Maurizio Ermisio
Se siete dei
genitori, non potrete non aver notato nei vostri figli, già in tenerissima età,
quell’attrazione quasi incantata per strumenti come il tablet e lo smartphone.
E la loro facilità nell’usarlo. Questi nuovi mezzi, uniti poi ai luoghi
virtuali a cui permettono di connettersi, cioè i social network, sono una
risorsa importante, ma sono anche pericolosi. Per questo è stato varato il
progetto Iperconnessi – Azioni di sensibilizzazione nei
contesti scolastici sul tema della Dipendenza da Smartphone e Social media
promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità solidale.
La prima fase si
è appena conclusa, e il progetto continua. Il progetto Iperconnessi esplora le
dipendenze da smartphone e da social media, le quali raggiungono in adolescenza
livelli allarmanti, connotandosi nella forma di vere e proprie nuove patologie,
ma si mostrano con preoccupante evidenza già ad età precedenti,
nelle bambine e nei bambini frequentanti le scuole secondarie di primo grado e,
addirittura, le scuole primarie.
Per i/le
ragazzi/e, gli strumenti tecnologici hanno, da un lato, una funzione
strumen-tale connessa alla ricerca di informazioni, allo studio, alle
lezioni, al guardare video o ascoltare musica, ma ancora di più sembrano avere
una funzione affettiva: nel corso degli incontri, infatti, è emersa la
percezione che il tempo libero, spesso associato a stati di noia e isolamento,
sia un contenitore vuoto che deve essere riempito. Allo stesso modo, appare
pressante l’esigenza percepita di incrementare la rete di relazioni per
appagare il bisogno di riconoscimento sociale. A seguito dell’emergenza
coronavirus, i ragazzi riportano di aver intensificato di molto l’utilizzo di
internet e tale aumento è ancora più rilevante in coloro che hanno percepito un
elevato livello di stress, a causa dell’isolamento forzato e sperimentato più
frequentemente stati affettivi negativi. Ne abbiamo parlato con Veronica
Mammì, Assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale del Comune di
Roma.
·
Da che riflessioni nasce il
progetto “Iperconnessi”?
· Da che parti sono arrivati i segnali che il problema della dipendenza da
smartphone e da social fosse da affrontare?
«Negli ultimi
anni la proliferazione dei dispositivi mobili e la diffusione dei profili
social, tra i ragazzi e spesso anche tra i bambini, hanno alimentato la
preoccupazione di studiosi ed esperti circa i possibili effetti negativi
dell’iperconnessione. Le molteplici
funzionalità del cellulare lo rendono uno strumento quasi indispensabile e
utilizzabile ovunque. I bambini e le bambine crescono in un contesto dove
la presenza dello smartphone appare perfettamente naturale e, nel corso della
loro crescita, evolve su piani diversificati anche il rapporto psico-emotivo
con lo strumento. Le dipendenze dal telefono e dai social media raggiungono in
adolescenza livelli allarmanti, ma le prime manifestazioni sono già nelle
scuole secondarie di primo grado e, addirittura, nelle scuole primarie. È
a partire da tali considerazioni e in un’ottica preventiva, che l’Assessorato
alla Persona, Scuola e Comunità solidale e la Fondazione Roma Solidale,
in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi del Lazio e con il
contributo di IDEGO – Psicologia Digitale, hanno posto le basi per
un intervento sperimentale finalizzato a coinvolgere ragazze/i e bambine/i
degli istituti scolastici primari – con particolare riferimento al 4° e al 5°
anno – e secondari di I grado del territorio romano, mediante azioni di
sensibilizzazione volte ad informare e
formare ad un utilizzo corretto e consapevole dei
nuovi strumenti di comunicazione».
Il momento
particolare, la pandemia con il relativo lockdown e la dad, hanno rischiato di
aggravare ulteriormente gli effetti collaterali dell’uso di smartphone e social
media.
«La pandemia ha indubbiamente rappresentato una fase cruciale con un impatto
rilevante sulle condotte dei ragazzi e delle ragazze, portando
all’intensificazione dell’utilizzo dei dispositivi. Proprio per questo, con
l’inizio dell’emergenza da COVID-19, si è evidenziata la necessità di
rimodulare, ed in parte riformulare, obiettivi e azioni del progetto
“Iperconnessi”, per renderlo capace di cogliere la complessità del momento e
tradurlo in uno strumento utile “qui ed ora”, dunque perfettamente attuale.
