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FEBBRAIO 2015

     

 

LA TEORIA DEL GENDER

(Continuazione dal numero precedente)

4.2 L’ideologia del genere è nella sua essenza totalitaria

 

            L’ideologia del genere è uno strumento efficace al servizio di ciò che lo storico e critico sociale americano Christopher Lasch (1932-1994) ha chiamato lo Stato terapeutico. Cioè la tendenza, specificamente contemporanea, di concepire lo Stato come un agente per eliminare la “sofferenza”. Questa alta missione, il cui volto visibile è “la lotta contro tutte le forme di discriminazione”, richiede la mobilitazione di esperti: i ricercatori degli “studi di genere”, ritenuti essenziali per la comprensione e soprattutto per il miglioramento delle istituzioni sociali. Secondo lo Stato i cittadini comuni, immersi nei loro pregiudizi, non sono affidabili: sarebbero incompetenti, ignoranti e interiormente “omofobi”. Pertanto lo Stato deve sostituirli o rieducarli con l’aiuto degli esperti del gender e delle scienze sociali (ideologicamente schierati). A questi si aggiungono i vari medici e ingegneri della biotecnologia che lavorano per rendere tecnicamente possibile la produzione “artificiale” dei bambini, trasformati da soggetti a oggetti di desiderio, beni di diritto. L’emancipazione delle donne ha aperto il campo ad una nuova battaglia per l’emancipazione di quegli omosessuali attivisti (che non rappresentano tutte le persone con tendenze omosessuali) che rivendicano il diritto di ottenere bambini a tutti i costi attraverso la fecondazione artificiale o la maternità surrogata. Ovunque vengono portate avanti nuove normative, nuovi programmi scolastici, nuove leggi per concedere questi diritti. Da anni i cittadini sono stati educati attraverso i mass media ad un nuovo pensiero. Chiunque osi mettere in discussione il politicamente corretto, anche in maniera pacata, viene additato come omofobo, “eretico”, razzista (come se si trattasse di una questione di razza) ecc. Per contrastare ogni forma di pensiero critico si sono create nuove parole, che sostituiscono altri termini sconvenienti che andrebbero banditi (padre e madre per esempio). Questi indicatori rimandano inequivocabilmente alla neolingua di cui parlava Orwell.

 

4.3 L’ideologia del genere aumenta i disturbi nei bambini

 

            Questo nuovo pensiero mira ad indebolire l’istituto familiare e lo sviluppo sano di ogni bambino. Contrariamente a quanto sostiene l’American Psychology Association, diversi studi americani stanno dimostrando che non è prudente ritenere che non vi siano differenze tra una educazione ricevuta da un padre e una madre rispetto a quelle che oggi vengono definite “famiglie arcobaleno”. Al contrario i presunti studi scientifici citati dall’APA (per sostenere che non vi sarebbero differenze tra famiglie tradizionali e quelle “arcobaleno”) non possono affatto essere considerati tali, poiché utilizzano metodologie di ricerca inadeguate e scorrette, riferendosi a campionamenti statisticamente non significativi e mancando di gruppi di controllo adeguati. D’altra parte alcuni esperimenti avviati in Norvegia confermano che i bambini, nonostante l’educazione neutra o indifferenziata, continuano a riportare differenze tipicamente maschili/femminili legate al comportamento. Va sottolineato che il dibattito a livello della comunità scientifica viene spesso politicizzato e che negli stessi ambienti accademici non è presente la dovuta trasparenza e una vera libertà di ricerca.

 

4.4 L’ideologia del genere è oscurantista

 

            L’ideologia del genere si configura come una forma elaborata di oscurantismo, dal momento che nega apertamente i dati oggettivi portati dalla biologia (Si veda in particolare il lavoro di Ann Fausto-Sterling, biologa e femminista). In un articolo sul quotidiano “Le Monde”, il 4 settembre 2011, il paleontologo Pascal Picq protestava, in nome del rispetto per i dati biologici, contro l’introduzione del “genere” nell’insegnamento delle scuole e dei licei. Aderire infatti alle gender theories equivale a negare il dato genetico e anatomico piegando le evidenze scientifiche ad una sorta di dottrina ideologicamente connotata.

