L'ARTE DI PURIFICARE LA NOSTRA CONDOTTA
Impegno ad individuare il nostro difetto dominante per poterlo eliminare.
GLI OTTO PENSIERI CATTIVI
Non si pretende certo con questo titolo enumerare tutte le forme di suggestioni negative che ci sollecitano in continuazione, ma i maestri di spirito, attraverso l’esperienza personale, la riflessione profonda, la conoscenza di tante persone che si sono rivolte a loro per consiglio e direzione spirituale, hanno notato che certi vizi sono ricorrenti. Sono state fatte così diverse catalogazioni di vizi ma su tutte ha prevalso quella di Evagrio (fine del IV sec.) che enumera 8 “pensieri generici”, che attaccano di solito le persone.
Evagrio dà questo ordine:
1. golosità, 2. fornicazione, 3. avarizia, 4. tristezza,
5. collera, 6. accidia, 7. vanagloria, 8. orgoglio.
In fondo si tratta dei vizi capitali, ai quali però S. Gregorio Magno cambiò l’ordine. Mise la superbia al primo posto, come radice di tutti i vizi, inoltre superbia e vanagloria sono considerate un unico vizio, così il numero è stato ridotto a 7. Il termine greco “accidia” indica la mancanza di applicazione di quanto la grazia ci ha suggerito nell’intimo, il rimandare sempre a domani ciò che gioverebbe alla nostra salvezza, il far prevalere sempre ciò che piace su ciò che si deve. L’inconcruenza. La tristezza, soprattutto quando a causarla è il successo del prossimo, venne chiamata “invidia”. Con questa precisazione l’ordine dato ai vizi capitali da S. Gregorio Magno è il seguente:
- superbia,
- avarizia,
- lussuria,
- ira,
- gola,
- invidia,
- accidia.
Cerchiamo di analizzare questi vizi, per imparare a riconoscerli in noi.
La golosità:
Al demonio che lo tentava su questo punto Gesù rispose: “Non di solo pane vive l’uomo”. Questo difetto riguarda soprattutto la quantità e la qualità dei cibi, perché il piacere della gola è legato alla necessità di nutrirsi per conservare il dono della vita. Questo bisogno lo abbiamo in comune con gli animali e le piante. Essi ci indicano come comportarci, prendendo dalla natura solo quello di cui hanno bisogno. L’uomo, creatura intelligente e libera, deve seguirne l’esempio, imponendosi un limite nella quantità, qualità, periodicità. Il pensiero cattivo della golosità, scrive Cassiano, ci suggerisce di mangiare prima del tempo, ci incita a mangiare troppo e a selezionare i cibi secondo il piacere e non secondo l’utilità. Si dice che l’uomo educato, a tavola dia l’impres-sione di potere, in ogni momento, essere chiamato altrove e di potersi alzare volentieri. Il cristiano, in particolare, dovrebbe essere sempre disposto a dare la precedenza alle cose dello spirito.
La fornicazione:
Nessuno vuole sottovalutare la forza dell’istinto sessuale teso alla conservazione del genere umano. Tuttavia l’uomo deve conservarsi e moltiplicarsi in modo umano, con decisioni libere e morali, seguendo l’ordine naturale. Oggi forse è questo l’istinto più incontrollato, anche perché si preferisce svincolarlo dalla vita con i mezzi più svariati, per lasciarlo solo come strumento di piacere. Questo atteggiamento fa scadere l’uomo al di sotto degli animali, che usano il sesso solo quando devono procreare. Sicuramente per l’uomo l’espressione della sessualità riveste anche un valore affettivo ed è quindi anche mezzo di comunicazione profonda per la coppia, ma ogni cosa, nell’economia divina, va fatta con misura e con spirito di sacrificio. Se il Signore ha disposto che la relazione sessuale sia una delle forme di espressione dell’amore, amore deve restare e non violenza, mancanza di rispetto, egoismo. Per ciò che riguarda la trasmissione della vita è bene che l’uomo, creatura intelligente, lo faccia in maniera moralmente accettabile, ma questo implica l’applicazione della continenza sessuale periodica, quindi spirito di sacrificio. Non possiamo staccare il piacere dal dovere in qualsiasi modo. Se una gravidanza sembra inopportuna, bisogna astenersi nei giorni fecondi: Non è opportuna una richiesta sessuale, se le condizioni del coniuge la sconsigliano. La decisione di astensione sicuramente comporta sacrificio, perché la concupiscenza fa sentire il suo pungolo. Il sentire e il desiderare non è peccato. Il non sentire tentazioni contro la castità è un’eccezionale dono di Dio. Quando la mente, la fantasia, i sensi sono turbati, dobbiamo chiederci: “Cosa voglio? Sto decidendo io o sono schiavo delle mie passioni?” Ci sono anche dei mezzi per aiutarci a resistere all’istinto sessuale: la preghiera, la mortificazione dei sensi (astenersi dal vedere spettacoli eccitanti, riviste porno, dall’ascoltare discorsi osceni), il lavoro costante. Se l’ozio è il padre dei vizi, il lavoro anche fisico, assorbe la mente, scarica la tensione nervosa, facilita il sonno, tranquillizza l’anima.
