IL MATRIMONIO NEL TERZO MILLENIO
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APRILE 2023

  I NOSTRI RAGAZZI SONO IPERCONNESSI? ECCO UN PROGETTO PER AIUTARLI  

Maurizio Ermisio

Se siete dei genitori, non potrete non aver notato nei vostri figli, già in tenerissima età, quell’attrazione quasi incantata per strumenti come il tablet e lo smartphone. E la loro facilità nell’usarlo. Questi nuovi mezzi, uniti poi ai luoghi virtuali a cui permettono di connettersi, cioè i social network, sono una risorsa importante, ma sono anche pericolosi. Per questo è stato varato il progetto Iperconnessi – Azioni di sensibilizzazione nei contesti scolastici sul tema della Dipendenza da Smartphone e Social media promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità solidale.

La prima fase si è appena conclusa, e il progetto continua. Il progetto Iperconnessi esplora le dipendenze da smartphone e da social media, le quali raggiungono in adolescenza livelli allarmanti, connotandosi nella forma di vere e proprie nuove patologie, ma si mostrano con preoccupante evidenza già ad età precedenti, nelle bambine e nei bambini frequentanti le scuole secondarie di primo grado e, addirittura, le scuole primarie.

Per i/le ragazzi/e, gli strumenti tecnologici hanno, da un lato, una funzione strumen-tale connessa alla ricerca di informazioni, allo studio, alle lezioni, al guardare video o ascoltare musica, ma ancora di più sembrano avere una funzione affettiva: nel corso degli incontri, infatti, è emersa la percezione che il tempo libero, spesso associato a stati di noia e isolamento, sia un contenitore vuoto che deve essere riempito. Allo stesso modo, appare pressante l’esigenza percepita di incrementare la rete di relazioni per appagare il bisogno di riconoscimento sociale. A seguito dell’emergenza coronavirus, i ragazzi riportano di aver intensificato di molto l’utilizzo di internet e tale aumento è ancora più rilevante in coloro che hanno percepito un elevato livello di stress, a causa dell’isolamento forzato e sperimentato più frequentemente stati affettivi negativi. Ne abbiamo parlato con Veronica Mammì, Assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale del Comune di Roma.

·      Da che riflessioni nasce il progetto “Iperconnessi”?

·      Da che parti sono arrivati i segnali che il problema della dipendenza da smartphone e da social fosse da affrontare?

«Negli ultimi anni la proliferazione dei dispositivi mobili e la diffusione dei profili social, tra i ragazzi e spesso anche tra i bambini, hanno alimentato la preoccupazione di studiosi ed esperti circa i possibili effetti negativi dell’iperconnessione. Le molteplici funzionalità del cellulare lo rendono uno strumento quasi indispensabile e utilizzabile ovunque. I bambini e le bambine crescono in un contesto dove la presenza dello smartphone appare perfettamente naturale e, nel corso della loro crescita, evolve su piani diversificati anche il rapporto psico-emotivo con lo strumento. Le dipendenze dal telefono e dai social media raggiungono in adolescenza livelli allarmanti, ma le prime manifestazioni sono già nelle scuole secondarie di primo grado e, addirittura, nelle scuole primarie.  È a partire da tali considerazioni e in un’ottica preventiva, che l’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità solidale e la Fondazione Roma Solidale, in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi del Lazio e con il contributo di IDEGO – Psicologia Digitale, hanno posto le basi per un intervento sperimentale finalizzato a coinvolgere ragazze/i e bambine/i degli istituti scolastici primari – con particolare riferimento al 4° e al 5° anno – e secondari di I grado del territorio romano, mediante azioni di sensibilizzazione volte ad informare e

formare ad un utilizzo corretto e consapevole dei nuovi strumenti di comunicazione».

