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OTTOBRE 2012

     

CONOSCI TE STESSO

 

            “Conosci te stesso”. Questo monito era scolpito sull’architrave del tempio di Delfi. Il bisogno di conoscere noi stessi è un imperativo che urge in ogni cuore fin dal sorgere della regione.

            “Fede e ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” (Fides et ratio – introduzione)

            Tutti i popoli e tutte le persone che sono sparse sulla terra e che appariranno si sono posti, si pongono e si porranno le domande esistenziali: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Perché la presenza del male? Cosa ci sarà dopo questa vita?

            Negli scritti di tutti i popoli si affrontano questi interrogativi e si cerca di dare una risposta. Lo fanno in modo esplicito e sistematico i trattati filosofici antichi e attuali. Sono le domande di senso che assillano ogni uomo.

            La filosofia, sforzo dell’intelligenza umana, che forzosamente ha il suo limite creaturale, ha dato di volta in volta le sue risposte, insufficienti a cogliere la verità tutta intera se non si allea con la fede, perché la Verità ci può essere solo rivelata come dono.

 

PENSIERO DEGLI ANTICHI FILOSOFI

 

Socrate filosofo greco (Atene 469 – 399 a. C.) interpreta il “Conosci te stesso” prendendo coscienza della propria ignoranza, della illusione di essere nel vero e nel bene, per disporsi con sincerità alla ricerca. “Vero” e “Bene” non sono per l’uomo un possesso garantito: essi possono emergere soltanto da un processo d’indagine che “l’ironia” (Riconoscimento della propria ignoranza) deve mantenere sempre aperto contro ogni arresto dogmatico (dogma = verità indiscutibile).

            Egli parla di arte maieutica, cioè paragona il suo contributo al sapere all’opera della madre, levatrice, nei riguardi della partoriente: egli non ha nulla da insegnare, la sua funzione è quella di aiutare gli uomini nel parto intellettuale della verità, risvegliando in loro l’esigenza di mettersi alla ricerca.

            Socrate limitò la sua ricerca al campo dell’etica, ossia ai concetti di valori (Bontà, giustizia ecc). L’uomo virtuoso si sottrae all’instabilità dell’opinione individuale e collettiva per lasciarsi guidare nel suo agire dalla razionalità universale, che si esprime nella ricerca che porta alla padronanza di sé, alla scelta del bene o piacere stabile nei confronti di quello ingannevole e passeggero.

            Accusato di corrompere i giovani con la sua religiosità che oltrepassava il culto tradizionale, affrontò la morte con intrepida fermezza.

            La tradizione cristiana lo ha sempre visto come eroe morale, che arriva al sacrificio della vita per rimanere fedele alle proprie scelte e, insieme, al rispetto della legge.

 

Platone (Atene 428 – 348 a.C.) allievo di Socrate, dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso e la feroce reazione dei “Trenta tiranni”, si convinse che solo un “governo di filosofi” che conoscessero il Bene e avessero la volontà e la capacità di attuarlo potevano risollevare il problema politico.

            Anche per Platone la virtù è identificata con la sapienza. Egli afferma l’esistenza di un luogo di premi e di pene dove solo può attuarsi la giustizia. Lui intuisce l’immortalità dell’anima e la vita ultraterrena nell’Iperuranio (al di sopra del cielo) cioè nella trascendenza.

            Lui parla dell’anima imprigionata nel corpo, che conserva delle idee (conoscenze). L’anima è concepita come essenza divina; una realtà intermedia sono le funzioni psichiche e psicofisiche.

 

Suddivide l’anima in tre parti:

  1. appetitiva (impulsi elementari),
  2. irascibile (corrisponde alle passioni più nobili come il coraggio),
  3. intellettiva (capacità intellettiva).

In base alle tre anime ci sono tre tipi di uomini a seconda che prevalga l’una o l’altra anima.

            Ovviamente anche il pensiero platonico pur avvicinandosi molto alla rivelazione si presta a errori, ma lo sforzo del pensiero è lodevole.

