Femminicidio: perché gli uomini uccidono le donne?
L’ondata
di follia assassina che ha riempito le cronache degli ultimi mesi impone
qualche ulteriore riflessione su un fenomeno che spesso viene proposto dai mass
media come l’esasperazione patologica di un sentimento, come una passione in
grado di superare i confini del razionale per dilagare incontrollata in un
territorio oscuro e primitivo, quasi bestiale. Per questo non mi trovo
d’accordo con definizioni del tipo “amore criminale” o “delitto passionale” ma
preferisco usare il termine “femminicidio”, parola coniata per le centinaia di
donne vittime della spietata guerra tra narcotrafficanti che affligge il
territorio messicano di Ciudad Juarez ma ormai traslata nei vocabolari
sociologici di tutto il mondo.
Certo,
passionale riporta etimologicamente al greco “pathos”, letteralmente sofferenza, termine che imprime su di sé
l’immagine del sentimento più profondo, pulsionale, quello che si ribella e si
svincola dal controllo della ragione e della volontà. Quello che non permette
di tollerare la frustrazione del
rifiuto, dell’abbandono, del distacco. Quello che esprime il rabbioso
tormento del maschio privato del suo potere assoluto sul corpo e sulla mente
della femmina. Quello che mostra l’invidia e il rancore dell’uomo nei confronti
di donne che, conclusa la fase del coinvolgimento e del desiderio, mostrano di
considerarlo un essere indisponente e superfluo, donne che non si barattano con
due mucche e una capra, che non si comprano al mercato, come ancora accade in
qualche luogo di questo nostro mondo evoluto e tecnologico.
Non
è facile, però, trovare una spiegazione logica e univoca del perché un
individuo possa produrre un comportamento così estremo. Contrariamente a quanto
accade per la maggior parte degli omicidi, in questo tipo di delitti il movente
sembra essere l’attaccamento amoroso, un
attaccamento morboso, deformato, possessivo, sciupato e lacerato da continui
litigi e incomprensioni, ritmato da sfoghi aggressivi e plateali
pentimenti. Tra le pieghe di queste relazioni spesso si sviluppa una violenza
silenziosa, subdola, fatta di ricatti psicologici e morali, di continue
mortificazioni che genera, giorno dopo giorno, un penetrante vincolo con
l’aggressore difficile da accettare ma altrettanto difficile da sciogliere
perché, paradossalmente, diventa “normale”. Dietro le quinte di un comportamento delittuoso c’è comunque sempre una
storia malata e l’omicidio non è altro che la tragica, esasperata
risoluzione di un rapporto patologico la cui degenerazione si riflette
sull’amore alterandolo, soffocandolo, uccidendolo. In un’alta percentuale di casi
viene evocata l’aggravante della gelosia, di quella cieca paura del tradimento,
dell’abbandono, dell’umiliazione reale o simbolica che ferisce l’orgoglio e
l’egoismo maschile e che si esprime nelle forme moleste della rabbia e della
vendetta.
Negli
autori di crimini passionali prevale frequentemente una personalità borderline (Il disturbo borderline di personalità è
un grave disturbo di personalità caratterizzato da intensa
instabilità e conflittualità nelle relazioni interpersonali, paura
dell'abbandono, disregolazione emotiva, sensazione cronica di vuoto,
comportamenti autolesivi e impulsività) con tutto il suo
carico di disgregazione emotiva, di insicurezza, di rabbia repressa che esplode
nel momento in cui la vittima cerca di sottrarsi alla funzione che
inconsapevolmente ricopre. In altre parole l’assassino, temendo
contemporaneamente da un lato la simbiosi e la perdita della propria identità e
dall’altro l’abbandono, cerca di controllare le componenti irrisolte della
propria personalità attraverso il dominio e il possesso della sua compagna. Se
vede allontanarsi, anche in modo allucinatorio, questo suo punto di riferimento
vive l’angoscia che le sue certezze possano crollare e si sente perso.
