L’AMORE CHE DIVENTA  FECONDO
               
                          L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale  «non si esaurisce all’interno della coppia [...]. I coniugi, mentre si donano  tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente  del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed  indissociabile del loro essere padre e madre».
               
              Accogliere una nuova vita  
              La famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma  anche dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita  «ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce  mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima  che arrivino». Questo riflette il primato dell’amore di Dio che prende  sempre l’iniziativa, perché i figli «sono amati prima di aver fatto qualsiasi  cosa per meritarlo». Tuttavia, «tanti bambini fin dall’inizio sono rifiutati,  abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro. Qualcuno osa dire,  quasi per giustificarsi, che è stato un errore farli venire al mondo. Questo è  vergognoso! […] Che ne facciamo delle solenni dichiarazioni dei diritti  dell’uomo e dei diritti del bambino, se poi puniamo i bambini per gli errori  degli adulti?». Se un bambino viene al mondo in circostanze non  desiderate, i genitori o gli altri membri della famiglia, devono fare tutto il  possibile per accettarlo come dono di Dio e per assumere la responsabilità di  accoglierlo con apertura e affetto. Perché «quando si tratta dei bambini che  vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso  o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di  non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla  prepotenza degli uomini». Il dono di un nuovo figlio che il Signore affida  a papà e mamma ha inizio con  l’accoglienza, prosegue con la custodia lungo la vita terrena e ha come destino  finale la gioia della vita eterna. Uno sguardo sereno verso il compimento  ultimo della persona umana renderà i genitori ancora più consapevoli del  prezioso dono loro affidato: ad essi infatti Dio concede di scegliere il nome  col quale Egli chiamerà ogni suo figlio per l’eternità. 
                          Le famiglie numerose  sono una gioia per la Chiesa. In esse l’amore esprime la sua fecondità  generosa. Questo non implica dimenticare una sana avvertenza di san Giovanni  Paolo II, quando spiegava che la paternità responsabile non è «procreazione  illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli,  ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile  libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche  così come la propria situazione e i legittimi desideri».
               
              L’amore nell’attesa propria della  gravidanza  
                          La gravidanza è un periodo difficile, ma anche un  tempo meraviglioso. La madre collabora  con Dio perché si produca il miracolo di una nuova vita. La maternità  proviene da una «particolare potenzialità dell’organismo femminile, che con  peculiarità creatrice serve al concepimento e alla generazione dell’essere  umano». Ogni donna partecipa «del mistero della creazione, che si rinnova  nella generazione umana». Come dice il Salmo: «Mi hai tessuto nel grembo  di mia madre» (139,13). Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un  progetto eterno di Dio Padre e del suo amore eterno: «Prima di formarti nel  grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho  consacrato» (Ger 1,5). Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio,  e nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore.  Pensiamo quanto vale l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo  con lo stesso sguardo d’amore del Padre, che vede oltre ogni apparenza.
                                La donna in gravidanza può partecipare a  tale progetto di Dio sognando suo figlio: «Tutte le mamme e tutti i papà hanno  sognato il loro figlio per nove mesi. […] Non è possibile una famiglia senza il  sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non  crescono e l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si  spegne». All’interno di questo sogno, per una coppia di coniugi cristiani,  appare necessariamente il Battesimo. I genitori lo preparano con la loro  preghiera, affidando il figlio a Gesù già prima della sua nascita.
              Con i progressi delle  scienze oggi si può sapere in anticipo che colore di capelli avrà il bambino e  di quali malattie potrà soffrire in futuro, perché tutte le caratteristiche  somatiche di quella persona sono inscritte nel suo codice genetico già nello stadio  embrionale. Ma solo il Padre che lo ha creato lo conosce pienamente. Solo Lui conosce ciò che è più prezioso,  ciò che è più importante, perché Egli sa chi è quel bambino, qual è la sua  identità più profonda. La madre che lo porta nel suo grembo ha bisogno di  chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio figlio e per  attenderlo quale è veramente. Alcuni genitori sentono che il loro figlio non  arriva nel momento migliore. Hanno  bisogno di chiedere al Signore che li guarisca e li fortifichi per  accettare pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. È  importante che quel bambino si senta atteso. Egli non è un complemento o una  soluzione per un’aspirazione personale. È un essere umano, con un valore  immenso e non può venire usato per il proprio beneficio. Dunque, non è  importante se questa nuova vita ti servirà o no, se possiede caratteristiche  che ti piacciono o no, se risponde o no ai tuoi progetti e ai tuoi sogni.  Perché «i figli sono un dono.  Ciascuno è unico e irripetibile […]. Un figlio lo si ama perché è figlio: non  perché è bello, o perché è così o cosà; no, perché è figlio! Non perché la  pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio». L’amore dei genitori è strumento dell’amore  di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di ogni bambino, lo  accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente.
                          Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con  affetto: abbi cura della tua gioia, che nulla ti tolga la gioia interiore della  maternità. Quel bambino merita la tua gioia. Non permettere che le paure, le  preoccupazioni, i commenti altrui o i problemi spengano la felicità di essere  strumento di Dio per portare al mondo una nuova vita. Occupati di quello che  c’è da fare o preparare, ma senza ossessionarti, e loda come Maria: «L’anima  mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché  ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48). Vivi con sereno  entusiasmo in mezzo ai tuoi disagi, e prega il Signore che custodisca la tua gioia  perché tu possa trasmetterla al tuo bambino.
               