Abbiamo quindi riadattato il progetto ai tempi del Coronavirus, calando il tema
nel contesto del lockdown e, successivamente, nella fase di convivenza con il
virus che ancora stiamo vivendo. Con la riorganizzazione della didattica
attraverso la dad abbiamo assistito a due fenomeni, che sarà interessante
approfondire ulteriormente. Per alcuni alunni il lockdown ha portato ad un
incremento dell’iperconnettività già presente, che ha supplito anche al
contatto autentico/fisico con i propri amici e amiche. Per altri, invece, ha
rappresentato l’irruzione delle nuove tecnologie in una quotidianità che fino
allo scorso anno ne aveva fatto a meno. Dall’inizio della pandemia è emerso un
aumento intensificato dell’utilizzo di internet da parte dei ragazzi, che è
stato ancora più rilevante in coloro che hanno percepito un elevato stress a
causa dell’isolamento forzato e sperimentato più frequentemente stati affettivi
negativi. In ultima analisi, nella difficile fase che stiamo attraversando
abbiamo vissuto tutti un tempo di iperconnessione, in cui sono stati coinvolti
in modo improvviso anche i più piccoli. Grazie alla tecnologia abbiamo portato
avanti lavoro, scuola, relazioni. È stato un aiuto prezioso, ma con dei rischi
seri di dipendenza, specialmente per la fascia d’età cui è rivolto il progetto
e che già prima era caratterizzata da un rapporto intenso con lo smartphone».
Cosa possiamo
dire delle nuove patologie, dalla nomofobia (Timore ossessivo di non essere raggiungibile su smartfon) e la
ringxiety (Ansia da squillo), fino al phubbing (Snobbare
l’interlocutore per rispondere allo smartfon)?
«Una recente
indagine (OCSE-PISA 2015) ha rilevato come il 23,3% degli adolescenti italiani
– uno dei valori più alti al mondo – dichiari di trascorrere più di 6 ore al
giorno online e il 47% affermi addirittura di “sentirsi male in assenza di una
connessione ad Internet”. Ed è chiaro come questi dati tendano a salire di anno
in anno. A ciò si lega il rischio crescente di dipendenza e di nuove patologie.
In questo senso iniziano ansia e
disturbi correlati all’iperconnessione. Il termine inglese nomophobia, nato
dall’abbreviazione di “no-mobile-phone”, indica il terrore di rimanere a
circolare neologismi per segnalare sconnessi dalla rete mobile. Il termine
ringxiety nasce invece dalla fusione di “ring” e “anxiety” ed indica il disturbo di cui soffre chi crede di
avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio
cellulare. Negli ultimi anni, si parla molto anche di phubbing (termine nato dalla crasi di phone e snubbing, ossia snobbare, ignorare, mediante lo smartphone), cioè
l’atteggiamento sgarbato che indurrebbe a controllare continuamente lo
smartphone alla ricerca di novità, isolandosi e trascurando la compagnia in
carne ed ossa: basti pensare a certi scenari paradossali a cui ci stavamo
abituando prima del lockdown, come ad esempio le tavolate di amici e familiari
nelle quali ciascuno appare spesso assorbito nel rapporto con il proprio
smartphone ed in definitiva isolato dal contesto relazionale e dal suo stesso
vicino di sedia. In generale, questi
neologismi rappresentano i primi tentativi di descrivere un fenomeno globale,
ma hanno ancora bisogno di conferme e maggiore scientificità. Proprio per
questo, per il progetto “Iperconnessi”, abbiamo pensato a una fase iniziale di
esplorazione del fenomeno, in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi del
Lazio, al fine di comprendere meglio il campo di analisi».
·
Cosa si può dire della
funzione affettiva che, accanto a quella strumentale, hanno questi strumenti
tecnologici?
