L’OTTAVO COMANDAMENTO
NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA (Dal Catechismo della Chesa Cattolica Nn. 2464-2503)
Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo ( ⇒ Es 20,16 ).
Fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti (Mt 5,33 ).
L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto ad impegnarsi nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza.
I. Vivere nella verità
L'Antico Testamento lo attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità [Cf Pr 8,7; 2465 2Sam 7,28 ]. La sua legge è verità [Cf Sal 119,142 ]. La sua “fedeltà dura per ogni generazione” (Sal 119,90 ) [Cf Lc 1,50 ]. Poiché Dio è il “Verace” (Rm 3,4 ), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità [Cf Sal 119,30 ].
In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. “Pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14 ), egli è la “luce del mondo” (Gv 8,12), egli è la Verità [Cf Gv 14,6]. “Chiunque crede” in lui non rimane “nelle tenebre” (Gv 12,46). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi [Cf Gv 8,32] e che santifica [Cf Gv 17,17]. Seguire Gesù, è vivere dello “Spirito di verità” (Gv 14,17) che il Padre manda nel suo nome [Cf Gv 14,26] e che guida alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no” (Mt 5,37).
L'uomo è naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla: “A motivo della loro dignità, tutti gli uomini, in quanto sono persone, sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
La verità in quanto rettitudine dell'agire e del parlare umano è detta veracità, sincerità o franchezza. La verità o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nei propri atti e nell'affermare il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.
“Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero confidenza reciproca, cioè se non si dicessero la verità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 109, 3, ad 1]. La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e la discrezione. Per giustizia, “un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 109, 3, ad 1].
Il discepolo di Cristo accetta di “vivere nella verità”, cioè nella semplicità di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità. “Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità” (1Gv 1,6).
II. “Rendere testimonianza alla verità”
Davanti a Pilato Cristo proclama di essere “venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Il cristiano non deve vergognarsi “della testimonianza da rendere al Signore”(2Tm 1,8). Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici. Il credente deve “conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini” (At 24,16).
Il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità [Cf Mt 18,16 ].
Tutti i cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l'esempio della vita e con la testimonianza della parola l'uomo nuovo, che hanno rivestito col Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con la Confermazione [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 11].
Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. “Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1].
Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto i ricordi di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli Atti dei Martiri. Costituiscono gli archivi della Verità scritti a lettere di sangue: Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente.[Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1].
Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri. Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen [San Policarpo, in Martyrium Polycarpi, 14, 2-3].
III. Le offese alla verità
I discepoli di Cristo hanno rivestito “l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,24). Bandita la menzogna, [Cf Ef 4,25] essi hanno deposto “ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza” (1Pt 2,1).
Falsa testimonianza e spergiuro. Una affermazione contraria alla verità, quando è fatta pubblicamente, riveste una gravità particolare. Fatta davanti ad un tribunale, diventa una falsa testimonianza [Cf Pr 19,9]. Quando la si fa sotto giuramento, è uno spergiuro. Simili modi di comportarsi contribuiscono sia alla condanna di un innocente sia alla assoluzione di un colpevole, oppure ad aggravare la pena in cui è incorso l'accusato [Cf Pr 18,5]. Compromettono gravemente l'esercizio della giustizia e l'equità della sentenza pronunciata dai giudici.
Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno [Cf Codice di Diritto Canonico, 220]. Si rende colpevole:
- di giudizio temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo;
- di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano; [Cf Sir 21,28 ]
- di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a erronei giudizi sul loro conto.
Per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo:
Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l'affermazione del prossimo che a condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi [Sant'Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 22].
Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l' onore del prossimo. Ora, l'onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto naturale all'onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto. Ecco perché la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e della carità.
E' da bandire qualsiasi parola o atteggiamento che, per lusinga, adulazione o compiacenza, incoraggi e confermi altri nella malizia dei loro atti e nella perversità della loro condotta. L'adulazione è una colpa grave se si fa complice di vizi o di peccati gravi. Il desiderio di rendersi utile o l'amicizia non giustificano una doppiezza del linguaggio. L'adulazione è un peccato veniale quando nasce soltanto dal desiderio di riuscire piacevole, evitare un male, far fronte ad una necessità, conseguire vantaggi leciti.
