IL SESTO COMANDAMENTO
Non commettere adulterio (Dal Cat. Della Chiesa Cattolica Nn. 2331- 2400)
Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt 5,27-28).
“Maschio e femmina li creò...”
“Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine. . . Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11].
“Dio creò l'uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò” (Gen 1,27); “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,28); “quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati” (Gen 5,1-2).
La sessualità esercita un'influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell'unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l'affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in un modo più generale, l'attitudine ad intrecciare rapporti di comunione con altri.
Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto.
“Creando l'uomo "maschio e femmina", Dio dona la dignità personale in egual modo all'uomo e alla donna” [Giov.i Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 22; cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49]. “L'uomo è una persona, in eguale misura l'uomo e la donna: ambedue infatti sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale” [Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 6].
Ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio. L' unione dell'uomo e della donna nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecondità del Creatore: “L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne” (Gen 2,24). Da tale unione derivano tutte le generazioni umane [Cf Gen 4,1-2; Gen 4,25-26; 2335 Gen 5,1].
Gesù è venuto a restaurare la creazione nella purezza delle sue origini. Nel Discorso della montagna dà una interpretazione rigorosa del progetto di Dio: “Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio"; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28). L'uomo non deve separare quello che Dio ha congiunto [Cf Mt 19,6].
La Tradizione della Chiesa ha considerato il sesto comandamento come inglobante l'insieme della sessualità umana.
La vocazione alla castità
La castità esprime la positiva integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità, nella quale si manifesta l'appartenenza dell'uomo al mondo materiale e biologico, diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna.
La virtù della castità, quindi, comporta l'integrità della persona e l'integralità del dono.
L'integrità della persona
La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l'unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio [Cf Mt 5,37].
La castità richiede l' acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L'alternativa è evidente: o l'uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice [Cf Sir 1,22]. “La dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l'uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 17].
Colui che vuole restar fedele alle promesse del suo Battesimo e resistere alle tentazioni, avrà cura di valersi dei mezzi corrispondenti: la conoscenza di sé, la pratica di un'ascesi adatta alle situazioni in cui viene a trovarsi, l'obbedienza ai divini comandamenti, l'esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera. “La continenza in verità ci raccoglie e ci riconduce a quell'unità, che abbiamo perduto disperdendoci nel molteplice” [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 29, 40].
La virtù della castità è strettamente dipendente dalla virtù cardinale della temperanza, che mira a far condurre dalla ragione le passioni e gli appetiti della sensibilità umana.
Il dominio di sé è un' opera di lungo respiro. Non lo si potrà mai ritenere acquisito una volta per tutte. Suppone un impegno da ricominciare ad ogni età della vita [Cf Tt 2,1-6]. Lo sforzo richiesto può essere maggiore in certi periodi, quelli, per esempio, in cui si forma la personalità, l'infanzia e l'adolescenza.
La castità conosce leggi di crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall'imperfezione e assai spesso dal peccato. L'uomo virtuoso e casto “si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 34].
La castità rappresenta un impegno eminentemente personale; implica anche uno sforzo culturale, poiché “il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società” sono “tra loro interdipendenti” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25]. La castità suppone il rispetto dei diritti della persona, in particolare quello di ricevere un'informazione ed un'educazione che rispettino le dimensioni morali e spirituali della vita umana.
La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito [Cf Gal 5,22]. Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo [Cf 1Gv 3,3] a colui che è stato rigenerato dall'acqua del Battesimo.
L'integralità del dono di sé
La carità è la forma di tutte le virtù. Sotto il suo influsso, la castità appare come una scuola del dono della persona. La padronanza di sé è ordinata al dono di sé. La castità rende colui che la pratica un testimone, presso il prossimo, della fedeltà e della tenerezza di Dio.
La virtù della castità si dispiega nell' amicizia. Indica al discepolo come seguire ed imitare colui che ci ha scelti come suoi amici, [Cf Gv 15,15] si è totalmente donato a noi e ci rende partecipi della sua condizione divina. La castità è promessa di immortalità.
La castità si esprime particolarmente nell' amicizia per il prossimo. Coltivata tra persone del medesimo sesso o di sesso diverso, l'amicizia costituisce un gran bene per tutti. Conduce alla comunione spirituale.