L’origine, osservando il
fenomeno in un’ottica clinica, affonda le sue radici nell’infanzia e riporta a
due temi prevalenti. Quello dell’attaccamento
incerto e insicuro del bambino nei confronti della figura materna e quello del
vuoto affettivo e della mancanza di cure fisiche con conseguente fissazione sul
desiderio di un amore fusionale che impedisce la strutturazione di un
sentimento adulto. L’amore maturo e strutturato si fonda infatti su un
rapporto sano e gratificante con i propri genitori e sul positivo superamento
di tutte le fasi dello sviluppo psico-affettivo e sessuale. Del resto l’uomo
incontra durante la sua vita numerose separazioni. Da quella originaria, dal
ventre materno, a quelle dell’infanzia e dell’adolescenza, fino a quelle
vissute attraverso i cambiamenti del proprio corpo. La capacità di accettare e
di elaborare tali distacchi è determinata proprio dall’acquisizione, a livello
simbolico, di un nucleo protettivo adeguato a cui far riferimento nel momento
del bisogno. Se ciò non avviene le separazioni vengono vissute come g qualcosa
di catastrofico poiché la perdita dell’oggetto d’amore corrisponde alla perdita
di se stessi. Paura, solitudine,
incoerenza, rifiuto e abbandono possono quindi generare insicurezza, scarsa
autostima, dipendenza affettiva. Così, solo attraverso processi
compensatori di deformazione, cancellazione e generalizzazione, diventa
possibile ridefinire la realtà in modo da r enderla più prevedibile, più
tollerabile, più aderente ai propri bisogni dando significato al proprio senso
di incompiutezza e cercando nell’altro qualcuno con cui integrarsi, con cui
completarsi.
Ma
nella costruzione di questa realtà soggettiva e allucinatoria possono
mescolarsi e confondersi quelli che S. Karpman definisce i ruoli del “triangolo drammatico” e cioè quelli
della Vittima, del Salvatore e del
Persecutore. L’illusione di essere indispensabili all’altro può
progressivamente trasformarsi in un’ossessione che, spinta all’eccesso nel
tempo e nello spazio, può trasformare l’individuo in persecutore attraverso il
controllo rigido e la colpevolizzazione o attraverso un amore esasperato e
soffocante. E se la missione fallisce diventa poi facile indossare la maschera della vittima trasformando la partner
nella causa di tutti i propri mali, in colei che nonostante gli sforzi e
l’impegno ha negato l’amore offertole chiudendo il cerchio e riproponendo il
modello del rifiuto e dell’abbandono con tutto il suo carico di rabbia,
impotenza, animosità e disperazione. Per tale motivo quasi mai questo tipo di
crimini è frutto di un raptus omicida anche quando il delitto si presenta
irrazionale, illogico, folle. Seppure il
gesto appare spropositato questa forma di delitto si differenzia dall’atto
impulsivo proprio perché è frutto di una progressiva corrosione della volontà,
di una distorsione affettiva che paralizza il potere del controllo e del senso
critico, di un rabbioso tormento a lungo rimuginato che in un momento diventa
realtà. La morte è un mezzo di controllo estremo, un potente strumento di
potere e di superiorità, un delirante
atto di giustizia e di liberazione interiore e la lucidità è il cinico
correlato necessario per godersi tutta la scena…
Comunque
sia, per vendetta o per punizione, per paura dell’abbandono, della solitudine,
per sospetto o per collera, ad analizzare a fondo le statistiche, chiudere una
storia lasciando il proprio partner equivale ad avere circa il 30% di
probabilità di essere perseguitate, molestate, minacciate, picchiate o addirittura
uccise da lui. I maltrattamenti e le vessazioni il più delle volte sono lunghi
e articolati, fatti di messaggi ingiuriosi, richieste assillanti e ossessive ad
ogni ora del giorno e della notte, appostamenti e persecuzioni con incursioni
negli spazi privati delle vittime. Per questo dal 2009, seguendo le orme di
molti Paesi europei, ma non senza difficoltà e con la diffidenza di molti
politici e giuristi, anche in Italia è stato finalmente codificato il reato di stalking. Finalmente perché è
ormai confermato da studi e statistiche che chi uccide, violenta o picchia una
donna che conosceva bene, l’aveva già minacciata o perseguitata almeno una
volta.
È
agghiacciante pensare che nel mondo occidentale la maggior causa di mortalità
femminile è per mano di un uomo e che una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, è
stata vittima di qualche forma di violenza. Tradotto in numeri fa ancora più
impressione. Sei milioni743mila le vittime di violenza fisica o sessuale nel
corso della loro vita, sette milioni 134mila quelle che subiscono o hanno
subito violenza psicologica. Anche i dati sullo stalking mettono i brividi: in
poco più di un anno dall’entrata in vigore della legge gli arrestati sono stati
oltre 1.200 e i casi segnalati oltre 7mila.