4.5 L’ideologia del genere contribuisce all’impoverimento sociale

 

            Una società che pone come scopo primario il riconoscimento delle identità soggettive è una società drammaticamente lacerata da atteggiamenti narcisistici, ormai sdoganati come “normali” anche dalla psichiatria americana. Una società giusta riconosce che il vero rispetto per gli esseri umani non è competenza solo della legge o del potere dello Stato, ma presuppone e richiede un costante sforzo personale. Una società che promuove l’ultra-individualismo tende ad abbandonare i veri marginalizzati, gli indigenti, gli ammalati, gli anziani e, più in generale, le vittime di tutte le nuove forme di povertà sociale. Una società che promuove il movimento perpetuo e la trasgressione fine a se stessa rompe i legami generazionali e la solidarietà effettiva derivante sia dai nonni che sostengono i nipoti, sia dai loro figli che si occupano degnamente dei loro genitori in momenti di difficoltà. In un mondo colpito dalla violenza dell’ultra-individualismo e del mercantilismo, rompere le solidarietà della famiglia tradizionale e la solidarietà sociale (dare, ricevere, restituire) può portare ad esiti devastanti. Per questo motivo, coloro che credono, spesso sostenuti da un’esperienza personale, che la famiglia fondata sul matrimonio rimane il posto migliore dove ogni persona umana, indipendentemente dalle sue caratteristiche, può crescere ricevendo l’attenzione, l’amore e la protezione che corrispondono alla sua dignità inalienabile, non possono che denunciare l’ideologia del gender e il progetto di profonda manipolazione che essa comporta.

Conclusioni:

 

Il genere, un concetto polimorfo

 

            Coloro che rivendicano il termine “genere” dicono spesso: «Non esiste una teoria del genere, ciò che esiste, sono gli “studi di genere» (in inglese: Gender Studies). Questa affermazione è inattaccabile, in quanto, negli ultimi anni, gli studi di genere hanno effettivamente acquisito la cittadinanza nella maggior parte delle università, prima nel mondo di lingua inglese, poi nel Nord Europa e, a poco a poco, in Francia e in Italia. Tuttavia, il vero problema è la mancanza di una definizione consensuale di “genere”. Il concetto di “genere” è adesso utilizzato e definito in molti modi; pertanto, nessuno sa veramente che cosa sia “il genere”, e soprattutto quali implicazioni antropologiche siano ad esso collegate di volta in volta. Apparso nel 1960, nel discorso accademico, il significato della parola “genere” è cambiato senza che nuovi contenuti venissero a sostituire completamente i vecchi. Ad esempio, un uso comune del termine “genere” in contrapposizione a “sesso” serve per designare la differenza culturale o sociale tra i sessi: ci sono due sessi (biologici), e anche due generi (sociali). Tuttavia, oggi alcuni parlano anche di una pluralità (e non solo di una dualità) di generi per designare le diverse “identità” possibili, che sarebbero formate dalla combinazione di caratteri legati all’identità (maschio, femmina, intersessuale, transgender, ecc.) e le caratteristiche legate all’orientamento (eterosessuale, omosessuale, bisessuale, ecc.). Si ottengono così tutti i tipi di “generi”, e alcuni paesi hanno già adottato misure per proteggere e riconoscere la più ampia gamma possibile di generi. Negli USA face book lascia all’utente la possibilità di scegliere tra più di sessanta definizioni di genere. Si parla volentieri di una pratica, di un discorso di genere 26(sul modello inglese: gendered) quando una prassi o il discorso sono strutturati, consciamente o inconsciamente, sulla concezione di una differenza maschile/femminile o su altri stereotipi sessisti o eteronormativi.

            A seconda dei contesti si parla di genere al singolare o al plurale: un genere? Due generi? Tre, cinque, venti o più generi? Questa non è una questione empirica: è evidente che la possibilità di parlare di genere, di due generi, o di una pluralità potenzialmente infinita di tipi, diventi fonte di ambiguità volutamente alimentata. Allo stato attuale della discussione, il termine genere è contaminato da un equivoco insormontabile, particolarmente pernicioso perché portatore di forti istanze ideologiche spesso non riconosciute come tali da coloro che usano tale termine.

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BIBLIGRAFIA ESSENZIALE

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Amato G., Omofobia o eterofobia?, Fede & Cultura, Verona, 2013.

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Atzori C., Il Binario indifferente. Uomo e donna o GLBTQ?, SugarCo, Milano, 2011.

Brienzendine L., Il cervello dei maschi, Rizzoli, Milano, 2010.

Brienzendine L., Il cervello delle donne, Rizzoli, Milano, 2009.

Cantelmi T., Scicchitano M., Educare al femminile e al maschile, San Paolo, Milano, 2013.

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Gandolfini M., Adozione a coppie gay, Fede & Cultura, Verona, 2013.

Heyer W., Paper Genders. Il mito del cambiamento di sesso, SugarCo, Milano, 2013.

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O’ Leary D., Maschi o femmine? La guerra del genere, Rubettino, Catanzaro, 2006. 29

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Perucchietti E., Marletta G., Unisex. La creazione dell’uomo senza identità, Arianna Editrice, Bologna 2014.

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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