Le diverse forme della castità
Ogni battezzato è chiamato alla castità. Il cristiano si è “rivestito di Cristo” (Gal 3,27), modello di ogni castità. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta secondo il loro particolare stato di vita. Al momento del Battesimo il cristiano si è impegnato a vivere la sua affettività nella castità.
“La castità deve distinguere le persone nei loro differenti stati di vita: le une nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso; le altre, nella maniera quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 11, AAS 68 (1976), 77-96]. Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza:
Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della verginità. Non lodiamo l'una escludendo le altre. Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è ricca [Sant'Ambrogio, De viduis, 23: PL 153, 225A].
I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l'un l'altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell'amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità.
Le offese alla castità
La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione.
Per masturbazione si deve intendere l'eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo. “Sia il magistero della Chiesa - nella linea di una tradizione costante - sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato”. “Qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità”. Il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della “relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 9].
Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare se non addirittura ridurre al minimo la colpevolezza morale.
La fornicazione è l'unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all'educazione dei figli. Inoltre è un grave scandalo quando vi sia corruzione dei giovani.
La pornografia consiste nel sottrarre all'intimità dei partner gli atti sessuali, reali o simulati, per esibirli deliberatamente a terze persone. Offende la castità perché snatura l'atto coniugale, dono intimo degli sposi l'uno all'altro. Lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico), poiché l'uno diventa per l'altro l'oggetto di un piacere rudimentale e di un illecito guadagno. Immerge gli uni e gli altri nell'illusione di un mondo irreale. E' una colpa grave. Le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali pornografici.
La prostituzione offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere venereo che procura. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso: viola la castità, alla quale lo impegna il Battesimo e macchia il suo corpo, tempio dello Spirito Santo [Cf 1Cor 6,15-20]. La prostituzione costituisce una piaga sociale. Normalmente colpisce donne, ma anche uomini, bambini o adolescenti (in questi due ultimi casi il peccato è, al tempo stesso, anche uno scandalo). Il darsi alla prostituzione è sempre gravemente peccaminoso, tuttavia l'imputabilità della colpa può essere attenuata dalla miseria, dal ricatto e dalla pressione sociale.
Lo stupro indica l'entrata per effrazione, con violenza, nell'intimità sessuale di una persona. Esso viola la giustizia e la carità. Lo stupro lede profondamente il diritto di ciascuno al rispetto, alla libertà, all'integrità fisica e morale. Arreca un grave danno, che può segnare la vittima per tutta la vita. E' sempre un atto intrinsecamente cattivo. Ancora più grave è lo stupro commesso da parte di parenti stretti (incesto) o di educatori ai danni degli allievi che sono loro affidati.
Castità e omosessualità
L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, [Cf ⇒ Gen 19,1-29; ⇒ Rm 1,24-27; 2357 ⇒ 1Cor 6,10; ⇒ 1Tm 1,10] la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” [Cong. per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 8]. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
L'amore degli sposi
La sessualità è ordinata all'amore coniugale dell'uomo e della donna. Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento.
“La sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte”: [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11]
Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: “Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza”. Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: “Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d'intenzione. Degnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia”. E dissero insieme: “Amen, amen!”. Poi dormirono per tutta la notte (Tb 8,4-9).
“Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49].
La sessualità è sorgente di gioia e di piacere:
Il Creatore stesso ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore ha voluto per loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione [Pio XII, discorso del 29 ottobre 1951].
Mediante l'unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia.
L'amore coniugale dell'uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità.
La fedeltà coniugale
La coppia coniugale forma una “intima comunità di vita e di amore. . . fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie”. “E' stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. Gli sposi si donano definitivamente e totalmente l'uno all'altro. Non sono più due, ma ormai formano una carne sola. L'alleanza stipulata liberamente dai coniugi impone loro l'obbligo di conservarne l'unità e l'indissolubilità [Cf Codice di Diritto Canonico, 1056]. “L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10,9) [Cf Mt 19,1-12; 2364 1Cor 7,10-11].
La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l'uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Mediante la castità coniugale, essi rendono testimonianza a questo mistero di fronte al mondo.