 

Aristotele(Stagira 384 – Calcide 322 a. C.) allievo di Platone. Per Aristotele il sapere è costituito da strutture logiche: i sillogismi (Da due premesse ne consegue una terza. Se le premesse sono validi si ha una dimostrazione) la dimostrazione costituisce la scienza.

            Lui parla di Motore immobile da cui deriva ogni movimento, ogni vita. Questo motore immobile è un intelletto divino, costituito solo di pensiero che pensa se stesso. Il mondo si muove tendendo ad esso come fine.

            L’etica aristotelica si configura come una teoria di virtù. La virtù è una qualità dell’uomo in quanto essere dotato di ragione. La ragione può controllare gli affetti o sentimenti, che si possono ricondurre al piacere e al dolore. Si ha allora la virtù etica o morale, che è il giusto mezzo tra gli estremi emotivi.

 

Sofocletragediografo greco (Atene 496 – 406 a.C.) si pone la domanda del perché del dolore e arriva a capire che vi sono due piani distinti e complementari di vita: Il piano del tempo in cui l’uomo vive dolorosi giorni e il piano eterno che dà pace e gioia. Il dolore, egli dice, è provvidenziale ed è la prova per la quale l’uomo si svela degno degli dei.

 

            Questi brevi cenni possono farci capire come l’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi si sia posto alla ricerca della verità, che non può essere che una.

            La Chiesa s’inserisce in questo cammino di ricerca offrendo il dono della RIVELAZIONE, che in Cristo risorto ha avuto la firma dell’Eterno.

            La Chiesa è chiamata a offrire al mondo intero la diaconia della Verità: una missione che la obbliga all’annuncio, pur sapendo, come dice Paolo che “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosciamo in modo imperfetto, ma allora conosceremo perfettamente”. Questa approssimazione è dovuta all’esperienza di fede, che ognuno di noi è tenuto a fare, per scegliere liberamente e coscientemente il suo destino eterno, usando l’intelligenza e la volontà, che sono le potenze dell’anima, come le chiama Madre Speranza.

            La filosofia, attività investigativa della ragione umana, come abbiamo visto, assolve ad uno dei compiti più nobili dell’umanità, quello di porsi delle domande e abbozzare delle risposte. Ha bisogno però di essere libera, cioè non inquinata da pregiudizi non verificati e non verificabili. La parola filosofia etimologicamente significa “amore per la saggezza”.

            Quando un pensiero filosofico diventa modo di concepire la vita da parte di un popolo, si parla di cultura.

            Forse le prime domande esistenziali sono nate nell’uomo razionale dalla contemplazione dell’universo, dall’ordine, dal sincronismo perfetto e dallo scoprirsi inserito in questo mondo di relazioni con gli altri simili e con le creature tutte.

            La capacità speculativa, come abbiamo accennato, porta l’intelletto umano ad elaborare un sistema che pretenderebbe di dare risposta a tutti i perché dell’uomo. Ovviamente questo non è sufficiente per giungere alla Verità, perché la Verità presuppone la conoscenza certa che nessuno ha, ma può contribuire a rendere l’uomo più razionale, più responsabile, più proteso verso la virtù.

            L’errore in cui può cadere la filosofia è quello della “superbia filosofica”, temuta da quel virtuoso che fu Socrate. Essa porta al dogmatismo che chiude la ricerca. Il dogma può venire solo dalla conoscenza certa, cioè dalla rivelazione.

            Merito della filosofia è il riconoscimento della dignità dell’uomo, creatura libera, intelligente, capace di conoscere Dio, la Verità, il Bene e alcune norme morali comunemente riconosciute e condivise. Questi postulati filosofici sono alla base di molte legislature, e costituiscono il patrimonio spirituale dell’umanità. E’ come se ci trovassimo di fronte ad una filosofia implicita che ognuno sente di possedere anche se in forma non riflessa. Sono quelli che tutti chiamiamo “principi umani” a prescindere dal popolo, della razza, della religione. Quindi la filosofia, l’amore al sapere, unifica tutti gli uomini, anche se resta vero quello che aveva intuito Platone e cioè che ci sono persone in cui prevalgono gli istinti primari e non si elevano all’ordine morale, altri che si fermano all’ordine morale ma non proseguono nella ricerca della verità ultima e quindi a Dio.