«Per i/le
ragazzi/e, gli strumenti tecnologici hanno, da un lato, una funzione
strumentale connessa alla ricerca di informazioni, allo studio, alle lezioni,
al guardare video o ascoltare musica, ma ancora di più sembrano avere una
funzione affettiva: nel corso degli incontri svoltisi a scuola, in questa fase
grazie alla Didattica a Distanza, è infatti emersa la percezione che il tempo
libero, spesso associato a stati di noia e isolamento, sia un contenitore vuoto da riempire. Allo stesso modo, appare
pressante l’esigenza percepita di incrementare la rete di relazioni per
appagare il bisogno di riconoscimento sociale. La maggior parte del tempo
giornaliero speso nell’uso dei dispositivi risulta dunque associato al bisogno
di far fronte alle emozioni negative, alla ricerca dell’approvazione degli
altri ed al tentativo di migliorare le proprie interazioni sociali».
·
Siete stupiti che la fruizione
di tecnologie e social media inizi così in tenera età?
«Mi sembra importante fare una premessa “di metodo”. Di fronte a un fenomeno
ormai radicato nelle nostre società, agli adulti (che a differenza dei lori
figli non sono “nativi digitali”) spetta il compito di porsi in posizione di
ascolto nei confronti dei nuovi strumenti e linguaggi, ma anche la
responsabilità di comprendere e gestire i rischi associati alle nuove condotte
che regolano le vite sociali ed affettive dei bambini e dei ragazzi. Nella
nostra epoca, la possibilità di essere connessi rappresenta ormai una risorsa
imprescindibile per la formazione e il mantenimento della socialità, così come
per la ricerca delle informazioni e l’organizzazione delle routine quotidiane.
Si tratta di un dato di fatto che non possiamo ignorare: al contrario, abbiamo
la responsabilità, come adulti e come amministratori, di comprendere lo
scenario garantendo salute e sicurezza per gli adulti di domani».
RIFLETTIAMO INSIEME
Gli esperti, lo
Stato, la Scuola possono e devono fare qualcosa per affrontare questo problema
ma sono soprattutto le famiglie che
devono vigilare perché la connessione non diventi una dipendenza. Non
occorre neanche lo psicologo per capire che i ragazzi si rifugiano nello smartfon
perché diamo loro poche possibilità di socializzare con coetanei.
C’è poco tempo libero per i ragazzi ultra impegnati nella scuola e nelle attività extrascolastiche, poco tempo
per intrattenere relazioni per parlare di sé, per confrontarsi, per identificarsi
nel rapporto con coetanei. Il tempo che passano nella scuola è un tempo
programmato per l’erudizione, così pure i tempi per lo sport. Invece i ragazzi
hanno bisogno di tempo per confrontarsi, un tempo libero da gestire e quindi
usare anche la creatività. Procurare questo tempo ai propri figli è compito dei
genitori proprio per colmare quel senso di vuoto o di inutilità che subentra
quando sembra che la tua vita non interessi a nessuno.
Il cellulare si usa per ovviare alla solitudine ma poi
crea la solitudine; infatti le relazioni che si stringono con internet
sono anche pericolose perché non verificate attraverso lo sguardo, il contatto
fisico, le scelte condivise … ma sono facili, non ti chiedono di spostarti da
casa, puoi raggiungerli senza il permesso dei genitori, possono prenderti anche
molto tempo, ti possono distogliere dallo studio e dagli altri doveri dei
ragazzi … ovviamente ti possono anche deludere se da questi contatti emergono
iniziative che da solo il ragazzo non prenderebbe e difficilmente queste
iniziative sono di alto profilo morale.
Il genitore che può fare? Può organizzare la vita di famiglia in maniera tale che l’attenzione deve
necessariamente essere spostata ad altro: gite familiari, visite istruttive,
fini settimana anche all’insegna del sano divertimento. E poi parlare, parlare
molto con i propri figli, rispondere alle loro domande, fare in modo che essi
stessi pongano delle domande in base a ciò che accade nel nostro mondo. Ma
l’adulto deve sempre affrontare i problemi con un giudizio moderato non
scandalistico ma critico, nel senso che si vedono gli aspetti positivi del
problema e quelli negativi, cercando, ovviamente, di fare quelle scelte delle
quali non dovremo poi pentirci.
SEI DIPENDENTE DA INTERNET?