San Giovanni Crisostomo suggerisce ai giovani sposi di fare questo discorso alla loro sposa: “Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l'esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura. .. Metto l'amore per te al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te” [San Giovanni Crisostomo, Homiliae in ad Ephesios, 20, 8: PG 62, 146-147].
La fecondità del matrimonio
La fecondità è un dono, un fine del matrimonio; infatti l'amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall'esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento. Perciò la Chiesa, che “sta dalla parte della vita”, [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 30] “insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita” [Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11]. “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” [Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11].
Chiamati a donare la vita, gli sposi partecipano della potenza creatrice e della paternità di Dio [Cf Ef 3,14; Mt 23,9]. “Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 50].
Un aspetto particolare di tale responsabilità riguarda la regolazione della procreazione. Per validi motivi gli sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però verificare che il loro desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di una paternità responsabile. Inoltre regoleranno il loro comportamento secondo i criteri oggettivi della moralità:
Quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 51].
“Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all'altissima vocazione dell'uomo alla paternità” [Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 12].
La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull'auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi [Cf ibid., 16] sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l'educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva “ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione” [Cf ibid., 16].
Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contradditorio, quello cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità dell'amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale. [Tale differenza antropologica e morale tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi periodici] coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32].
“Sia chiaro a tutti che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati solo a questo tempo e non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma riguardano sempre il destino eterno degli uomini ” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 51].
Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. E' legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l'incremento della popolazione. Può farlo con un'informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all'iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell'educazione dei propri figli [Cf Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 23; Id. , Lett. enc. Populorum progressio, 37]. In questo campo non è autorizzato a intervenire contrari alla legge morale.
Il dono del figlio
La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie numerose un segno della benedizione divina e della generosità dei genitori [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 50].
Grande è la sofferenza delle coppie che si scoprono sterili. “Che mi darai? - chiede Abramo a Dio - Io me ne vado senza figli. ” (Gen 15,2). “Dammi dei figli, se no io muoio!” grida Rachele al marito Giacobbe (Gen 30,1).
Le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana sono da incoraggiare, a condizione che si pongano “al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale, secondo il progetto e la volontà di Dio” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, intr. 2].
Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l'intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o di ovocita, prestito dell'utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono “il diritto esclusivo [degli sposi] a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, intr. 2].
Praticate in seno alla coppia, tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe) sono, forse, meno pregiudizievoli, ma rimangono moralmente inaccettabili. Dissociano l'atto sessuale dall'atto procreatore. L'atto che fonda l'esistenza dei figli non è più un atto con il quale due persone si donano l'una all'altra, bensì un atto che “affida la vita e l'identità dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, intr. 2]. “La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell'atto coniugale, e cioè del gesto specifico della unione degli sposi…; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i significati dell'atto coniugale, e il rispetto dell'unità dell'essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, intr. 2].
Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il “dono più grande del matrimonio” è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso “diritto al figlio”. In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello “di essere il frutto dell'atto specifico dell'amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo concepimento” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, II, 8].
Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce del Signore, sorgente di ogni fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo.
Le offese alla dignità del matrimonio
L' adulterio. Questa parola designa l'infedeltà coniugale. Quando due partner, di cui almeno uno è sposato, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche episodica, commettono un adulterio. Cristo condanna l'adulterio anche se consumato con il semplice desiderio [Cf Mt 5,27-28]. Il sesto comandamento e il Nuovo Testamento proibiscono l'adulterio in modo assoluto [Cf Mt 5,32; Mt 19,6; Mc 10,11; 1Cor 6,9-10]. I profeti ne denunciano la gravità. Nell'adulterio essi vedono simboleggiato il peccato di idolatria [Cf Os 2,7; Ger 5,7; Ger 13,27].
L'adulterio è un'ingiustizia. Chi lo commette vien meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell'Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell'altro coniuge e attenta all'istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell'unione stabile dei genitori.
Il divorzio
Il Signore Gesù ha insistito sull'intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile [Cf Mt 5,31-32; Mt 19,3-9; Mc 10,9; 2382 Lc 16,18; 1Cor 7,10-11]. Abolisce le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica [Cf Mt 19,7-9].
Tra i battezzati “il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte” [Codice di Diritto Canonico, 1141].
La separazione degli sposi con la permanenza del vincolo matrimoniale può essere legittima in certi casi contemplati dal Diritto canonico [Cf Codice di Diritto Canonico, 1151-1155].