            Gli ordinamenti giuridici di ogni nazione, rendendo obbligatoria l’istruzione, prendendo provvedimenti per il benessere di tutti, favoriscono il progresso dell’uomo verso la pienezza di sé, ma la cultura edonistica e materialistica, che predomina in questo nostro tempo, tenta di farlo regredire allo stadio primitivo, precludendogli sia l’orizzonte della virtù che quello della spiritualità o della vita soprannaturale. Si tratta di ragione non retta:

            “Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio”. (Fide set ratio 5)

            La Chiesa apprezza l’impegno della ragione per raggiungere gli obiettivi che rendono l’esistenza umana sempre più degna. L’intelligenza speculativa aiuta a conoscere le verità fondamentali sull’uomo e ad approfondire l’intelligenza della fede proprio per poter comunicare il Vangelo a quanti non lo conoscono, ma va analizzato il procedimento per arrivare alla Verità.

            La filosofia moderna ha il merito di aver concentrato la sua attenzione sull’uomo; ne sono nati complessi sistemi di pensiero che hanno ampliato il sapere: sono nate scienze nuove come l’antropologia, la logica, le scienze naturali, la storia, il linguaggio… Ma bisogna notare che la ragione sembra indagare in maniera unilaterale sull’uomo, mostra di aver dimenticato che questi ha un’anima immortale e perciò è chiamato a trascendersi.

“Senza il riferimento alla trascendenza, ciascuno resta in balia dell'arbitrio e la sua condizione di persona finisce per essere valutata con criteri pragmatici basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell'errata convinzione che tutto deve essere dominato dalla tecnica. E così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere. La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua indagine sull'essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti”. (Fides et ratio 5)

 

CONSEGUENZE DI QUESTO ORIENTAMENTO:

 

  1. Agnosticismo =    Atteggiamento che considera inconoscibile tutto ciò che è al di là del dato                            sperimentale in quanto non sottoponibile ai metodi delle scienze positive.
  2. Relativismo =      Dottrina della relatività della conoscenza: Non ci sono valori assoluti, certezze                         dogmatiche, ognuno decide ciò che è bene o male per lui.
  3. Scetticismo =       Indirizzo filosofico secondo cui l’uomo non potendo decidere con sufficiente                                    certezza della verità o della falsità di una proposizione, si astiene dal giudizio                              e ne consegue una inalterabile imperturbabilità.
  4. Sradicamento delle certezze acquisite = Dio, Famiglia, Chiesa, Stato, valori morali ecc…
  5. Sfiducia nella verità = Se Dio non c’è, se la famiglia concepita come unità inscindibile non è                                    così importante, se la Chiesa è un’organizzazione umana fallibile, se l’autorità                                   è vista solo in funzione dell’avere, perché impegnarsi?
  6. Pluralismo =         Dottrina filosofica asserente che la pluralità delle sostanze che costituiscono il                            mondo, è irriducibile ad una sostanza unica. Tutte le posizioni si equivalgono.
  7. Il “superuomo” cede il posto all’omino schiacciato dall’impotenza = depressione generaliz-                         zata: lasciarsi vivere cercando di salire sul treno di questa umanità in corsa per                                essere portati da qualche parte, non si sa dove.

            Allora diventa importante il posto di lavoro a tempo indeterminato per la sopravvivenza, il sacrificio di ideali senza sbocchi remunerativi, l’anestesizzazione dei sentimenti più importanti, come l’amore, per paura di soffrire molto qualora ci si dovesse trovare nella situazione di subire l’infedeltà. Oggi i giovani si sposano con la condizionale almeno mentale, magari non confessata: “Finché va”.

            In questa maniera però si perdono gli ideali che danno senso alla vita, si perde la forza interiore che ti fa affrontare anche le difficoltà perché c’è un motivo che le giustifica e ce le fa ritenere accettabili.