FAI IL TEST E SEGUI QUESTI CONSIGLI
L’uso scorretto di internet e social network, oltre a
indurre a una seria incapacità di staccarsi dal dispositivo, può assumere
aspetti ‘inquietanti’:
1)
dalla no
mobile fobia (paura di rimanere senza connessione mobile)
2)
al vamping (stare
tutta la notte in chat),
3)
dalla F.O.M.O (fear
of missing out, ovvero timore di essere tagliati fuori dalle reti social)
4)
hikikomori (termine
giapponese che significa ‘stare in disparte’ indica soggetti che fanno un
uso esagerato della rete con condotte di ritiro
sociale),
5)
cyberbullismo (bullismo
in rete),
6)
sexting (sesso
virtuale)
7)
sextortion (attività
illegale che utilizza lo strumento informatico per costringere le vittime a
pratiche sessuali per poi ricattarle),
8)
compulsive online gambling (gioco d’azzardo online compulsivo)
9)
narcisismo digitale (egocentrismo patologico nel mondo virtuale),
10)
phubbing (tendenza
a ignorare gli altri perché immersi nel proprio cellulare)
11)
dipendenza dai videogiochi, quest’ultima di recente catalogata dall’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) tra i disturbi mentali.
I sintomi
Attacchi d’ansia, appiattimento
emotivo, decadimento cognitivo,
alterazione del ritmo sonno-veglia:
«Chi ha una dipendenza da internet, non frequenta la Rete per necessità o
svago ma per
rispondere a un impulso incontenibile (Craving) che lo spinge alla totale
perdita di controllo. Il comportamento è patologico quando
la relazione che si instaura tra il soggetto e un oggetto (sia esso
una sostanza stupefacente sia essa una tossicomania oggettuale: gioco
d’azzardo, internet, videogiochi…) diventa compulsiva e
reiterata, incontrollabile da parte dal soggetto.
La parola alla psicologa
Maria
Rosaria Montemurro, Psicologa clinica, Psicologa perinatale e Psicoterapeuta
familiare.
Il risultato
è un uso protratto nel tempo, con una seria incapacità al distacco dal
dispositivo, nel caso specifico, con conseguente sviluppo off-line di
ansia e agitazione come sintomi astinenziali, tali da invalidare la vita
quotidiana del soggetto (relazioni interpersonali familiari e sociali,
affettività, performance lavorative e scolastiche)».
Gli effetti collaterali
Secondo
l’ultimo rapporto Agi-Censis, il 22,7% degli utenti della rete ha
spesso la sensazione di essere dipendente da internet e l’11,7%
dichiara di vivere con ansia un’eventuale mancanza di connessione. La
gran parte degli utenti internet è online anche prima di dormire
(77,7%) e subito dopo la sveglia (63,0%); il 61,7% utilizza i dispositivi
anche a letto (tra i giovani si arriva al 79,7%) e il 34,1% a tavola (la
percentuale sale al 49,7% fra i giovani). Per l’11,2% l’utilizzo della
rete è fonte di collisioni con i propri familiari.
Ne sei consapevole?
Come si
evince dal rapporto, la platea interessata dal fenomeno della dipendenza da
internet è piuttosto vasta e non sempre chi ne soffre è consapevole
della sua dipendenza dalla rete.
«Gli
Internet dipendenti sono coloro che soddisfano quattro o più dei
seguenti criteri nel corso di dodici mesi», spiega la
psicologa:
Sei Internet Dipendente? Fai il test
·
Essere mentalmente
assorbito da Internet
·
Avvertire il
bisogno di usare Internet sempre più a lungo per sentirsi
soddisfatto
·
Essere incapaci
di controllare il proprio utilizzo della rete
·
Sentirsi inquieto
o irritabile mentre si tenta di ridurre o interrompere l’utilizzo di
Internet
·
Usare
Internet come mezzo per fuggire dai problemi o per alleviare
il senso di abbandono, impotenza, colpa, ansia o depressione
·
Mentire ai familiari o agli amici per nascondere il proprio grado di interesse
per la rete
·
Avere messo
a repentaglio o aver rischiato di perdere una relazione significativa, il
lavoro o opportunità di studio e di lavoro a causa di Internet
·
Tornare in rete anche
dopo aver speso grandi somme di denaro per i collegamenti
·
Ritiro sociale quando
si è off-line (aumento di depressione e ansia)
·
Rimanere collegati
più a lungo di quanto si era programmato all’inizio
Consigli pratici contri la dipendenza da
internet