Certo,
la violenza sulle donne è un fenomeno che si perde nella notte dei tempi, tanto
deplorevole quanto diffuso, espressione di una cultura che nonostante decenni
di femminismo, emancipazione, liberazione, pari dignità e pari opportunità
continua a considerare la donna una proprietà privata del maschio. “Qualcosa”
che gli appartiene e sulla quale può esercitare un potere e un diritto
assoluti, magari con la scusa di non essere stato capito, di non volerla
perdere, di amarla troppo. Per questo è assolutamente indispensabile che anche
le donne imparino a riconoscere la gravità delle violenze e a prevenirne gli
effetti eliminando radicalmente la tendenza a lasciar correre, a giustificare i
comportamenti aggressivi evitando illusioni salvifiche e materne, riconoscendo
la propria autonomia, la propria indipendenza, la propria libertà e non temendo la propria solitudine. E se
in questo fossero aiutate direttamente e indirettamente da strutture in grado
di avviare anche dei percorsi di sostegno e di recupero terapeutico delle
personalità violente, forse questa mattanza potrebbe, gradualmente, essere
circoscritta ed eliminata e non solo mitigata.
dott. Filippo Nicolini, psicoterapeuta area
sessuologia clinica
Un
passo in dietro
Questa situazione
veramente sconvolgente rimanda alla famiglia sia dell’uccisore come
dell’uccisa. Si tratta comunque di due
creature ferite psicologicamente fin dall’infanzia: “Carenza affettiva”, scarsa
“autostima”, scarso “Dominio di sé”, fretta di uscire di casa …
La
formazione della personalità dei figli dipende in gran parte dai genitori che
dovrebbero sapere che, fin dal concepimento comincia il loro compito di
trasmettere i grandi valori della dignità personale e della vita sociale in
genere. Anche se può sembrare il contrario, il bambino fin dai primi giorni di
vita stringe con i genitori un rapporto
empatico, che gli permette di cogliere i loro sentimenti e di impregnarne
la sua personalità vergine, quindi molto recettiva.
Certe immaturità o
personalità ferite, che poi sono le vittime di gravi problemi familiari,
rimandano proprio alla loro formazione iniziale, all’impostazione della loro
personalità. Ma esse si tramandano di generazione in generazione, se non si
decide di fermare la deriva, imparando a gestire personalmente il problema
senza tramandarlo.
Per fare questo la
persona deve acquistare il dominio di sé,
l’autocontrollo, la capacità di confronto di cui abbiamo parlato nella tappa
precedente.
Ma
sempre dei genitori è la colpa?
Dice Gesù: (Lc 6:43-45)
Non c'è albero
buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni
albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle
spine, né si vendemmia uva da un rovo. L'uomo buono trae fuori il bene dal buon
tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male,
perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
In realtà il
legame genitori – figli è molto importante e dovrebbe essere impostato
sull’amore ma a volte i genitori a loro volta sono carenti, non hanno raggiunto
la maturità che si richiederebbe a chi si rende responsabile della vita di
altre creature. Non basta saper fare i figli per metter su famiglia, bisogna
saper anche educare i figli, perché siano in grado di affrontare la vita con
tutte le sue incoerenze, i suoi tranelli, le sue assurdità.
Il periodo del fidanzamento è sommamente
importante a questo scopo: dovrebbe essere un tempo che la coppia si concede
per conoscere se la sua stessa formazione umana e cristiana ha raggiunto un
buon livello e anche se la maturazione del partner può garantire una buona
capacità di interagire per affrontare insieme le difficoltà della vita. Se li
unisce solo il desiderio di mettere fine alla solitudine, di uscire dalla casa
paterna divenuta opprimente o il desiderio del piacere sessuale immediato … si
rischia molto proprio perché non si conosce abbastanza l’altra persona
soprattutto negli aspetti del rispetto della libertà altrui, nell’accettazione
dell’insuccesso o del rifiuto, dei progetti infranti …
Ci sono persone
che proprio per carenze affettive, per scarsa autostima, per scarsa capacità di
dialogo, nel momento del rifiuto diventano pericolose perché non sono in grado
di gestire la frustrazione dell’abbandono, magari dopo aver subito già tanti
abbandoni nell’infanzia.