            Per lo stesso motivo gli organi legislativi sono tentati di approvare leggi che vanno contro i grandi valori umani e costituzionali, quali l’aborto, l’eutanasia, le unioni contro natura, perché il sacrificio che comporterebbe un figlio indesiderato, un anziano malato da assistere, la rinuncia ad una passione illecita sembrano insopportabili proprio per mancanza di ideali.

            Questa situazione, però ci toglie dei pesi ma ce ne dà altri veramente opprimenti e permanenti perché la nostra parte spirituale e soprannaturale, che l’odierna filosofia sottovaluta, fa sentire la sua voce di rimprovero e non dà pace.

            L’ideale è un’immagine mentale che non ha riscontro con la realtà, ma riunisce tutte le perfezioni che la mente umana può concepire. Proprio per questo, messo all’orizzonte della propria esistenza, può fare da faro orientatore, da sprone verso la perfezione, da stimolo a superare se stessi e a motivare la propria vita e il proprio impegno costi quel che costi.

            “Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale. E venuta meno, insomma, la speranza di poter ricevere dalla filosofia risposte definitive a tali domande”. (Fide set ratio 5)

                    La Chiesa, depositaria della Verità rivelata, attraverso i suoi Pastori vuole dare il suo contributo per riportare sui giusti binari la riflessione filosofica, perché non si allontani pregiudizievolmente dal suo compito principale, che è la ricerca della Verità sull’uomo e sul suo destino eterno. Questo impegno rivela la sua urgenza soprattutto notando come le giovani generazioni abbiano la sensazione di essere prive di punti di riferimento.

            “L'esigenza di un fondamento su cui costruire l'esistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quando si è costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l'effimero al rango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell'esistenza. Accade così che molti trascinano la loro vita fin quasi sull'orlo del baratro, senza sapere a che cosa vanno incontro. Ciò dipende anche dal fatto che talvolta chi era chiamato per vocazione a esprimere in forme culturali il frutto della propria speculazione, ha distolto lo sguardo dalla verità, preferendo il successo nell'immediato alla fatica di una indagine paziente su ciò che merita di essere vissuto. La filosofia, che ha la grande responsabilità di formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero, deve recuperare con forza la sua vocazione originaria. E per questo che il Papa ha sentito non solo l'esigenza, ma anche il dovere di intervenire su questo tema, perché l'umanità, alla soglia del terzo millennio dell'era cristiana, prenda coscienza delle grandi risorse che le sono state concesse, e s'impegni con rinnovato coraggio nell'attuazione del piano di salvezza nel quale è inserita la sua storia”. (Fide set ratio 6)

                    A scrivere la “Fide et ratio” è stato Giovanni Paolo II, uomo di grande spessore spirituale ed umano, che ha saputo interagire con le giovani generazioni, ha preso a cuore il loro destino e si è adoperato su ogni campo per orientare verso sponde sicure la barca non solo della Chiesa, ma dell’umanità che andava alla deriva sotto gli occhi stupiti di tutti, per il senso generalizzato d’impo-tenza che caratterizza la nostra epoca. Sembra che il regista della sventura sia così fuori della portata del singolo, che non si possa far niente ma questo non è vero. Noi sappiamo che la barca di Pietro e dell’umanità è nelle mani veramente onnipotenti di Dio e Lui non si lascerà sfuggire la sua creatura.

            Ma noi cristiani, come Pietro sul lago in tempesta, possiamo gridare, perché Gesù si svegli e ordini ai venti e al mare di placarsi, per tornare a vedere la riva dove siamo diretti.

            Questo, credo sia il nostro compito in questo momento, non continuare a considerarci soccombenti ma con fede sicura rivolgerci a Gesù e dirgli ad una sola voce: “Svegliati! La barca affonda! Abbiamo capito che abbiamo sbagliato tutto. Non è vero che il cielo è vuoto, non è vero che tutto finisce con la morte. Non è vero che si può fare tutto ciò che ci piace, perché il “Mi piace” ci sta portando alla rovina. Vieni, Signore, a mettere ordine nella nostra vita! Vogliamo tornare ad accogliere i comandamenti divini, vogliamo tornare a vivere i mezzi della grazia che Tu ci hai donato per vincere la nostra povera umanità tendente al male ed essere trovati degni di Te.

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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