Sant’Agostino
Il matrimonio è un bene e se ne ricercano i motivi (1, 1 - 12, 14)
L'esempio di Gesù Cristo.
21. 26. Ma perché si capisca più chiaramente come la virtù possa rimanere nella disposizione abituale anche senza passare in atto, porterò un esempio di cui non dubita nessun cattolico. Infatti nostro Signore Gesù Cristo ebbe fame e sete, mangiò e bevve nella realtà della carne: nessuno di coloro che prestano fede al suo Vangelo lo mette in dubbio. Dunque forse non c'era in Lui quanto in Giovanni Battista la virtù di astenersi dal cibo e dalla bevanda? Giovanni è venuto, senza mangiare né bere, e hanno detto: è posseduto dal demonio; è venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e hanno detto: è mangiatore e bevitore, amico dei pubblicani e dei peccatori 66. E forse non dicono così anche dei nostri santi Padri, compartecipi della sua stirpe, perché in quello che riguarda i rapporti carnali hanno usato diversamente i beni terreni: Ecco uomini libidinosi e impuri, amatori di donne e di lascivie ? Eppure non era giusta l'accusa contro di Lui, anche se era vero che non si asteneva come Giovanni dal mangiare e dal bere, dato che Egli stesso disse in modo estremamente chiaro e veritiero: Venne Giovanni senza mangiare né bere; è venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve. Così non è giusta neppure l'accusa contro quei santi Padri. È venuto or non è molto yl'Apostolo di Cristo senza nozze e senza figli, e i pagani hanno detto: Era mago; e venne un tempo il profeta di Cristo sposandosi e procreando, e i manichei hanno detto: Era lussurioso. E la sapienza fu giustificata dai suoi figli 67, soggiunse il Signore, quando pronunciò quella frase riguardo a Giovanni e a se stesso. La sapienza, come Egli disse, fu giustificata dai suoi figli, perché essi vedono che la virtù della continenza deve sempre essere nella disposizione abituale dell'animo e manifestarsi in pratica secondo i casi e i momenti opportuni. Così la virtù della pazienza è apparsa in atto nei santi che hanno subìto il martirio, ma è rimasta lo stesso come disposizione abituale negli altri che furono ugualmente santi. Per questo la pazienza di Pietro, che subì il martirio, non ha maggior merito rispetto a quella di Giovanni che non lo subì; così in Giovanni, che non sperimentò il matrimonio, il merito della continenza non è maggiore che in Abramo, anche se questi ebbe figli. Sia il celibato dell'uno sia il matrimonio dell'altro militarono per Cristo secondo le diverse esigenze dei tempi: Giovanni metteva la continenza in atto, Abramo invece la conservava in abito.
I santi Padri erano continenti nella disposizione abituale dell'animo.
22. 27. Dunque nel tempo in cui la legge successiva all'epoca dei Patriarchi chiamò maledetto chi non continuasse la stirpe in Israele 68, anche chi era in grado di vivere in continenza, non estrinsecava questa virtù che pure possedeva. Ma poi venne la pienezza dei tempi 69 e fu detto: Chi può comprendere, comprenda 70. Da allora fino ad oggi, e da oggi fino alla fine, chi ha la capacità la mette in opera; chi non vuole metterla in opera, non dica bugiardamente di possederla. Coloro che con discorsi malvagi corrompono i buoni costumi 71, dicono con inutile e vuota malizia al cristiano continente e che rifiuta il matrimonio: Tu dunque sei migliore di Abramo? Egli, quando sente una domanda del genere, non si scomponga e non osi rispondere: Sì, sono migliore. Ma non si lasci distogliere dal suo proponimento: una risposta come quella non sarebbe secondo verità, una decisione come questa non sarebbe secondo saggezza. Dica invece: No, io non sono migliore di Abramo; certo la castità dei celibi è superiore alla castità delle nozze; ma Abramo le possedeva entrambe nella disposizione abituale, anche se ne metteva in atto una sola. Egli visse castamente nel matrimonio, ma avrebbe potuto essere casto senza matrimonio, solo che allora non si doveva. Per me certo è più facile non sposarmi come si è sposato Abramo piuttosto che usare delle nozze nello stesso modo in cui le usò Abramo: e perciò sono migliore di quelli che per l'incontinenza non possono quello che posso io, non di quelli che per la diversità dell'epoca non fecero quello che faccio io. Infatti quello che faccio io oggi, essi lo avrebbero fatto meglio, se allora fosse stato necessario; ma quello che fecero loro, io non potrei farlo alla stessa maniera, anche se ora fosse necessario. Ma forse un simile cristiano si può sentire e riconoscere in grado di rivolgersi al matrimonio per un qualche dovere religioso, conservando integra nell'abito interiore la virtù della continenza; nel qual caso sarebbe marito e padre allo stesso modo di Abramo. Allora osi pure apertamente rispondere a quel capzioso interrogatore: Non sono certo migliore di Abramo, per quanto riguarda, si intende, questo genere di continenza di cui egli non era privo, per quanto non in maniera esteriore. Ma sono pari a lui, perché ho le medesime qualità, pur agendo diversamente. Dica apertamente