L’avarizia:
Essere moderati nelle esigenze, accontentarsi del necessario è virtù, esagerare nel risparmio fino a farsi mancare il necessario e non avere nessuna sensibilità nei riguardi dei poveri è vizio di avarizia. L’avarizia è sete di accumulare ricchezze, è bisogno di sicurezze terrene, in fondo è anche sfiducie nella Provvidenza divina. L’avarizia può spingere ad appropriarsi dei beni altrui in maniera illecita. Diamo perciò alcune regole riguardanti questo vizio:
- Non è permesso appropriarsi delle cose per mezzo del furto, ce lo vieta il decalogo: “Non rubare”.
- I beni possono essere acquistati onestamente. Per ciò che riguarda l’uso delle cose, dobbiamo ricordare che i beni, in assoluto appartengono a Dio e non ci è lecito accumulare il superfluo se altri mancano del necessario.
- L’uomo laborioso cerca di guadagnare per vivere, l’avaro lo fa per accumulare e non ha interesse per altri valori. E’ bandita dalla sua mente ogni forma di volontariato.
- Gli avari ripongono troppa fiducia nei soldi, dimenticano Dio, sono duri verso il prossimo e loro stessi soffrono perché, pur di non spendere, si privano anche del necessario. All’infuori dei soldi non hanno altri interessi né naturali né spirituali, né si concedono un sano divertimento. Custodiscono il loro tesoro sulla terra e ne diventano custodi. (Mt 6,19)
Tristezza – Invidia:
Quando siamo tristi, sia pure senza dirlo, esprimiamo la convinzione che qualcosa non dovrebbe esserci, che non siamo disposti ad accettare la croce, il piano di redenzione mediante la sofferenza santificata. Se poi ci assale la tristezza perché non accettiamo il coniuge così com’è, i figli come sono, la situazione economica in cui viviamo, la solitudine ecc, è ancora voler rifiutare la croce, è mancanza di fede nella Provvidenza, è indice che Dio non ci basta.
La tristezza è pericolosa, paralizza il coraggio di proseguire con impegno, ci toglie il gusto della preghiera, ci rende asocievoli, complicando le relazioni con gli altri. I maestri di spirito la ritengono il peggior nemico della vita spirituale.
La tristezza che viene dal tentatore è quella che ci assale quando vediamo che gli altri godono più di noi, si chiama invidia, è diabolica. L’invidia è peggiore dell’avarizia, perché l’avaro vuol possedere i beni materiali che appartengono agli altri, l’invidioso vorrebbe possedere anche i doni spirituali di armonia, serenità, pace e gode quando gli altri sono infelici. L’invidia è un peccato subdolo, che si presenta in sordina con un sentimento di disappunto quando gli altri hanno successo. Bisogna respingerla subito, godendo con chi gode e ringraziando Dio per la pace del fratello.
Oggi la vita sociale, sportiva e lavorativa è un continuo combattimento degli uni contro gli altri, per discreditare, offuscare, seminare sospetti sui più fortunati. Tale agonismo è diabolico.
Ciò che invece si può e si deve fare è impegnarsi a superare sempre più se stessi, nel senso di mettere a frutto tutti i propri talenti, per farli crescere fino alla pienezza e mettere la propria esperienza al servizio degli altri, perché anche loro possano portare a completezza il progetto di vita. L’unica gara lodevole tra coniugi e fratelli è quella dell’amore: spiare i bisogni dell’altro per soddisfarlo prima ancora che l’altro si accorga di avere quel bisogno, come fece Maria a Cana. S. Paolo dice: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda”.