Se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale.
Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente:
Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un'altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un'altra [San Basilio di Cesarea, Moralia, regola 73: PG 31, 849D-853B].
Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale.
Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C'è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un matrimonio canonicamente valido [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84].
Altre offese alla dignità del matrimonio
Si comprende il dramma di chi, desideroso di convertirsi al Vangelo, si vede obbligato a ripudiare una o più donne con cui ha condiviso anni di vita coniugale. Tuttavia la poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa “infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo” [Giov. Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19; cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47]. Il cristiano che prima era poligamo, per giustizia, ha il grave dovere di rispettare gli obblighi contratti nei confronti di quelle donne che erano sue mogli e dei suoi figli.
L' incesto consiste in relazioni intime tra parenti o affini, a un grado che impedisce tra loro il matrimonio [Cf Lv 18,7-20]. San Paolo stigmatizza questa colpa particolarmente grave: “Si sente da per tutto parlare d'immoralità tra voi… al punto che uno convive con la moglie di suo padre!... Nel nome del Signore nostro Gesù. . . questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne… ”(1Cor 5,1; 1Cor 5,4-5). L'incesto corrompe le relazioni familiari e segna un regresso verso l'animalità.
Si possono collegare all'incesto gli abusi sessuali commessi da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia. In tal caso la colpa è, al tempo stesso, uno scandaloso attentato all'integrità fisica e morale dei giovanetti, i quali ne resteranno segnati per tutta la loro vita, ed è altresì una violazione della responsabilità educativa.
Si ha una libera unione quando l'uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l'intimità sessuale.
L'espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l'una nei confronti dell'altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell'altro, in se stesso o nell'avvenire?
L'espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità a legarsi con impegni a lungo termine [Cf Giov. Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 81]. Tutte queste situazioni costituiscono un'offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l'idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l'atto sessuale deve aver posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla Comunione sacramentale.
Parecchi attualmente reclamano una specie di “ diritto alla prova ” quando c'è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti “non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 7]. L'unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l'uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L'amore umano non ammette la “prova”. Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 80].
LA RIVISTA PORNOGRAFICA
Da “Preghiere” di Quoist
Signore, che vergogna per questa rivista.
Mi pare che Tu sia profondamente colpito nella tua infinita purezza.
Gli impiegati dell’ufficio si sono tassati per pagarla,
il ragazzo è corso ad acquistarla, ed ha tardato a lungo per riportarla.
Eccola.
Sulla sua carta lucida si offrono corpi nudi, prostituiti a basso prezzo.
Passeranno di reparto in reparto, di mano in mano,
accarezzati con lo sguardo, suscitando il riso, eccitando le passioni, scatenando i sensi.
Corpi – oggetto, disertati dalle anime,
giocattoli per adulti dal cuore pesante e sozzo.
Pure, o Signore, è bello un corpo d’uomo.
Dall’eternità, Artista impareggiabile, Tu sognavi il modello,
pensando che un giorno Tu avresti sposato il corpo umano sposando la natura umana.
Lentamente lo modellasti con le mani della Tua potenza
e soffiasti l’anima vivente nella materia inerte.
Ormai, Signore, Tu ci chiedi di rispettare la carne, perché la carne tutta è portatrice di spirito.
E noi abbiamo bisogno di questo corpo generoso
perché il nostro spirito comunichi con lo spirito dei nostri fratelli.
Le parole, lunghe carovane di parole, guidano la nostra anima verso un’anima vicina.
Il sorriso svela quest’anima sull’estremità delle labbra,
lo sguardo la presenta al balcone del nostri corpi,
la stretta di mano la trasmette all’amico,
il bacio lo dona all’amante,
la stretta degli sposi vuole riunire due anime per cercarne una terza in un terzo corpo.
Ma per Te, o Signore, non era sufficiente fare della nostra carne il sacramento dello spirito.
Per grazia Tua, il corpo del cristiano diventa sacro, e tempio della Trinità.
Tutto Dio in tutta la nostra anima,
e tutta l’anima in tutto il nostro corpo.
Suprema dignità di questo corpo meraviglioso.
E’ membro del Signore e portatore del suo Dio!