GESU’ RIVELATORE DEL PADRE
La Chiesa, come abbiamo già detto, s’inserisce nella riflessione filosofica del nostro tempo per una sua missione specifica, che è quella della diaconia della verità.
Perché la Chiesa ha questa pretesa di essere depositaria della verità? Ma per il semplice fatto che è depositaria della Rivelazione. All’origine di ogni discorso sulla Verità c’è un incontro, l’incontro di Dio con l’uomo, narrato dalla Bibbia non come documentario ma come corpo di verità nascoste nel mistero di Dio e che Dio si è degnato rivelare all’uomo per orientarlo nella sua ricerca della Verità. La Bibbia narra l’avverarsi di quanto Dio ha detto all’uomo, narra il coinvolgimento di Dio nelle vicende umane fino a farsi partner di alleanze d’amore con la creatura intelligente e libera che è l’uomo. Il coinvolgimento di Dio è dimostrato dall’avverarsi di eventi che superano le leggi della natura tali che solo il Creatore e Signore della vita può operare. Non si tratta di eventi di fantasia ma di eventi storici irripetibili scientificamente.
Tali sono: La creazione, il ripristino dell’opera creatrice dopo il diluvio, la nascita di Isacco fuori delle leggi della natura, la visione di Mosé sul Monte Sinai, il passaggio miracoloso del Mar Rosso, la permanenza del popolo nel deserto per 40 anni, il dono della Legge ecc.
Il patrimonio dell’Antico Testamento tende ad un evento di salvezza promesso da Dio: la venuta del Messia che avrebbe riallacciato il rapporto con Dio tradito e rifiutato dall’uomo peccatore. Questo evento si è realizzato nel periodo che noi chiamiamo “la pienezza dei tempi”, cioè nel tempo in cui Dio ha deciso di realizzare la redenzione della sua creatura per il sacrificio del Figlio diletto.
Questo progetto si può schematizzare così:
Con la venuta di Gesù, l’uomo può dire veramente di aver incontrato Dio, perché la sua nascita prodigiosa, la sua vita, il suo annuncio, tutto il suo operato ci hanno fatto sperimentare sensibilmente l’incontro con Dio. Ce lo dice S. Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”. (1Gv 1:1-4)
Gesù ha convalidato la sua predicazione con i miracoli, che sono la firma di Dio. Il Vangelo è pieno delle obiezioni dei farisei che volevano in tutti i modi non ammettere la sua divinità, disposti magari ad ammettere anche l’opera del demonio pur di poter negare che in Gesù operasse l’Onnipotente. In questo atteggiamento di rifiuto hanno giocato molto quelle passioni e di quei pregiudizi di cui parlava addirittura Socrate, che impediscono il riconoscimento della verità. Il grande filosofo diceva appunto che il cuore deve essere puro per poter scandagliare sull’evento e capirne il messaggio.
L’atteggiamento che favorisce la ricerca e la conquista della Verità si può chiamare fede, che é adesione semplice e obbediente al progetto di Dio.
“Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo”. (Rm 1:1-7)
I Patriarchi e i Profeti dell’Antico Testamento hanno avuto la loro prova negli avvenimenti che si sono realizzati nel tempo; mentre gli Apostoli sono autentici testimoni della Redenzione. Sicuramente l’uomo è libero anche di ingannarsi ma i testimoni sono attendibili. Pietro e Paolo hanno testimoniato fino al martirio nella Roma imperiale, non sono perciò tanto lontani nel tempo da poter dire che si tratta di favole inventate nel Medioevo.
