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LA FAMIGLIA IMMAGINE DELLA TRINITA'
Mistica del matrimonio
Quando Dio ha creato l'uomo l'ha fatto a sua immagine e somiglianza. Che significa questo?
Per capire il significato di questa frase, bisogna capire chi è Dio. Ma come fare?
Elemosinando definizioni, possiamo ricorrere al catechismo di Pio X, che, alla domanda “Chi è Dio?”, rispondeva: “Dio è l'essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra”; ma questa è una risposta dedotta dall'uomo, cioè si parte dall'uomo e si dice: Se l'uomo è perfetto, Dio sarà perfettissimo, se l'uomo è sapiente, Dio sarà sapientissimo... si tratta di una definizione filosofica, nata dal ragionamento umano, ma non coglie l´essenza di Dio.
Possiamo ancora ricorrere alla definizione che Dio stesso diede a Mosè sul Sinai: “Io sono colui che è”. Questa frase potremmo tradurla con l'espressione: “Io sono l'Eterno”, Colui che vive l'eternità. L’eternità, il tempo di Dio, rende contemporaneo il passato, il presente e il futuro, cioè, esiste solo il presente, senza poter ingannare circa il passato e avere dubbi circa il futuro. In Dio c’è la verità palese riguardo a tutto. I profeti a cui è stato aperto uno spiraglio su Dio, non possono sbagliarsi. Lì c’è la verità e non solo la verità su Dio, ma anche la verità su ciascuno di noi. Tutto viene custodito in questo scrigno eterno che è il Cuore di Dio. Questo non vuol dire che tutto ciò che Dio sa e vede sia tutto secondo il suo volere e benedetto da Lui. Per ciò che riguarda noi, ci sono i nostri chiaroscuri e c’è la premura di Dio che cerca in tutti i modi di illuminare, di purificare, di santificare, ma c’è anche la nostra volontà, che può opporsi alla Sua in maniera determinante.
Ma la definizione di Dio che coglie l'essenza del suo essere è quella dell'apostolo dell'amore: Giovanni; egli dice: “Dio è Amore”.
Ma allora sorge la domanda: “Cos'è l'amore?”
Sembra facile rispondere ma non è così. L'amore fa parte di quelle realtà inesprimibili come “Vita”, “Dio”, “Eternità”, “Anima”...
Tentando una spiegazione, potremmo dire che l’amore è energia, è una volontà di bene che parte dal cuore e va verso un altro cuore, è vincolo che lega, è tensione che tende all’appagamento, è proposta che attende una risposta e se la ottiene crea un legame indissolubile; l’amore è dono di sé, è chiamare l’altro/a nella propria orbita, è fusione di due cuori in uno….
L’amore esige l’alterità ma crea l’unità.
Due persone che si amano, non tollerano che tra loro ci sia uno spazio che li divida, che ci siano ostacoli alla comunione, non tollerano che ci siano tempi senza comunicazione, due che si amano non tollerano che tra loro ci sia qualcuno o qualcosa che si interponga, che li divida. L’amore è uscire da sé e vivere per l’altro, l’amore crea l’unità.
In Genesi è detto: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò”. (Gen 1:27)
Ora Dio è comunione trinitaria, sono due persone fuse nell’amore sostanziale che è lo Spirito. Ciò che il Padre vuole, il Figlio lo accetta e lo Spirito si attiva per renderlo possibile.
Giovanni, l’apostolo dell’amore, è penetrato in questo mistero e l’ha espresso così:
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni 1:1-14
Da questa visione profetica di Giovanni, capiamo che il Padre e il Figlio vogliono la stessa cosa e lo Spirito, “che è Signore e dà la vita”, come diciamo nel credo, l’ha realizzata.
Chi si è opposto a questo disegno d’amore è stato l’uomo che non l’ha riconosciuto o non ha voluto riconoscerlo e lo ha rifiutato, danneggiando se stesso.
La vocazione al matrimonio
L’uomo e la donna, chiamati per vocazione a realizzare un progetto matrimoniale, sono stati creati per esprimere la stessa comunione che c’è in Dio, Trinità d’amore.
Dio ha creato due creature uguali per dignità, diverse per compiti, due creature complementari, capaci di amare, che, proprio in forza di questa energia spirituale, infusa in loro da Dio nell’atto creativo, sono tirati fuori dal proprio egoismo e resi disponibili a vivere per la felicità dell’altro/a. In questa tensione amorosa, che fa dei due una cosa sola, riproducono il dinamismo beatificante che c'è nella Trinità.
In Genesi è detto:
“Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.
Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta».
Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. (Gen 2:20-24)
Il termine biblico “una sola carne”, equivale a “una sola vita”, vivranno in comunione, formeranno una creatura complessa, molto più ricca e completa, perché fusa e impreziosita dall’amore che si fa dono; è una creatura che vive il dono di sé permanentemente e in questo dono dilata il suo cuore a misura del bisogno dell’altro/a, una creatura che diventa fonte d’amore perenne, perché l’amore più si dona e più si rigenera. L’amore rende consanguinei, crea il primo vincolo di parentela, la parentela di primo grado o di grado zero, è quella tra coniugi e questo vincolo lo crea l’amore, questo tipo di amore è fecondo; da esso poi deriva la parentela di sangue che è quella tra genitori e figli.