Il momento particolare, la pandemia con il relativo lockdown e la dad, hanno rischiato di aggravare ulteriormente gli effetti collaterali dell’uso di smartphone e social media.
«La pandemia ha indubbiamente rappresentato una fase cruciale con un impatto rilevante sulle condotte dei ragazzi e delle ragazze, portando all’intensificazione dell’utilizzo dei dispositivi. Proprio per questo, con l’inizio dell’emergenza da COVID-19, si è evidenziata la necessità di rimodulare, ed in parte riformulare, obiettivi e azioni del progetto “Iperconnessi”, per renderlo capace di cogliere la complessità del momento e tradurlo in uno strumento utile “qui ed ora”, dunque perfettamente attuale. Abbiamo quindi riadattato il progetto ai tempi del Coronavirus, calando il tema nel contesto del lockdown e, successivamente, nella fase di convivenza con il virus che ancora stiamo vivendo. Con la riorganizzazione della didattica attraverso la dad abbiamo assistito a due fenomeni, che sarà interessante approfondire ulteriormente. Per alcuni alunni il lockdown ha portato ad un incremento dell’iperconnettività già presente, che ha supplito anche al contatto autentico/fisico con i propri amici e amiche. Per altri, invece, ha rappresentato l’irruzione delle nuove tecnologie in una quotidianità che fino allo scorso anno ne aveva fatto a meno. Dall’inizio della pandemia è emerso un aumento intensificato dell’utilizzo di internet da parte dei ragazzi, che è stato ancora più rilevante in coloro che hanno percepito un elevato stress a causa dell’isolamento forzato e sperimentato più frequentemente stati affettivi negativi. In ultima analisi, nella difficile fase che stiamo attraversando abbiamo vissuto tutti un tempo di iperconnessione, in cui sono stati coinvolti in modo improvviso anche i più piccoli. Grazie alla tecnologia abbiamo portato avanti lavoro, scuola, relazioni. È stato un aiuto prezioso, ma con dei rischi seri di dipendenza, specialmente per la fascia d’età cui è rivolto il progetto e che già prima era caratterizzata da un rapporto intenso con lo smartphone».

Cosa possiamo dire delle nuove patologie, dalla nomofobia (Timore ossessivo di non essere raggiungibile su smartfon) e la ringxiety (Ansia da squillo), fino al phubbing (Snobbare l’interlocutore per rispondere allo smartfon)?

«Una recente indagine (OCSE-PISA 2015) ha rilevato come il 23,3% degli adolescenti italiani – uno dei valori più alti al mondo – dichiari di trascorrere più di 6 ore al giorno online e il 47% affermi addirittura di “sentirsi male in assenza di una connessione ad Internet”. Ed è chiaro come questi dati tendano a salire di anno in anno. A ciò si lega il rischio crescente di dipendenza e di nuove patologie. In questo senso iniziano ansia e disturbi correlati all’iperconnessione. Il termine inglese nomophobia, nato dall’abbreviazione di “no-mobile-phone”, indica il terrore di rimanere a circolare neologismi per segnalare sconnessi dalla rete mobile. Il termine ringxiety nasce invece dalla fusione di “ring” e “anxiety” ed indica il disturbo di cui soffre chi crede di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare. Negli ultimi anni, si parla molto anche di phubbing (termine nato dalla crasi di phone e snubbing, ossia snobbare, ignorare, mediante lo smartphone), cioè l’atteggiamento sgarbato che indurrebbe a controllare continuamente lo smartphone alla ricerca di novità, isolandosi e trascurando la compagnia in carne ed ossa: basti pensare a certi scenari paradossali a cui ci stavamo abituando prima del lockdown, come ad esempio le tavolate di amici e familiari nelle quali ciascuno appare spesso assorbito nel rapporto con il proprio smartphone ed in definitiva isolato dal contesto relazionale e dal suo stesso vicino di sedia. In generale, questi neologismi rappresentano i primi tentativi di descrivere un fenomeno globale, ma hanno ancora bisogno di conferme e maggiore scientificità. Proprio per questo, per il progetto “Iperconnessi”, abbiamo pensato a una fase iniziale di esplorazione del fenomeno, in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi del Lazio, al fine di comprendere meglio il campo di analisi».

·      Cosa si può dire della funzione affettiva che, accanto a quella strumentale, hanno questi strumenti tecnologici?

