I nostri figli e la televisione
Bruno Ferrero elle di ci leumann TO
UNO STRAORDINARIO
APPARECCHIO ELETTRONICO
Non è il vino che ubriaca l'uomo.
È l'uomo che si ubriaca. (Proverbio cinese)
C'era una volta una scatola magica. Ne uscivano, secondo il momento, Topolino e Heidi, signori seri seri, calciatori, il presidente della Repubblica, cantanti e ballerine, una signora che non voleva cambiare il fustino di detersivo, un leone che sbadigliava e un pappagallo che rubava il tonno all'esploratore.
Questa scatola non si gettava dopo l'uso, non si esauriva mai. Tutti la volevano in casa e la collocavano nel posto più bello e in vista. Gli industriali cominciarono a fabbricarla in serie. Pian piano il potere della scatola dalle mille sorprese divenne enorme.
Sembrava solo un soprammobile un tantino ingombrante e invece divenne il "numero uno" stabile della hit-parade del tempo libero. Più importante delle vacanze, dell'automobi-le, del cinema, dei concerti, dei libri, spesso della vita familiare stessa.
Se potessimo sorvolare discretamente il mondo, verso sera, vedremmo trasparire da milioni e milioni di finestre la luce guizzante e azzurrina che esce dalla magica scatola. E davanti, miliardi di persone che, in paesi diversi e lontani, fanno tutti la stessa cosa: guardano.
Il piccolo schermo ha imposto dappertutto la sua legge del silenzio attento. Vorace e instancabile, succhia tutta l'attenzione possibile.
Di lì incominciarono gli inconvenienti.
La televisione, all'inizio, avrebbe dovuto essere un'invenzione al servizio dell'uomo. Come un'apriscatole o un trapano, ed essere usata solo al momento voluto: quando si volevano sapere le ultime informazioni, quando il film proiettato nel cinema più vicino non piaceva, quando si voleva passare un'ora piacevole, quando pioveva a dirotto e non si uscire di casa.
È andata diversamente. Il 90 per cento delle famiglie in America del Nord, Giappone, Europa occidentale ha comprato almeno un televisore. Così un oggetto "di servizio" è diventato una potente istituzione. Ha conferito ai sui "padroni e manovratori" un potere che è difficile immaginare.
E siamo appena all'inizio. È certo che fra una decina d'anni il televisore che conosciamo oggi sarà considerato sorpassato. Nei laboratori delle grandi fabbriche elettroniche il piccolo schermo televisivo è al centro di ricerche continue che preannunciano una fantastica esplosione tecnologica. Schermi piatti delle dimensioni di una parete, televisori "da polso", possibilità di ordinare i programmi che si desiderano, immagini in rilievo, sempre più perfette e nitide. Schermi televisivi con cui si lavora, si gioca, si studia, si impara e ci si diverte. Con il telefono e il calcolatore come alleati, il televisore si prepara un avvenire trionfale.
È più che mai necessario allora "imparare a convivere con la tv". Devono imparare gli adulti, ma anche i piccoli. ché proprio su di loro la "scatola magica" dimostra di avere un ammaliante potere. Tra i doveri degli educatori e dei genitori di oggi entra quindi prepotentemente anche quello di "insegnare ai bambini a guardare la televisione".
Parte prima
UN CRITERIO PER GIUDICARE
Le agenzie educative
"Giacomo, vieni ad aiutarmi a preparare la tavola. Sta per arrivare papà".
"Vengo subito. Guardo solo la fine del film".
Passano cinque minuti, dieci minuti. Ma Giacomo non compare.
Il giorno dopo la mamma confida: "È sempre la stessa sto-ria. Non so più che cosa fare. Che abitudine sto dando a mio figlio che ha quasi sette anni? O gli spengo il televisore a vi-va forza e devo subire scenate, lacrime, urla e muso lungo per tutta la cena... Devo infilarmi tra un programma e l'altro per avere la sua attenzione. E poi c'è la pubblicità. Giacomo è letteralmente affascinato dalle piccole storie abbinate ai pro-dotti. Io non so più che cosa fare".
Una nonna (otto nipotini in tutto) è in estasi: "È magnifi-co vedere quanto il loro piccolo mondo sia risvegliato. Quante cose sanno! Alla loro età io ero una vera oca. La televisione li informa su tutto. L'altro giorno il mio piccolo Daniele mi ha fatto una testa così sugli Incas. Io, niente sapevo. La no-stra generazione cresceva in un'ignoranza tremenda, solo per-ché non aveva questa macchina!".
Un'altra mamma afferma decisa: "Senza la televisione, non vedo proprio come potrei cavarmela. Sono sola con due fi-gli, dopo la separazione da mio marito. Lavoro tutto il gior-no. Torno a casa con loro verso le 5 e devo fare tutto ciò che è indispensabile in una famiglia. Così li piazzo davanti al televisore con qualche biscotto e un bicchiere di succo di frutta e io sono libera per due ore. Sono buoni come statuine. Per loro va bene qualunque programma. Ogni tanto avvicino e regalo loro qualche carezza. Come potrei organizzarmi se non avessi il televisore?".
Queste reazioni suggeriscono una conclusione: la televisione è diventata un membro di diritto della famiglia. È una specie di invitato permanente che si è installato nel posto più confortevole del soggiorno e là raccoglie gli altri membri famiglia per intrattenerli. È certamente fonte di piacere e forse di non pochi dispiaceri. Ma con lui bisogna impara "convivere".
Prima di tutto perché oggi la famiglia sta attraversa un periodo particolare.
Tradizionalmente la responsabilità educativa si esprime attraverso una serie di "agenzie" di socializzazione: famiglia scuola, gruppi di pari, chiesa, mass media, club sportivi di interesse, ecc. Fino a poco tempo fa, famiglia e scuola erano le vere grandi agenzie educative dei ragazzi. Con esse ì ragazzi dovevano necessariamente confrontarsi e fare i conti. Possiamo dire che oggi famiglia e scuola, per molteplici motivi che non possiamo certo analizzare in questo breve contributo, hanno abdicato a gran parte del loro compito educativo; e nello spazio vuoto da loro lasciato si sono infilati modo prepotente quelli che si avviano a diventare la vera unica, grande agenzia educativa: i mass-media. I mass-media erodono ogni giorno posizioni su posizioni nella concorrenza a famiglia-scuola-chiesa, avviandosi alla formazione dell'uomo-massa. Spesso quello che famiglia, scuola e chiesa si trovano di fronte come interlocutore della loro responsabilità educativa è già un perfetto mass-boy, a cui non è più possibile "insegnare" nulla.