L’amore è veramente il motore del mondo, ma l’Amore per eccellenza è Dio, noi non abbiamo che una partecipazione, una somiglianza, non siamo che immagini di questo Amore. Ora l’immagine è quella che si forma nello specchio quando questo viene messo davanti a qualcosa o a qualcuno. L’immagine non è la realtà, essa scompare non appena lo specchio si sposta. Se noi siamo immagine di Dio, vuol dire che siamo chiamati a vivere di fronte a Lui e rispecchiare in noi ciò che Lui è. Noi possiamo amare solo se lasciamo trasparire in noi Dio che è Amore. L’amore è sorriso, è bellezza, è generosità, è attenzione premurosa, è dolcezza, è pazienza, è servizio, è consiglio, è conforto, è sostegno, cioè l’amore diventa di volta in volta ciò di cui l’altro/a ha bisogno e si dona gratuitamente, come fa Dio, che non ci presenta il conto dopo ogni beneficio che ci concede, noi possiamo amare solo se permettiamo ai sentimenti di Dio di attraversarci, solo se, come S. Paolo, possiamo ormai dire: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”
Perché questo possa accadere è necessario che noi ci impegniamo a conservare il cuore puro, non inquinato dal peccato qualunque esso sia; è sempre il peccato che rende il nostro cuore non trasparente, refrattario agli impulsi divini, il peccato è l’unico nemico dell’amore.
L’anima che cede al peccato diventa come uno specchio imbrattato, che non riflette più la luminosità di Dio, ma nel suo lordume si vede l’immagine del tentatore.
Le difficoltà della vita familiare
L’incapacità di amare rende difficoltosa, a volte pesante la vita familiare e comunitaria, complica le relazioni, getta ombre sui fratelli e non ci fa capire che quelle ombre stanno dentro di noi, ci appartengono e solo lavorando sul proprio cuore si può riuscire a toglierle.
Ombre possono esservi anche nel cuore dei fratelli, deboli e peccatori come noi, ma è sempre lavorando sul proprio cuore che si possono raccogliere frutti d’amore anche nel cuore dei fratelli. L’amore vero, quello che non si lascia intaccare dalle provocazioni, quello che non si lascia smontare dalle difficoltà, a lungo andare mette in crisi il fratello, lo dispone a reagire secondo lo stimolo che riceve e se lo stimolo è positivo, se nasce dall’amore vero, ottiene reazioni positive e così, senza accorgersi, i cuori si risanano, le relazioni si riarmonizzano, i pensieri negativi abbandonano la mente e l’energia positiva ricomincia a circolare portando salute all’anima, alla psiche e al corpo.
Dio ci ama nonostante i nostri difetti perché Lui è per essenza AMORE. Noi, amiamo con difficoltà perché dentro di noi non troviamo solo amore ma anche orgoglio, invidia, gelosia, rabbia, superbia, egoismo in tutte le sue forme.
Per noi l’amore deve essere un traguardo da raggiungere, un progetto da perseguire, un compito che ci diamo e che ci impegna per tutta la vita ad una vigilanza costante.
Esempio del contadino
Come il campo, per produrre frutto ha bisogno di essere sempre sotto le cure premurose del contadino che lo vanga perché sia morbido, lo innaffia perché sia accogliente, toglie le pietre perché non siano di ostacolo al seme, estirpa le erbacce perché non impoveriscano il terreno e non crescano a dismisura togliendo alle piante la luce del sole e il seme possa nutrirsi, così noi, se vogliamo avere un cuore capace di amare, dobbiamo vigilare continuamente perché nulla diminuisca la nostra sensibilità spirituale e anzi siamo capaci di dare al nostro amore tutte le espressioni di cui Dio è capace.
Questo non è possibile se non ci teniamo sotto l’azione costante dello Spirito Santo, maestro intimo, il cui compito è quello di creare relazioni d’amore nella creazione e soprattutto tra le creature e il Creatore e tra le creature tra loro.
“Rimanete nel mio amore”
Queste parole sono il testamento che Gesù ci ha lasciato nell’ultima cena, prima di consegnare la sua vita per noi:
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
(Gv 15:1-11)
La capacità di rimanere nell’amore in certe situazioni può richiedere sforzi non indifferenti, può richiedere la mortificazione della nostra natura, l’umiliazione, la rinuncia a diritti legittimi, ma proprio queste sono le occasioni più preziose della nostra vita, quelle che, se vissute sotto l’azione dello Spirito e non sotto quelle della ragione e del senso umano, possono farci fare passi da gigante e raggiungere i vertici della somiglianza con Dio. Si tratta di riuscire a non lasciarci imbrigliare dai ragionamenti umani, di non raccogliere le provocazioni che vorrebbero farci reagire all’offesa con la vendetta, all’umiliazione con l’insulto, al tradimento con il tradimento, al disprezzo con il rancore; dobbiamo tenerci saldamente sotto l’influsso divino e continuare ad amare anche se le persone a cui è diretto il nostro amore in quel momento sono infedeli e mettono a dura prova la nostra fedeltà. Questo è l’esempio che Gesù ci ha dato sulla croce quando ha pregato il Padre dicendo: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Ma per questo S. Paolo ci dice che “Gesù, reso perfetto per le cose che patì, divenne causa di salvezza per molti, per tutti quelli che accolgono il suo invito”.