“Alla base di ogni riflessione che la Chiesa compie vi è la consapevolezza di essere depositaria di un messaggio che ha la sua origine in Dio stesso (cfr 2 Cor 4, 1-2). La conoscenza che essa propone all'uomo non le proviene da una sua propria speculazione, fosse anche la più alta, ma dall'aver accolto nella fede la parola di Dio (cfr 1 Tess 2, 13). All'origine del nostro essere credenti vi è un incontro, unico nel suo genere, che segna il dischiudersi di un mistero nascosto nei secoli (cfr 1 Cor 2, 7; Rm 16, 25-26), ma ora rivelato: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cfr Ef 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura». E, questa, un'iniziativa pienamente gratuita, che parte da Dio per raggiungere l'umanità e salvarla. Dio, in quanto fonte di amore, desidera farsi conoscere, e la conoscenza che l'uomo ha di lui porta a compimento ogni altra vera conoscenza che la sua mente è in grado di raggiungere circa il senso della propria esistenza”. (Fides et ratio 7)
L’intelligenza della fede
La Costituzione dogmatica “Dei Verbum” del Vaticano II parla di intelligenza della fede nel senso che la Chiesa e ogni credente può applicare la sua intelligenza per approfondire alla luce dell’insegnamento biblico e dei Padri della Chiesa per cercare di illuminare con la ragione il mistero nascosto in Dio, ma la ragione che nega l’esistenza di Dio solo perché lui non può averne un’esperienza tangibile, si preclude ogni passaggio verso la Verità. La legge “causa-effetto”, che sta alla base della ricerca scientifica, contemplando e analizzando la creazione, riporta a Dio, perché è talmente intrisa di amore e di perfezione che nessun uomo o “caso” poteva produrla. Sono tanti gli scienziati che hanno avuto l’umiltà di riconoscerlo. Possiamo citare, ad esempio Antony Flew: Nel 2004 si accorse di aver sbagliato tutto. Ad aiutarlo lo sviluppo scientifico. Per l’occasione scelse una platea importante, un convegno a New York: «Annunciai che accettavo l’esistenza di un Dio». E la motivazione era opposta e speculare alla negazione di un tempo: «Perché credo così, pur avendo esposto e difeso l’ateismo per più di mezzo secolo? È per il quadro del mondo che è emerso dalla scienza moderna, in particolare credo che il materiale del Dna abbia dimostrato, con la complessità quasi incredibile delle disposizioni di cui si necessita per generare la vita, che l’Intelligenza debba essere stata così coinvolta nel far sì che questi elementi diversi operassero insieme». Flew riconosce di essere sulla scia di altri che, come lui, hanno trovato nella ricerca scientifica una chiave per dimostrare che affidarsi a Dio non è una pia illusione. L’ex ateo cita, in primis, Charles Darwin, padre della teoria dell’evoluzione, di cui riprende questo passaggio: «La ragione mi parla dell’impossibilità quasi di concepire l’universo e l’uomo come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità. Questo pensiero mi costringe a ricorrere a una Causa Prima dotata di un’intelligenza». Tra gli altri, Flew cita John Polkinghorne, pastore anglicano e grande filosofo della scienza di Cambridge, e Francis Collins, colui che ha portato a termine la mappatura del genoma umano e autore del fortunato “Il linguaggio di Dio” (Longanesi).
E’ rischioso quindi per un ateo riflettere troppo profondamente sulla propria posizione, può darsi che alla fine non ne sia più convinto. Flew chiude la sua confessione accennando al cristianesimo: «Alcuni sostengono di aver stabilito un contatto con questa Mente. Io no. Ma chi lo sa cosa potrebbe accadere in seguito? Certamente la figura carismatica di Gesù è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda. Se Dio si è davvero rivelato è plausibile che lo abbia fatto con quel volto».
Si tratta di umiltà e l’umiltà è non altro che riconoscere la propria verità. La verità è che noi non siamo Dio e non possiamo giocare a crederci tali e magari a impegnarci a carpirgli i segreti per soppiantarlo. Ci ha provò anche Lucifero quando disse ad Eva che bastava mangiare quel frutto e sarebbe diventata come Dio, ma Lucifero è invidioso, ingannatore e menzognero. Oggi ci prova con gli scienziati orgogliosi ma i risultati sono sempre gli stessi: Ci troviamo nudi, vergognosi di noi stessi, ci nascondiamo da Dio e quando Lui arriva lo spavento ci tormenta.
E’ la storia di ogni superbia: grande illusione, spavalderia blasfema, tormento interiore, paura, smarrimento….
Se lo scienziato si pone alla ricerca con animo umile, chiedendo il permesso allo Spirito Santo perché si tratta di penetrare in luogo sacro, nel mistero di Dio, vivrà la più grande meraviglia che è data all’uomo di sperimentare, perché di volta in volta si accenderanno luci sul mistero e lo stupore, la meraviglia riempiranno di gioia intima il suo cuore.
Questo l’hanno fatto i santi, che non avevano grandi intelligenze speculative eppure hanno raggiunto gradi di conoscenza che i dotti non osano nemmeno immaginare e magari si limitano a negare o a ironizzare. Madre Speranza è fra questi: Come creatura umana per la storia che ha vissuto, aveva potuto sviluppare soprattutto un’intelligenza pratica, ma poi c’è stato l’incontro, la proposta, il cammino di purificazione, l’accettazione volontaria e l’abbandono fiducioso in quel Dio che le si rendeva anche visibile nell’umanità di Cristo e ciò che lei ha scritto riguardo alla vita soprannaturale, che ci coinvolge anche qui in terra mediante i sacramenti ma che ci sarà rivelata completamente dopo l’esperienza terrena, ha dell’incredibile. Gli studiosi potranno anche arricciare la fronte e distanziarsi da lei con l’orgoglio dei pseudo sapienti, ma ciò che lei ha fatto in collaborazione col Divino non può non stupire e far riflettere.