              Amore di madre e di padre  
                          «I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in  dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali  dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale,  la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni  dei sorrisi. Imparano così che la  bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la  nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta  come interlocutore. […] E questo è amore, che porta una scintilla di quello di  Dio!». Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un  padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa. Come  hanno affermato i Vescovi dell’Australia, entrambi «contribuiscono, ciascuno in  una maniera diversa, alla crescita di un bambino. Rispettare la dignità di un  bambino significa affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere  una madre e un padre». Non si tratta solo dell’amore del padre e della  madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come  nido che accoglie e come fondamento della famiglia. Diversamente, il figlio  sembra ridursi ad un possesso capriccioso. Entrambi, uomo e donna, padre e  madre, sono «cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi  interpreti». Mostrano ai loro figli  il volto materno e il volto paterno del Signore. Inoltre essi insieme  insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove  ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro. Se per  qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante cercare qualche maniera  per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio.
              Il sentimento di essere  orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di quanto  pensiamo. Oggi riconosciamo come pienamente legittimo, e anche auspicabile, che  le donne vogliano studiare, lavorare, sviluppare le proprie capacità e avere  obiettivi personali. Ma nello stesso tempo non  possiamo ignorare la necessità che hanno i bambini della presenza materna, specialmente nei primi mesi di vita. La realtà è che «la donna sta davanti  all’uomo come madre, soggetto della nuova vita umana che in essa è concepita e  si sviluppa, e da essa nasce al mondo». Il diminuire della presenza  materna con le sue qualità femminili costituisce un rischio grave per la nostra  terra. Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità né la negazione  della maternità. Perché la grandezza della donna implica tutti i diritti che  derivano dalla sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la  società. Le sue capacità specificamente femminili – in particolare la maternità  – le conferiscono anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche  una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e  preservare per il bene di tutti. 
                          Di fatto, «le madri sono l’antidoto più forte al  dilagare dell’individualismo egoistico. […] Sono esse a testimoniare la  bellezza della vita». Senza dubbio, «una società senza madri sarebbe una  società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti  peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica  religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino  impara […]. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la  fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo. […] Carissime  mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla  Chiesa e al mondo».
                          La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza  e la sua compassione, lo aiuta a far  emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo  accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura paterna, d’altra parte,  aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per  l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta. Un  padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo  tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le  cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle  circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita  delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla  maturazione del bambino.
                          Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura  occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta,  sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe messa in discussione. Si è verificata  una comprensibile confusione, perché «in un primo momento, la cosa è stata  percepita come una liberazione: liberazione dal padre-padrone, dal padre come  rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore  della felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei  giovani. Talvolta in alcune case regnava in passato l’autoritarismo, in certi  casi addirittura la sopraffazione». Tuttavia, «come spesso avviene, si passa da  un estremo all’altro. Il problema dei nostri giorni non sembra essere più tanto  la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza. I padri sono talora così  concentrati su sé stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie  realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia. E lasciano soli i  piccoli e i giovani». La presenza paterna, e pertanto la sua autorità, risulta  intaccata anche dal tempo sempre maggiore che si dedica ai mezzi di comunicazione  e alla tecnologia dello svago. Inoltre  oggi l’autorità è vista con sospetto e gli adulti sono duramente messi in  discussione. Loro stessi abbandonano le certezze e perciò non offrono ai  figli orientamenti sicuri e ben fondati. Non è sano che si scambino i ruoli tra  genitori e figli: ciò danneggia l’adeguato processo di maturazione che i  bambini hanno bisogno di compiere e nega loro un amore capace di orientarli e  che li aiuti a maturare. 
                          Dio pone il padre nella  famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità, «sia  vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia vicino  ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono  spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono  taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e  quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo  stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i  figli». Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è  che «i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano  dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a  vedere, ma ne hanno bisogno». Non è  bene che i bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini  prima del tempo.
               