così, perché anche se si gloria, non lo fa stoltamente: infatti dice la verità 72. Ma se si astiene da una risposta del genere, perché qualcuno non lo ritenga presuntuoso rispetto a quello che vede o sente dire di lui, distolga il nodo della questione dalla sua persona e risponda all'argomento in sé: Chi può fare altrettanto, è tale quale fu Abramo. Può avvenire che la virtù della continenza nell'animo di chi rinuncia alle nozze sia inferiore a quella che ebbe Abramo, ma tuttavia è superiore a quella di colui che osserva la castità del matrimonio per il semplice fatto che non può osservarne una più meritoria. Così anche una donna non sposata, che pensa alle cose del Signore e a essere santa di corpo e di spirito 73, quando udrà questa domanda sconsiderata: Tu dunque sei migliore di Sara? Risponda: Io sono migliore, ma di quelle che sono prive della virtù della continenza, e non credo che questa mancasse a Sara; ella si comportò con questa virtù come quell'epoca richiedeva; ma io oggi ne sono esentata, pertanto ciò che ella conservava nell'animo, in me si può manifestare anche nel corpo.
La castità della continenza supera la castità nuziale.
23. 28. Se paragoniamo dunque le cose in sé, in nessun modo bisogna dubitare che la castità della continenza è migliore della castità nuziale, benché entrambe siano un bene; ma se paragoniamo fra loro gli uomini, è migliore quello che possiede un determinato bene in grado maggiore di un altro individuo. Infatti chi ha un grado maggiore del medesimo bene ha anche quello minore; ma chi ha soltanto quello minore certo non ha quello maggiore. Infatti nel sessanta è contenuto anche il trenta, ma nel trenta non è contenuto anche il sessanta. Perciò non utilizzare nelle opere il bene posseduto dipende dalla diversa distribuzione dei doveri, non dalla mancanza della capacità: uno non mancherà certo del bene della misericordia solo perché non trova dei miseri da poter aiutare con la misericordia.
Il bene dell'obbedienza supera quello della continenza.
23. 29. A ciò si aggiunge che non si possono paragonare correttamente tra loro gli individui considerando un solo bene. Infatti può avvenire che uno non abbia il bene che ha un altro, ma ne possieda uno diverso che è da stimarsi di più. Infatti è maggiore il bene dell'obbedienza che quello della continenza: in effetti mai dall'autorità delle nostre Scritture è condannato il matrimonio, ma la disobbedienza non è mai assolta. Se dunque prendiamo una che intende rimanere vergine, ma che tuttavia non è obbediente, e una maritata che non abbia potuto rimanere vergine, ma che tuttavia è obbediente, quale dovremo chiamare migliore? Quella che è meno lodevole che se fosse vergine, o quella che è condannabile anche se vergine? Allo stesso modo, se tu paragonassi una vergine dedita al bere con una coniugata sobria, chi esiterebbe ad esprimere il medesimo parere? Nozze e verginità sono senz'altro due beni, dei quali uno è maggiore; invece tra la sobrietà e l'ubriachezza, come tra l'obbedienza e la disobbedienza l'uno è un bene, l'altro un male. È meglio avere tutti i beni, anche in minor misura, che un grande bene con un grande male: anche nei beni fisici è meglio avere la statura di Zaccheo con la salute, che la statura di Golia con la febbre.
L'obbedienza è la madre di tutte le virtù.
23. 30. La domanda posta giustamente dunque non è se si debba paragonare una vergine sotto ogni rispetto disobbediente a una coniugata obbediente, ma una vergine meno obbediente a una coniugata più obbediente: infatti anche quella nuziale è castità, e pertanto un bene, anche se è inferiore alla castità verginale. Ora la vergine in paragone con la maritata è di tanto inferiore nel bene dell'obbedienza quanto superiore nel bene della castità; quale delle due vinca il confronto lo si può giudicare paragonando prima direttamente la castità con l'obbedienza: allora si vedrà che l'obbedienza è in un certo qual modo la madre di tutte le virtù. Per questo vi può essere l'obbedienza senza la verginità, perché la verginità proviene da un consiglio, non da un precetto. Ma per obbedienza io intendo naturalmente la sottomissione ai precetti divini; quindi l'obbedienza ai precetti si potrà trovare senza la verginità, ma non senza la castità. Alla castità infatti appartiene di non fornicare, non commettere adulterio, non macchiarsi di nessuna relazione illecita: chi non osserva tutto ciò, agisce contro i precetti di Dio, e perciò è bandito dalla virtù dell'obbedienza. Ma la verginità può trovarsi senza l'obbedienza per il fatto che una donna, presa e osservata la risoluzione della verginità, può trascurare i precetti. Conosciamo molte vergini consacrate a Dio che sono pettegole, curiose, propense al bere, litigiose, avare, superbe, tutte cose che sono contrarie ai precetti e che inducono in perdizione, come Eva stessa, attraverso la colpa della disobbedienza. Perciò non solo si deve preferire la donna obbediente alla disobbediente, ma la coniugata più obbediente alla vergine meno obbediente.