«Per i/le ragazzi/e, gli strumenti tecnologici hanno, da un lato, una funzione strumentale connessa alla ricerca di informazioni, allo studio, alle lezioni, al guardare video o ascoltare musica, ma ancora di più sembrano avere una funzione affettiva: nel corso degli incontri svoltisi a scuola, in questa fase grazie alla Didattica a Distanza, è infatti emersa la percezione che il tempo libero, spesso associato a stati di noia e isolamento, sia un contenitore vuoto da riempire. Allo stesso modo, appare pressante l’esigenza percepita di incrementare la rete di relazioni per appagare il bisogno di riconoscimento sociale. La maggior parte del tempo giornaliero speso nell’uso dei dispositivi risulta dunque associato al bisogno di far fronte alle emozioni negative, alla ricerca dell’approvazione degli altri ed al tentativo di migliorare le proprie interazioni sociali».

·      Siete stupiti che la fruizione di tecnologie e social media inizi così in tenera età?

«Mi sembra importante fare una premessa “di metodo”. Di fronte a un fenomeno ormai radicato nelle nostre società, agli adulti (che a differenza dei lori figli non sono “nativi digitali”) spetta il compito di porsi in posizione di ascolto nei confronti dei nuovi strumenti e linguaggi, ma anche la responsabilità di comprendere e gestire i rischi associati alle nuove condotte che regolano le vite sociali ed affettive dei bambini e dei ragazzi. Nella nostra epoca, la possibilità di essere connessi rappresenta ormai una risorsa imprescindibile per la formazione e il mantenimento della socialità, così come per la ricerca delle informazioni e l’organizzazione delle routine quotidiane. Si tratta di un dato di fatto che non possiamo ignorare: al contrario, abbiamo la responsabilità, come adulti e come amministratori, di comprendere lo scenario garantendo salute e sicurezza per gli adulti di domani».

RIFLETTIAMO INSIEME

Gli esperti, lo Stato, la Scuola possono e devono fare qualcosa per affrontare questo problema ma sono soprattutto le famiglie che devono vigilare perché la connessione non diventi una dipendenza. Non occorre neanche lo psicologo per capire che i ragazzi si rifugiano nello smartfon perché diamo loro poche possibilità di socializzare con coetanei.

C’è poco tempo libero per i ragazzi ultra impegnati nella scuola e nelle attività extrascolastiche, poco tempo per intrattenere relazioni per parlare di sé, per confrontarsi, per identificarsi nel rapporto con coetanei. Il tempo che passano nella scuola è un tempo programmato per l’erudizione, così pure i tempi per lo sport. Invece i ragazzi hanno bisogno di tempo per confrontarsi, un tempo libero da gestire e quindi usare anche la creatività. Procurare questo tempo ai propri figli è compito dei genitori proprio per colmare quel senso di vuoto o di inutilità che subentra quando sembra che la tua vita non interessi a nessuno.

Il cellulare si usa per ovviare alla solitudine ma poi crea la solitudine; infatti le relazioni che si stringono con internet sono anche pericolose perché non verificate attraverso lo sguardo, il contatto fisico, le scelte condivise … ma sono facili, non ti chiedono di spostarti da casa, puoi raggiungerli senza il permesso dei genitori, possono prenderti anche molto tempo, ti possono distogliere dallo studio e dagli altri doveri dei ragazzi … ovviamente ti possono anche deludere se da questi contatti emergono iniziative che da solo il ragazzo non prenderebbe e difficilmente queste iniziative sono di alto profilo morale.

Il genitore che può fare? Può organizzare la vita di famiglia in maniera tale che l’attenzione deve necessariamente essere spostata ad altro: gite familiari, visite istruttive, fini settimana anche all’insegna del sano divertimento. E poi parlare, parlare molto con i propri figli, rispondere alle loro domande, fare in modo che essi stessi pongano delle domande in base a ciò che accade nel nostro mondo. Ma l’adulto deve sempre affrontare i problemi con un giudizio moderato non scandalistico ma critico, nel senso che si vedono gli aspetti positivi del problema e quelli negativi, cercando, ovviamente, di fare quelle scelte delle quali non dovremo poi pentirci.