L’ira
L’ira è un sentimento di disappunto che ci assale quando un altro ostacola il nostro cammino, non importa se il dubbio sia reale o solo immaginario. L’ira si presenta come tentazione di mettere da parte, ad eliminare ciò che ci contraria. L’ira può apparire giusta o ingiusta. E’ giusta quando ci accendiamo di sdegno contro il male, ma lo combattiamo con le armi dello spirito: pazienza, benignità, misericordia, chiarezza… fede, speranza, amore. L’ira giusta è quella rivolta al peccato che vuole dominarci, al diavolo che vuole suggestionarci con pensieri cattivi, Mai deve riguardare le persone. Un atteggiamento deciso e di condanna verso un operare iniquo è utile solo se porta al bene, ma i santi sono tutti concordi nel dire che si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto.
Gesù una sola volta ha scacciato i venditori dal tempio (Mc 11,15), ma era lo squillo di tromba che annunciava l’ora della salvezza.
L’ira incontrollata genera odio e desiderio di vendetta, fa godere delle disgrazie altrui, fa uscire dalla nostra bocca parole che umiliano, feriscono e denigrano anche davanti agli altri il nostro presunto nemico. Inoltre dalle parole facilmente si passa agli atti violenti. L’ira offusca il sano giudizio a motivo della violenza del sentimento. Un uomo in preda all’ira è un folle o un epilettico volontario. Non si può parlare con lui finché l’impulso non è cessato. Di fronte ad un tale fenomeno è meglio respirare profondamente per ossigenare il nostro cervello, contare fino a dieci, fare altro per non essere coinvolti nello stesso male, perché l’ira è contagiosa.
Di solito l’iracondo una volta sfogato, resta calmo. Peggiore è l’ira che lascia nell’animo il sentimento e il proposito di vendetta. In questo caso si rifiuta il perdono e s’imprigiona la propria anima in una cella volontaria. Così ci si stacca anche dal regno di Dio, perché chi non perdona non sarà perdonato. Egli non ha bisogno di Dio, perché vuole farsi giustizia da sé.
Come vincere l’ira?
Nella vita dei padri del deserto si racconta che un iroso fu consigliato di ripetere questa preghiera: “Ti ringrazio, Signore, per non aver bisogno di Te, perché la giustizia me la procuro da solo”. S. Doroteo paragona l’irato ad un cane che morde un sasso e, nella sua cecità, non vede l’uomo che ha gettato il sasso. L’ira offusca la ragione.
S. Paolo nella lettera agli Efesini dice: “Nell’ira non peccate. Non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza. Siate invece benevoli gli uni contro gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4, 26-31).
L’apostolo, avendo un temperamento esplosivo, sapeva come sia facile, di fronte alla disonestà e al male, andare in collera, ma questo impulso va controllato perché non ci porti al peccato, all’offesa, al rifiuto del fratello, all’esaltazione del proprio egoismo.
L’ira guarisce esercitando le virtù contrarie: la mitezza, la pazienza, la fede in Dio.
L’accidia:
L’accidia è qualcosa di più della pigrizia, difetto verso il quale siamo abbastanza benevoli. Essa è uno stato di disgusto, di stanchezza, di disinteresse; è la cosiddetta “tiepidezza”. I Padri la chiamavano anche “il demonio del mezzogiorno” (cf Sal 90,6) quello che assale i monaci a metà giornata, quando passa l’ardore e la voglia di lavorare. Il disgustato e il pigro non hanno voglia d’impegnarsi, di resistere alle tentazioni e perciò ne restano vittime.
La pigrizia spirituale, secondo i maestri di spirito, ha 9 manifestazioni:
- Una paura esagerata degli ostacoli che si possono incontrare;
- l’avversione a tutto ciò che costa fatica;
- la negligenza nell’osservare i comandamenti, le regole;
- l’instabilità nel mantenere i buoni propositi;
- l’incapacità di resistere alle tentazioni;
- l’avversione verso coloro che sono zelanti, fervorosi, osservanti;
- la perdita di tempo prezioso;
- la libertà di concedersi soddisfazioni, curiosità, piaceri, divertimenti illeciti;
- la negligenza nell’assolvere ai doveri del proprio stato, la dimenticanza del fine ultimo, la trascuratezza dei motivi religiosi.