RIFLETTIAMO INSIEME
Gli uomini dell’Antico Testamento si ritenevano obbligati ad eseguire gli ordini dettati da Dio, ma non davano altrettanta importanza all’atteggiamento interiore di condivisione degli ordini stessi. Agostino fa il paragone tra Giovanni Battista e Gesù, non sul piano matrimoniale perché nessuno dei due era sposato ma dal punto di vista del modo di affrontare la vita. Il Battista aveva il compito di preparare la via al Messia promesso e perciò richiamava il popolo di Dio a rettificare la via, a purificare il cuore, a disporsi con l’esercizio della penitenza alla riparazione delle proprie mancanze. Il richiamo al digiuno e alla penitenza era il giusto grido di riscossa da una vita che doveva essere rivisitata per poter accogliere il Messia.
Ora il Messia era tra loro, quindi la riconciliazione efficace era in atto, perciò Gesù viveva nella più normale semplicità e i farisei legalisti se ne scandalizzavano, ma tutti e due gli atteggiamenti erano buoni, quello del Battista per invitare alla preparazione del popolo e quello di Gesù che mostrava al popolo che il Regno di Dio era in mezzo a loro. Gesù non è venuto a privarci dei beni che il Padre ha dato ai suoi figli e tra questi il bene della ristorazione, della difesa dalle intemperie con vestiti adeguati, alla costruzione della casa dove trovare rifugio, compagnia … i normali conforti della vita e anche il piacere dell’unione sessuale, purché si resti nel giusto equilibrio.
La Madre Speranza ci dice che “Nel piano originario di Dio tutte le creature erano strumenti, nessuna di ostacolo; ognuna portava in sé una piccola goccia d'olio, cioè, figlie mie, quel godimento che facilitava il suo uso in ordine a Dio. Il peccato però ha scompigliato questo bell'ordine e noi incontriamo ostacoli ad ogni passo e sofferenze ad ogni ostacolo.
Dio non aveva fatto né gli ostacoli, né le sofferenze; questi sono il castigo del peccato. Gesù nel ristabilire l'ordine alterato non ha eliminato né l'ostacolo né il dolore, ma ha dato ad entrambi una grande utilità.
Nonostante il peccato ci restano ancora molti piaceri; non manca alle nostre facoltà l'olio del godimento. Là dove l'obbedienza ci ha assegnato un dovere da compiere troviamo gli strumenti idonei e il piacere ce ne facilita l'uso. Soprattutto abbiamo il piacere dell'orazione, della Comunione, di tutti i sacramenti, dell'esercizio della carità, della meditazione, dell'amore a Dio e di tutte le consolazioni spirituali. Questi piaceri, figlie mie, corrispondono al grande dovere dei nostri rapporti con Dio, contribuendo ad aumentare il fervore. Sempre un piacere corrisponde ad un dovere per facilitarne il compimento, e il piacere è tanto più intenso quanto più importante è il dovere. Il piacere, anche se è solo strumentale, è veramente una soddisfazione, perché corrisponde ad una necessità delle nostre facoltà e soddisfa quella necessità. Però è soltanto una soddisfazione strumentale della quale dobbiamo servirci, e non una soddisfazione finale nella quale possiamo riposare; essa, figlie mie, è un mezzo non un fine.
Quando diciamo che siamo state create per la felicità e che la felicità è il fine secondario della nostra esistenza, in nessun modo ci riferiamo alla felicità che possono procurarci le creature, dato che in esse non c'è motivo alcuno di fine per noi. Il nostro fine, figlie mie, sta in Dio; esse sono solo mezzi.
Equivocarci sul valore del piacere creato e vivere per godere di esso significa minare la stabilità del piano divino e scompigliarlo terribilmente. Con quanta frequenza si verifica questo scompiglio! È il punto sul quale ci inganniamo ogni volta che usciamo dall'ordine; questo infatti è l'unico disordine. Se ci addormentiamo nel godimento invece di usarlo per compiere il nostro dovere, esso, che dovrebbe renderci più diligenti nel glorificare Dio, ci serve per allontanarci da Lui.