 

SEI DIPENDENTE DA INTERNET? FAI IL TEST E SEGUI QUESTI CONSIGLI

L’uso scorretto di internet e social network, oltre a indurre a una seria incapacità di staccarsi dal dispositivo, può assumere aspetti ‘inquietanti’:

1)             dalla no mobile fobia (paura di rimanere senza connessione mobile)

2)             al vamping (stare tutta la notte in chat),

3)             dalla F.O.M.O (fear of missing out, ovvero timore di essere tagliati fuori dalle reti social)

4)             hikikomori (termine giapponese che significa ‘stare in disparte’ indica soggetti che fanno un

uso esagerato della rete con condotte di ritiro sociale),

5)             cyberbullismo (bullismo in rete),

6)             sexting (sesso virtuale)  

7)             sextortion (attività illegale che utilizza lo strumento informatico per costringere le vittime a pratiche sessuali per poi ricattarle),  

8)             compulsive online gambling (gioco d’azzardo online compulsivo)

9)             narcisismo digitale (egocentrismo patologico nel mondo virtuale),

10)         phubbing (tendenza a ignorare gli altri perché immersi nel proprio cellulare)  

11)         dipendenza dai videogiochi, quest’ultima di recente catalogata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) tra i disturbi mentali.

I sintomi

Attacchi d’ansia, appiattimento emotivo, decadimento cognitivo, alterazione del ritmo sonno-veglia:

«Chi ha una dipendenza da internet, non frequenta la Rete per necessità o svago ma per rispondere a un impulso incontenibile (Craving) che lo spinge alla totale perdita di controlloIl comportamento è patologico quando la relazione che si instaura tra il soggetto e un oggetto (sia esso una sostanza stupefacente sia essa una tossicomania oggettuale: gioco d’azzardo, internet, videogiochi…) diventa compulsiva e reiterata, incontrollabile da parte dal soggetto.

La parola alla psicologa Maria Rosaria Montemurro, Psicologa clinica, Psicologa perinatale e Psicoterapeuta familiare.

Il risultato è un uso protratto nel tempo, con una seria incapacità al distacco dal dispositivo, nel caso specifico, con conseguente sviluppo off-line di ansia e agitazione come sintomi astinenziali, tali da invalidare la vita quotidiana del soggetto (relazioni interpersonali familiari e sociali, affettività, performance lavorative e scolastiche)».

Gli effetti collaterali

Secondo l’ultimo rapporto Agi-Censis, il 22,7% degli utenti della rete ha spesso la sensazione di essere dipendente da internet e l’11,7% dichiara di vivere con ansia un’eventuale mancanza di connessione. La gran parte degli utenti internet è online anche prima di dormire (77,7%) e subito dopo la sveglia (63,0%); il 61,7% utilizza i dispositivi anche a letto (tra i giovani si arriva al 79,7%) e il 34,1% a tavola (la percentuale sale al 49,7% fra i giovani). Per l’11,2% l’utilizzo della rete è fonte di collisioni con i propri familiari.

Ne sei consapevole?

Come si evince dal rapporto, la platea interessata dal fenomeno della dipendenza da internet è piuttosto vasta e non sempre chi ne soffre è consapevole della sua dipendenza dalla rete.

«Gli Internet dipendenti sono coloro che soddisfano quattro o più dei seguenti criteri nel corso di dodici mesi», spiega la psicologa:

Sei Internet Dipendente? Fai il test

 

·         Essere mentalmente assorbito da Internet

·         Avvertire il bisogno di usare Internet sempre più a lungo per sentirsi soddisfatto

·         Essere incapaci di controllare il proprio utilizzo della rete

·         Sentirsi inquieto o irritabile mentre si tenta di ridurre o interrompere l’utilizzo di Internet

·         Usare Internet come mezzo per fuggire dai problemi o per alleviare il senso di abbandono, impotenza, colpa, ansia o depressione

·         Mentire ai familiari o agli amici per nascondere il proprio grado di interesse per la rete

·         Avere messo a repentaglio o aver rischiato di perdere una relazione significativa, il lavoro o opportunità di studio e di lavoro a causa di Internet

·         Tornare in rete anche dopo aver speso grandi somme di denaro per i collegamenti

·         Ritiro sociale quando si è off-line (aumento di depressione e ansia)

·         Rimanere collegati più a lungo di quanto si era programmato all’inizio

Consigli pratici contri la dipendenza da internet

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