La “Fides et ratio” afferma: «Esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perché nell'uno conosciamo con la ragione naturale, nell'altro con la fede divina; per l'oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dall'alto». La fede, che si fonda sulla testimonianza di Dio e si avvale dell'aiuto soprannaturale della grazia, è effettivamente di un ordine diverso da quello della conoscenza filosofica. Questa, infatti, poggia sulla percezione dei sensi, sull'esperienza e si muove alla luce del solo intelletto. La filosofia e le scienze spaziano nell'ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la «pienezza di grazia e di verità» (cfr Gv 1, 14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo” (cfr 1 Gv 5, 9; Gv 5, 31-32). (Fides et ratio 9)
La Redenzione evento storico
Gesù di Nazareth stupisce per la completa assunzione della realtà umana: “Non è il figlio del fabbro?”, per cui si deduce: “Non è possibile!” mentre se si entra nella percezione del vero amore, che solo Dio può dire di possedere, lo stupore ci fa sprofondare in adorazione. Dio si è fatto uomo per esprimere con parole umane il pensiero di Dio e renderci consapevoli del Suo volere, che è volere d’amore, tanto da sacrificare il suo stesso Figlio sulla croce.
All’areopago di Atene, quando Paolo volle annunziare questa verità, non poterono dargli ascolto: la mente umana rifiuta il pensiero che un Dio onnipotente si lasci crocifiggere da piccoli uomini malvagi, ma la Verità affonda le sue radici in un Amore che noi egoisti e centrati su noi stessi, non riusciamo a comprendere oggi più che mai. L’Amore Misericordioso, infatti non è logico, non ci è dovuto per merito ma per dono. E’ la gratuità della grazia.
“La rivelazione di Dio, dunque, si inserisce nel tempo e nella storia. L'incarnazione di Gesù Cristo, anzi, avviene nella «pienezza del tempo» (Gal 4, 4). «Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale». In esso, infatti, viene alla luce l'intera opera della creazione e della salvezza e, soprattutto, emerge il fatto che con l'incarnazione del Figlio di Dio noi viviamo e anticipiamo fin da ora ciò che sarà il compimento del tempo (cfr Eb 1, 2).
Lo dice con parole eloquenti la Costituzione Dei Verbum: «Dio, dopo avere a più riprese e in più modi parlato per mezzo dei Profeti, “alla fine, nei nostri giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (cfr Gv 1, 1-18). Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini”, “parla le parole di Dio” (Gv 3, 34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr Gv 5, 36; 17, 4). Perciò Egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr Gv 14, 9), con tutta la sua presenza e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la gloriosa risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione». (Fides et ratio 11)
La storia, quindi, diventa il luogo in cui possiamo costatare l'agire di Dio a favore dell'umanità. Egli ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare e facile da verificare, perché costituisce il nostro contesto quotidiano, senza il quale non riusciremmo a comprenderci. (…) Con questa Rivelazione viene offerta all'uomo la verità ultima sulla propria vita e sul destino della storia: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo», afferma la Costituzione Gaudium et spes. Al di fuori di questa prospettiva il mistero dell'esistenza personale rimane un enigma insolubile. Dove l'uomo potrebbe cercare la risposta ad interrogativi drammatici come quelli del dolore, della sofferenza dell'innocente e della morte, se non nella luce che promana dal mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo?
La ragione dinanzi al mistero
“Non sarà, comunque, da dimenticare che la Rivelazione permane carica di mistero. Certo, con tutta la sua vita Gesù rivela il volto del Padre, essendo Egli venuto per spiegare i segreti di Dio; eppure, la conoscenza che noi abbiamo di tale volto è sempre segnata dalla frammentarietà e dal limite del nostro comprendere. Solo la fede permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la coerente intelligenza.
Insegna il Concilio che «a Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede». Con questa breve ma densa affermazione, viene indicata una fondamentale verità del cristianesimo. Si dice, anzitutto, che la fede è risposta di obbedienza a Dio. Ciò comporta che Egli venga riconosciuto nella sua divinità, trascendenza e libertà suprema. Il Dio che si fa conoscere, nell'autorità della sua assoluta trascendenza, porta anche con sé la credibilità dei contenuti che rivela. Con la fede, l'uomo dona il suo assenso a tale testimonianza divina. Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. Questa verità, donata all'uomo e da lui non esigibile, si inserisce nel contesto della comunicazione interpersonale e spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il senso profondo. E per questo che l'atto con il quale ci si affida a Dio è sempre stato considerato dalla Chiesa come un momento di scelta fondamentale, in cui tutta la persona è coinvolta. Intelletto e volontà esercitano al massimo la loro natura spirituale per consentire al soggetto di compiere un atto in cui la libertà personale è vissuta in maniera piena. La fede permette a ciascuno di esprimere al meglio la propria libertà. La libertà non si realizza nelle scelte contro Dio. Come infatti potrebbe essere considerato un uso autentico della libertà il rifiuto di aprirsi verso ciò che permette la realizzazione di se stessi? E nel credere che la persona compie l'atto più significativo della propria esistenza; qui, infatti, la libertà raggiunge la certezza della verità e decide di vivere in essa. (cfr. Fides et ratio 13)