Ricordiamo sempre, figlie mie, che il piacere è buono però quando è bene impiegato; infatti se ne abusiamo si trasforma nel peggiore di tutti i mali e in fonte di aberrazione. Usato bene ci fa sante; usato male ci fa dannate. Beata l'anima che sa fare buon uso del piacere e sventurata quella che ne abusa”
Il Padre ha dato agli animali l’istinto per orientarsi, all’uomo ha dato l’intelligenza e l’industriosità, che lo hanno portato dalla caverna ai grattacieli e in tutto questo non c’è niente di male, infatti una casetta ce l’aveva anche Lui; non era una reggia, più atta a mostrare la propria grandezza che la propria necessità: era quanto serviva alle necessità di quel tipo di famiglia di artigiani. (sobrietà).
All’epoca dei Patriarchi si disse “non amato da Dio” chi non incrementava la stirpe di Israele, per cui anche chi era in grado di vivere in continenza, si riteneva in obbligo di sposarsi per procreare.
Anche la Madonna, che pure voleva donare la sua verginità al Signore, dovette ubbidire al Sommo sacerdote, che decideva della sua vita, essendo morti i suoi genitori ed era stata offerta al tempio fin dai 3 anni, dovette accettare uno sposo. Il sacerdote le disse: “Se il Signore ti vuole consacrata a Lui, saprà come fare, tu intanto ubbidisci alla legge e ti sposi”. Anche i maschi, che potevano scegliere di essere nazirei, cioè consacrati a Dio in castità, lo potevano fare solo fino al matrimonio.
Nella pienezza dei tempi, quando è venuto Gesù ed è vissuto in castità, quelli che lo vogliono seguire e abbracciano la sua missione, vivono in castità non per disprezzo del matrimonio, che è un sacramento, ma per poter servire meglio la missione stessa.
Si può vivere anche la castità matrimoniale non solo per necessità ma anche come scelta periodica, per mortificare la carne e dedicarsi maggiormente alla vita spirituale. Ciò che invece dovrebbe fare chiunque sceglie il matrimonio è vivere la sessualità come comunione anche fisica, giacché l’amore sponsale è l’unico tipo di amore che include anche il corpo.
Ma l’amore sponsale non può ridursi alla sola comunione sessuale perché esso esige l’amore che diventa dono di sé, servizio, assistenza, vicinanza, conforto, consiglio, dialogo, condivisione dell’abitazione, del progetto di vita, stima reciproca, appartenenza totale. L’amore sponsale è qualcosa di veramente sacro, di veramente creativo, è vita condivisa in tutti i suoi aspetti. Il corpo vi è sempre incluso ma non solo per l’uso della sessualità ma del mutuo interesse per la salute, per il benessere psichico, per la cura della spiritualità, che dona serenità e orientamento. Proprio per questa completezza del dono si potrebbe dire che è la forma più perfetta d’amore. E’ amore che crea legami stabili e perciò esige fedeltà, impegno concreto, sacrificio generoso, altruismo totale; ognuno che si sposa dovrebbe poter dire; “Qualunque cosa mi accada lui/ lei penserà a me, si prenderà cura di me, perché gli appartengo” Gli altri tipi di amore come l’amicizia, la solidarietà non hanno questi obblighi. Non per niente Giovanni Paolo II disse: “Famiglia, diventa ciò che sei” Perché “diventa” se già lo è? Perché con il dilagare dell’immoralità, l’uomo si è degradato e non è più affidabile quando prende degli impegni. Sedotto dal piacere in tutti i suoi aspetti, viene affascinato da forme più inebrianti, verso stili di vita che però non collimano con la famiglia. E’ un uomo, una donna in eterna adolescenza, che rifugge dagli impegni di responsabilità. Si cede alla filosofia dell’ “Usa e getta”, del “Faccio quello che mi pare”, è la filosofia radicale che ha la sua antropologia nel rizzoma, una pianta aerea che non ha né radici né fusto, si espande orizzontalmente. I Radicali, che seguono la filosofia dell’Esistenzialismo, tende a creare un uomo senza radici e senza fusto, che vive solo la dimensione orizzontale della vita, senza porsi il problema della sua origine e del suo fine; il piacere è l’oggetto della sua ricerca e il suo fine. Naturalmente è in perfetta antitesi con le esigenze dell’amore sponsale così carico di esigenze di dono gratuito e totale. Si esige una conversione profonda che può essere frutto solo di una sincera revisione di sé. E’ quanto il Signore si aspetta da noi, è quanto la nostra stessa anima si aspetta da noi per essere felice. Buon cammino verso la pienezza della vita.