La iattanza o millanteria costituisce una colpa contro la verità. Ciò vale anche per l' ironia che tende ad intaccare l'apprezzamento di qualcuno caricaturando, in maniera malevola, un qualche aspetto del suo comportamento.
“La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare” [Sant'Agostino, De mendacio, 4, 5: PL 40, 491]. Nella menzogna il Signore denuncia un'opera diabolica: “Voi. . . avete per padre il diavolo. . . non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44).
La menzogna è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare o agire contro la verità per indurre in errore. Ferendo il rapporto dell'uomo con la verità e con il suo prossimo, la menzogna offende la relazione fondamentale dell'uomo e della sua parola con il Signore.
La gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono le vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità.
La menzogna è per sua natura condannabile. E' una profanazione della parola, la cui funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta. Il proposito deliberato di indurre il prossimo in errore con affermazioni contrarie alla verità costituisce una mancanza in ordine alla giustizia e alla carità. La colpevolezza è maggiore quando l'intenzione di ingannare rischia di avere conseguenze funeste per coloro che sono sviati dal vero.
La menzogna (essendo una violazione della virtù della veracità) è una autentica violenza fatta all'altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione degli spiriti e tutti i mali che questa genera. La menzogna è dannosa per ogni società; scalza la fiducia tra gli uomini e lacera il tessuto delle relazioni sociali.
Ogni colpa commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione, anche se il colpevole è stato perdonato. Quando è impossibile riparare un torto pubblicamente, bisogna farlo in privato; a colui che ha subito un danno, qualora non possa essere risarcito direttamente, va data soddisfazione moralmente, in nome della carità. Tale dovere di riparazione riguarda anche le colpe commesse contro la reputazione altrui. La riparazione, morale e talvolta materiale, deve essere commisurata al danno che è stato arrecato. Essa obbliga in coscienza.
IV. Il rispetto della verità
Il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato. Ognuno deve conformare la propria vita al precetto evangelico dell'amore fraterno. Questo richiede, nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda.
La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla [Cf Sir 27,16; Pr 25,9-10 ].
Il segreto del sacramento della Riconciliazione è sacro, e non può essere violato per nessun motivo. “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa” [Codice di Diritto Canonico, 983, 1].
I segreti professionali - di cui sono in possesso, per esempio, uomini politici, militari, medici e giuristi - o le confidenze fatte sotto il sigillo del segreto, devono essere serbati, tranne i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse causare a chi li confida, a chi ne viene messo a parte, o a terzi danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità. Le informazioni private dannose per altri, anche se non sono state confidate sotto il sigillo del segreto, non devono essere divulgate senza un motivo grave e proporzionato.
Ciascuno deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone. I responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. L'ingerenza dell'informazione nella vita privata di persone impegnate in un'attività politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità e la loro libertà.
Nella società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell'informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all'influenza esercitata sull'opinione pubblica.
L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11]. La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà:
Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell'uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia nella loro divulgazione [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11].
“E' necessario che tutti i membri della società assolvano, anche in questo settore, i propri doveri di giustizia e di carità. Perciò si adoperino, anche mediante l'uso di questi strumenti, a formare e a diffondere opinioni pubbliche rette” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11]. La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e della libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri.
I mezzi di comunicazione sociale (in particolare i mass-media) possono generare una certa passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli. Di fronte ai mass-media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste.
Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l'obbligo, nella diffusione dell'informazione, di servire la verità e di non offendere la carità. Si sforzeranno di rispettare, con pari cura, la natura dei fatti e i limiti del giudizio critico sulle persone. Devono evitare di cadere nella diffamazione.
