta, ma egli ha capito che Dio non deve rendere conto all’uomo e che la sua infinita sapienza può dare un significato anche alla sofferenza dell’innocente, cosa questa che è incomprensibile alla ragione umana. Dio, manifestando la sua potenza che è sotto i nostri occhi e della quale nessuno può dubitare, vuole che si creda nella sua giustizia, anche se essa – al pari dell’onnipotenza – non è alla portata della ragione umana.
Ci consoli l’epilogo della prova di Giobbe, poiché il Signore gli rese giustizia per la sua fedeltà e rettitudine, manifestando la sua ira contro gli amici di Giobbe, che lo accusavano ingiustamente di aver peccato; (Eppure questi difendevano l’operato di Dio … ma Egli non vuole farisei in sua difesa … - quanta pedagogia in queste piccole sfumature: non si può recare offesa all’uomo senza offendere anche Dio!).
Dio dice agli accusatori:
“Non avete detto di me cose rette come il mio amico Giobbe. Giobbe pregherà per voi affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza” ( Dio si identifica con l’innocente, al quale dà la facoltà di intercedere per i peccatori).
La Bibbia conclude:
“Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amici, accrebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto”.
Da questa narrazione di alta poesia e di grande illuminazione della pedagogia di Dio, l’uomo deve dedurre che mediante la fede si può superare qualsiasi prova perché la generosità di Dio non gli farà mancare la giusta consolazione.