Non dobbiamo permettere che il nostro cuore sia attraversato da pensieri negativi, dobbiamo semmai compatire, perdonare, non sottolineare le offese, non ripensare alle umiliazioni subite, pregare per chi ci offende, perché non sa amare e sta facendo del male a se stesso. Il perdono aiuta anche il fratello, diminuendo il suo peccato perché il peccato ha la gravità del male che provoca, ma se io, trasformo l’offesa in un atto d’amore, il peccato riduce la sua gravità. Il perdono é un argine al male. Quanto bene possiamo farci con il perdono!
Raggiungere la statura di Cristo
Così facendo cresceremo nell’amore e cercheremo di raggiungere la statura di Cristo.
In realtà noi abbiamo, di fronte a Dio, l’età del tempo che abbiamo trascorso nell’amore. Il tempo trascorso nel disordine, nel peccato non solo ha provocato un arresto nella nostra crescita, ma ci ha causato delle malattie spirituali che ci hanno indebolito e ci rendono più vulnerabili, perciò è necessario che noi prendiamo coscienza delle nostre fragilità e ci teniamo in cura con la preghiera, l’ascolto attento della Parola, la frequenza ai sacramenti, l’esercizio della carità, l’amore al prossimo, il perdono, ecc.
Gesù sapeva che avevamo bisogno di Medico e di medicina e perciò è venuto e si è offerto a curarci e a darci quanto ci necessita, ora sta a noi apprezzare il suo dono e farne tesoro.
A questo riguardo la Madre Speranza dice: “La mortificazione è molto necessaria per arrivare ad amare Dio; mai potremo dire infatti con verità che amiamo Dio e che desideriamo seguire il buon Gesù, se non amiamo la mortificazione. Gesù durante tutta la sua vita in questo esilio desiderò ardentemente la sofferenza; sposò la povertà già nel presepio e l’ebbe compagna fino al Calvario. Così noi, se veramente desideriamo assomigliare al buon Gesù e imitare la sua perfezione, è necessario che portiamo la nostra croce come Egli portò la sua e che ci uniamo a Lui con la mortificazione.
Mediante la croce Gesù salvò il mondo e mediante la croce noi dobbiamo lavorare con Lui per la santificazione nostra e del nostro prossimo. Certo, la sofferenza è per se stessa dura; però non lo è più quando contempliamo il buon Gesù che ci precede portando la sua pesante croce per salvare noi e i nostri fratelli. Come oseremo lamentarci delle nostre sofferenze se contempliamo Gesù nella sua agonia? Come ardiremo discolparci se consideriamo il suo comportamento di fronte alla ingiusta condanna, e durante la flagellazione, la coronazione di spine e la crocifissione? Desideriamo il dolore se veramente aspiriamo a raggiungere il suo amore e la vera unione con Lui.
Fa, Gesù mio, che arriviamo tutti alla convinzione che Tu sei Padre e Medico e che permetti le tribolazioni come medicina per salvarci”.
Questionario di approfondimento personale:
- A che punto mi trovo in questo cammino di identificazione con Dio – Amore?
- La capacità di amare è per me il traguardo più importante e più urgente della mia vita?
- C’è in me qualcosa che mi impedisce di amare concretamente? (orgoglio, egoismo, incapacità di perdono, senso umano della giustizia, povertà di sentimenti, incomprensione, impazienza…)
- Quale impegno posso prendere per fare un passo anche piccolo verso il vero amore, che è più grande di qualsiasi povertà degli altri?
- A che punto sta il mio perdono?
- Perdono ma non dimentico.
- Perdono ma taglio le relazioni con chi mi ha offeso.
- Perdono ma godo se l’offensore paga per il suo errore.
- Perdono, dimentico e non tengo il conto delle offese…
- Capisco il linguaggio della croce che redime quando è abbracciata per amore?
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- So fare della mia vita un dono generoso, gioioso, che sa dire il suo sì a Dio anche nella prova?
- Quale tipo di amore mi riesce più difficile da praticare? (fraterno, di amicizia, verso Dio, filiale, di solidarietà, verso i poveri, verso i peccatori…)
- La contemplazione di Cristo mi aiuta a rivedere e perfezionare il mio modo di amare?
- L’amore espropria; io mi sento proiettato verso gli altri nel tentativo di compiacerli, servirli, gratificarli, o sono ripiegato su me stesso e magari aspetto che altri mi gratifichino?
- C’è qualche persona che non riesco ad accettare così com’è? Cosa posso fare per lei?
- Prego perché lo Spirito mi insegni l’arte di amare?
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