“Particolari doveri... incombono sull' autorità civile in vista del bene comune… E' infatti compito della stessa autorità… difendere e proteggere. . . la vera e giusta libertà di informazione”… “Mediante la promulgazione di leggi e l'efficace loro applicazione” il potere pubblico provvederà affinché dall'abuso dei media “non derivino gravi danni alla moralità pubblica e al progresso della società” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11]. L'autorità civile punirà la violazione dei diritti di ciascuno alla reputazione e al segreto intorno alla vita privata. A tempo debito e onestamente fornirà le informazioni che riguardano il bene generale o danno risposta alle fondate inquietudini della popolazione. Nulla può giustificare il ricorso a false informazioni per manipolare, mediante i mass-media, l'opinione pubblica. Non si attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi.
La morale denuncia la piaga degli stati totalitari che sistematicamente falsano la verità, esercitano con i mass-media un'egemonia politica sull'opinione pubblica, “manipolano” gli accusati e i testimoni di processi pubblici e credono di consolidare il loro dispotismo soffocando o reprimendo tutto ciò che essi considerano come “delitti d'opinione”.
VI. Verità, bellezza e arte sacra
La pratica del bene si accompagna ad un piacere spirituale gratuito e alla bellezza morale. Allo stesso modo, la verità è congiunta alla gioia e allo splendore della bellezza spirituale. La verità è bella per se stessa. All'uomo, dotato d'intelligenza, è necessaria la verità della parola, espressione razionale della conoscenza della realtà creata ed Increata; ma la verità può anche trovare altre forme di espressione umana, complementari, soprattutto quando si tratta di evocare ciò che essa comporta di indicibile, le profondità del cuore umano, le elevazioni dell'anima, il Mistero di Dio. Ancor prima di rivelarsi all'uomo mediante parole di verità, Dio si rivela a lui per mezzo del linguaggio universale della Creazione, opera della sua Parola, della sua Sapienza: l'ordine e l'armonia del cosmo che sia il bambino sia lo scienziato sanno scoprire, la grandezza e la bellezza delle creature fanno conoscere, per analogia, l'Autore, [Cf Sap 13,5] “perché li ha creati lo stesso Autore della bellezza” (Sap 13,3).
La Sapienza è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa si infiltra. E' un riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà (Sap 7,25-26). Essa in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore; a questa, infatti, succede la notte, ma contro la Sapienza la malvagità non può prevalere (Sap 7,29-30). Mi sono innamorato della sua bellezza (Sap 8,2).
“Creato ad immagine di Dio” (Gen 1,26), l'uomo esprime la verità del suo rapporto con Dio Creatore anche mediante la bellezza delle proprie opere artistiche. L'arte, invero, è una forma di espressione propriamente umana. Al di là dell'inclinazione a soddisfare le necessità vitali, comune a tutte le creature viventi, essa è una sovrabbondanza gratuita della ricchezza interiore dell'essere umano. Frutto di un talento donato dal Creatore e dello sforzo dell'uomo, l'arte è una forma di sapienza pratica che unisce intelligenza e abilità [Cf Sap 7,16-17] per esprimere la verità di una realtà nel linguaggio accessibile alla vista o all'udito. L'arte comporta inoltre una certa somiglianza con l'attività di Dio nel creato, nella misura in cui trae ispirazione dalla verità e dall'amore per gli esseri. Come ogni altra attività umana, l'arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine ultimo dell'uomo e da esso nobilitata [Cf Pio XII, discorso del 25 dicembre 1955 e discorso del 3 settembre 1950].
L' arte sacra è vera e bella quando, nella sua forma, corrisponde alla vocazione che le è propria: evocare e glorificare, nella fede e nella adorazione, il Mistero trascendente di Dio, Bellezza eccelsa di Verità e di Amore, apparsa in Cristo “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3), nel quale “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), bellezza spirituale riflessa nella Santissima Vergine Madre di Dio, negli Angeli e nei Santi. L'autentica arte sacra conduce l'uomo all'adorazione, alla preghiera e all'amore di Dio Creatore e Salvatore, Santo e Santificatore.
Per questo i vescovi, personalmente o per mezzo di delegati, devono prendersi cura di promuovere l'arte sacra, antica e moderna, in tutte le sue forme, e di tenere lontano con il medesimo zelo, dalla Liturgia e dagli edifici del culto, tutto ciò che non è conforme alla verità della fede e all'autentica bellezza dell'arte sacra [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 122-127].