Se una persona
vuole farsi sostegno di queste fragilità, lo può anche fare ma deve esserne
consapevole e deve avere un alto dominio di sé per assorbire le conseguenze
delle sue frustrazioni. La Chiesa non chiede l’eroismo ma suggerisce che i
rapporti prematrimoniali non siano compromettenti. Dio fin dal Sinai ci ha dato
un comandamento, il sesto: “Non
fornicare, non commettere atti impuri, non commettere adulterio”, proprio
per metterci al riparo da eventuali maternità o paternità precoci, fuori tempo,
che ci troverebbero impreparati a portarne il peso.
Chi trasgredisce
il comando di Dio si può trovare anche in giovane età, a fare un passaggio
immediato dalla giovinezza ad una vecchiaia astiosa e indesiderata. Tante volte
proprio per tirarsi fuori da queste trappole si incorre in decisioni che
possono portare il partner all’esasperazione, alla disperazione e anche alla
violenza omicida.
Sintesi? La
giovinezza non va vissuta con superficialità, non ci sono licenze che ci
vengono concesse a diciotto anni e anche prima. Ci sono licenze pericolose che
non vanno concesse mai, pena gravi pericoli. Celebrare i diciotto anni non può
significare cominciare a vivere autonomamente evadendo dal controllo dei
genitori, deve significare invece passare dalla spensierata giovinezza ad una
vita responsabile. A mio giudizio si dovrebbero fare dei veri corsi di
maturazione della personalità affettiva e valoriale proprio per poter
affrontare il fidanzamento, che, fra l’altro, avrebbe bisogno di un rodaggio,
accompagnato da persone mature e responsabili.
So che questo
significherebbe svuotare l’amore di tutta la sua romanticità, la sua spontaneità, ma forse si formerebbero
famiglie molto più sane psicologicamente, molto più capaci di interagire, molto
più capaci di controllare la veemenza dei sentimenti propri e altrui, molto più
serene.
Dio è Padre e sa
ciò che ci fa veramente bene e ciò che potrebbe danneggiarci. Ma i comandamenti
di Dio ci sono dati per metterli in pratica, se oggi si preferisce annullarli,
poi non possiamo lamentarci delle conseguenze.
Tutto ciò che Dio vuole o permette e’ sempre il
maggior bene per noi, anche se ci sembra il contrario. Dio ci chiede un
po’ di sacrificio ma ci risparmia grandi sacrifici, grandi rimorsi e il rischio
della perdizione eterna.
Una
ricetta per il terzo millennio
Una
ricetta per il terzo millennio? “Coppia,
ritorna a Dio con tutto il cuore, seguilo come un Padre e una tenera Madre”,
ti ama troppo per vederti soffrire così, gli dispiace troppo che tu ti
abbrutisca nel peccato e rischi anche la tua vita per aver fatto delle scelte
sbagliate, dettate dalla voglia di piacere immediato, senza prevederne le
conseguenze.
Il
mondo non ci aiuta a fare scelte giuste, è troppo interessato ai nostri vizi ed
è impegnato potenziarli per trarne profitto economico, ci prospetta la felicità
materializzandocela in immagini allettanti ed ingannevoli, perché ne siamo
conquistati. Il mondo è un grande persuasore
occulto del quale non ci accorgiamo se non quando la sua trappola ci
stringe e non ci dà via di scampo. Non crediamogli, il “Fanno tutti così” non è un motivo perché facciamo altrettanto e poi
ci troviamo negli stessi pericoli, nello stesso disonore, dopo aver sparso
tanto male intorno a noi.
Uomo
del terzo millennio, pensa e rifletti, se veramente sei intelligente e libero,
e decidi.
PER LA REVISIONE PERSONALE
·
Ti
puoi ritenere soddisfatto della personalità che hai ricevuto? Sai fare scelte
di valore?
·
Rispetti
i comandamenti di Dio o li adatti secondo le circostanze?
·
Hai
trovato difficoltà nel tuo matrimonio? Riesci a gestirle dignitosamente?
·
Nella
tua famiglia si vive un clima sereno. Gli imprevisti vengono affrontati
insieme?
·
Riuscite
a correggervi senza offendervi? Sai tenere a bada le tue e le sue intemperanze?
·
Se
ti senti soddisfatto/a a cosa ne dai il merito? Alla fede, alla preghiera, alla
comunità?
·
Orienti
i tuoi figli a fare scelte responsabili? Li aiuti a vivere una sessualità sana
e santa?
·
Hai
qualcosa di cui pentirti e chiedere perdono a Dio? Preghi per i tuoi familiari?