La tiepidezza è, secondo S. Bernardo, “ombra della morte”. Il tiepido assomiglia ad una vigna non coltivata, ad una casa senza porte né finestre. La tiepidezza è uno stato di apatia e di noia, aumenta la fatica perché il pigro si logora nel pensare a come evitare la fatica. La tiepidezza è come un verme alla radice di una pianta. Il pigro nasconde i suoi talenti sotto terre (Mt 25,25). Per lui sono le parole dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”. (Ap 3,15-16).
La superbia:
La superbia è un vizio che sta alla base di tutti gli altri ed ha molteplici manifestazioni: la vanità, il giudizio proprio, la volontà propria… Essa consiste nell’attribuirsi un bene o un merito che non è nostro. Il superbo cerca la gloria, ama essere lodato. L’unica cosa che merita gloria è la partecipazione alla vita divina, ma questo è un dono di Dio, per cui la gloria va a Lui.
L’immagine evangelica della superbia è quella del fariseo, che prega dinanzi a Dio: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano”. L’orgoglioso si considera migliore degli altri. Proprio quelli che cercano di impegnarsi di più spiritualmente sono i più esposti a questo pericolo. Tale vizio è chiamato l’ultimo demone”, che attacca quelli che si sono liberati dagli altri 7 precedenti. E’ il più forte perché ispira superiorità sul prossimo a motivo delle opere, della conoscenza teologica, della vocazione ecc. L’orgoglio precede la caduta. Il teologo superbo professa errori. L’autosufficienza del proprio giudizio è la malattia degli intellettuali superbi. Essi non sanno collaborare: o si fa come dicono loro o rifiutano.
La vanagloria è un vizio minore. C’è chi si fa ammirare per i capelli, chi per la voce, chi per le amicizie con i potenti… S. Francesco di Sales dice che essa muore mezz’ora dopo la morte dell’uomo. Essa rischia di trascinare alla mancanza di sincerità per non perdere l’ammirazione. Se capitano due vanagloriosi a confronto, si assiste all’asta dei primati: se uno conosce un vescovo, l’altro conosce un cardinale. I maestri di spirito paragonano la vanagloria ad un ladro che accompagna un viaggiatore, fingendo di avere la stessa destinazione: strada facendo lo deruba di tutto. Infatti il vanaglorioso cerca la lode degli uomini in tutto ciò che fa, anche nelle pratiche religiose. Una volta ottenuta non ha niente da aspettarsi da Dio, perché non ha fatto niente per Lui. Il superbo esalta il proprio io e lo ama più di quanto ama Dio.
L’amore ordinato di sé non è male, ma il prossimo va amato come se stesso e Dio sopra se stesso. L’egoista va contro se stesso, perché impiccolisce il suo cuore. Egli non fa spazio né ai fratelli né a Dio.
La volontà propria: La volontà, attributo divino a cui partecipiamo per dono, deve essere indirizzata sempre al bene morale. Il demonio a volte si traveste da angelo di luce e nasconde l’avarizia sotto la virtù del risparmio, il rifiuto del perdono sotto la toga della giustizia, la lussuria sotto l’espressione affettiva, la golosità sotto finte malattie o esigenze di età, la pigrizia sotto il pretesto della salute, ecc.
La volontà propria tende a nascondere il pensiero cattivo sotto i testi sacri! Anche il criminale riesce a giustificare tutti i suoi crimini, altrimenti non li farebbe. Per evitare questo tranello, più sottile degli altri, bisogna mettersi spesso nella luce di Dio e nella meditazione profonda bisogna cercate la propria verità, ascoltando la coscienza.
QUESTIONARIO DI APPROFONDIMENTO PERSONALE:
- Conosci il tuo difetto dominante?
- Sai tenerlo sotto controllo?
- Lo contrasti con le virtù opposte?
- Tieni sotto controllo la superbia, che sa nascondersi sotto false vesti?
- Sai rinunciare alla tua volontà per fare quella di Dio?