              Fecondità allargata  
                          Molte coppie di sposi non possono avere figli. Sappiamo quanta sofferenza questo  comporti. D’altra parte, sappiamo pure che «il matrimonio non è stato istituito  soltanto per la procreazione […]. E perciò anche se la prole, molto spesso  tanto vivamente desiderata, non c’è, il matrimonio perdura come comunità e  comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità». Inoltre  «la maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma si esprime in  diversi modi».
                          L’adozione è una via per  realizzare la maternità e la paternità in un modo molto generoso, e desidero  incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore  coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto  familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi. Adottare è l’atto d’amore di donare una famiglia a chi non l’ha. È  importante insistere affinché la legislazione possa facilitare le procedure per  l’adozione, soprattutto nei casi di figli non desiderati, al fine di prevenire l’aborto o l’abbandono.  Coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo  incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io  invece non ti dimenticherò mai” (cfr Is 49,15).
                          «La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale,  al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. […] A fronte  di quelle situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto  del proprio completamento, l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un  aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a  riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé  ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo.  L’interesse prevalente del bambino dovrebbe sempre ispirare le decisioni  sull’adozione e l’affido». D’altra parte «il traffico di bambini fra Paesi  e Continenti va impedito con opportuni interventi legislativi e controlli degli  Stati».
                          E’ opportuno anche ricordare che la procreazione e  l’adozione non sono gli unici modi di vivere la fecondità dell’amore. Anche la famiglia con molti figli è  chiamata a lasciare la sua impronta nella società dove è inserita, per  sviluppare altre forme di fecondità che sono come il prolungamento dell’amore  che la sostiene. Le famiglie cristiane non dimentichino che «la fede non ci  toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso. […] Ognuno di noi,  infatti, svolge un ruolo speciale nella preparazione della venuta del Regno di  Dio». La famiglia non deve pensare sé stessa come un recinto chiamato a  proteggersi dalla società. Non rimane ad  aspettare, ma esce da sé nella ricerca solidale. In tal modo diventa un  luogo d’integrazione della persona con la società e un punto di unione tra il  pubblico e il privato. I coniugi hanno bisogno di acquisire una chiara e  convinta consapevolezza riguardo ai loro doveri sociali. Quando questo accade,  l’affetto che li unisce non viene meno, ma si riempie di nuova luce, come  esprimono i seguenti versi:
               
              «Le tue mani sono la mia  carezza i miei accordi quotidiani
                ti amo perché le tue mani si adoperano per la giustizia.
              Se ti amo è perché sei il  mio amore la mia complice e tutto
                e per la strada fianco a fianco siamo molto più di due».