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GIUGNO 2010

     

LO SVILUPPO DEI POPOLI E LA TECNICA (Caritas in veritate, Conclusioni)

 

            Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli, che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5) e c’incoraggia: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Di fronte alla vastità del lavoro da compiere, siamo sostenuti dalla fede nella presenza di Dio accanto a coloro che si uniscono nel suo nome e lavorano per la giustizia. Paolo VI ci ha ricordato nella Populorum progressio che l’uomo non è in grado di gestire da solo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo. Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale. La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è `un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile – nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos – salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento. E` la consapevolezza dell’Amore indistruttibile di Dio che ci sostiene nel faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo dei popoli, tra successi ed insuccessi, nell’incessante perseguimento di retti ordinamenti per le cose umane. L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui aneliamo. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande.

 

            Un anno di riflessione su questi valori assoluti, avrebbe dovuto convincerci che non vi è progresso al di fuori di Dio. Lo sanno tutti quelli che, dopo aver seguito per un certo periodo le idee del nostro mondo ed aver sperimentato lo squallore nel quale erano giunti e la dipendenza dalle passioni, hanno ritrovato la Via della Verità e della Vita e godono della loro risurrezione fin da questa terra.

            E’ un vero godimento dopo tanta paura, dopo tanto bisogno di rumore per non pensare, dopo tanta ricerca di piacere che non soddisfaceva le loro esigenze, dopo tanto “usa e getta” di cose, di persone, di affetti, di se stessi venduti per un attimo di piacere…

            Ma sono tante le persone che vivono ancora questa schiavitù e attendono chi testimoni loro che uscirne è possibile. Per poterlo fare bisogna attraversare il mare del distacco dal mondo fatuo fatto di vuote apparenze, per fermarsi magari sul deserto della novità sconosciuta, che spaventa, ma che comunque, nonostante le sue problematiche, è garanzia di salvezza.

            La storia del popolo di Dio si rinnova per ogni creatura che ha sperimentato la schiavitù da qualsiasi faraone, sia esso umano o diabolico. La vita nel deserto, per il popolo di Dio non fu facile: ci volle fede per ottenere l’acqua, ci volle fede per ottenere il pane quotidiano, ci volle fede per ottenere la nuvola che li proteggesse dal sole del deserto, ci volle fede per non cedere alla tentazione di tornare in dietro, ci volle fede per vedere ridotto in frantumi il proprio vitello d’oro. Ogni distruzione non avviene senza sofferenza, ogni ricostruzione non avviene senza impegno e fatica, ma quando poi si contempla la nuova realtà e si gode della sua bellezza, il vecchio si ricorda con stupore e col terrore che possa ritornare.

            Questo avviene a livello personale a livello di coppia, a livello di comunità e speriamo che avvenga anche a livello mondiale. Dopo lo squallore del pensiero debole, segnato dall’angoscia dell’ateismo, dalla lotta contro il nemico invisibile e inespugnabile che è Dio stesso, se il mondo tornerà a pensare in maniera logica e semplice, conforme alla natura umana, che pur constatando i suoi limiti, ha però la speranza che nasce dalla fede in un Dio d’amore, che ama tutte le sue creature, riservando le sue preferenze proprio a quelle più sofferenti, perché più si sono allontanate da Lui, non può che sentirsi baciato dalla fortuna o meglio baciato da Dio, perché questa non è una favola dove la fantasia dà vita alla dea fortuna, ma è una dolce esaltante realtà: Dio innamorato dell’uomo, che lo cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di lui!

            Il Papa si augura questa conversione a livello mondiale, questa liberazione dalla schiavitù dell’inganno e del peccato, questo passaggio dalla morte della speranza alla risurrezione della certezza, per il bene comune, per la gloria di Dio, per la felicità di tutti gli essere umani.

            Non è un’illusione utopistica quella auspicata dal Papa, può essere una dolce realtà, se tutti cominciamo a realizzarla all’interno del proprio cammino di conversione continua, all’interno delle nostre famiglie, che ci devono vedere sempre più armonizzati, sempre più pazienti, sempre più staccati dai vari miraggi terreni, per puntare dritti verso la luce inaccessibile, che ci verrà offerta per dono d’amore dal nostro Dio.

 

LA FORZA DELLA TESTIMONIANZA

            Il nostro piccolo sforzo non è inutile, il nostro impegno in casa, con gli amici, al lavoro… non è inutile. Non ha importanza che sia o no accolto subito da chi lo riceve, a noi spetta seminare, il tempo di raccogliere non è questo. I nostri amici prima resteranno sbalorditi e rideranno di noi, credendoci degli illusi, poi cominceranno a riflettere dentro di sé, alla nuova circostanza forse avranno desiderio di saperne di più e solo quando vedranno cadere qualche piccola certezza umana, ripenseranno a quanto abbiamo detto e testimoniato e si decideranno al cambiamento a loro volta. Perciò non è giusto rinunciare a testimoniare per timore di essere derisi, questo dobbiamo attendercelo e perciò non dobbiamo stupirci, dobbiamo offrire a Dio la piccola umiliazione, unendola a tutte quelle subite dal suo Figlio divino, perché acquisti valore redentivo e poi rimanere fermi nelle proprie decisioni, manifestando anche nel lavoro, nelle scelte di vita l’orientamento che abbiamo dato alla nostra esistenza.

            Se noi cristiani avremo il coraggio di uscire allo scoperto e testimonieremo la nostra fede, anche i politici, non fosse altro che per il valore dei numeri, così determinanti in democrazia, prenderanno in considerazione i valori che noi proponiamo.

            Dalla nostra angolatura:

  1. possiamo vivere i valori evangelici a livello personale,
  2. possiamo impegnarci perché siano vissuti nella nostra famiglia,
  3. possiamo testimoniare nel mondo del lavoro,
  4. possiamo assolvere al nostro dovere di elettori, dando il voto a chi meglio difende i valori evangelici
  5. e infine possiamo pregare perché lo Spirito Santo scenda sul nostro mondo confuso e metta ordine nei cuori, nelle famiglie, nella società, tra i popoli, nel mondo intero.

            Questo è quanto ci consiglia anche il Papa:

            Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace. Tutto ciò è indispensabile per trasformare i «cuori di pietra» in «cuori di carne» (Ez 36,26), così da rendere «divina» e perciò più degna dell’uomo la vita sulla terra. Tutto questo è dell’uomo, perché l’uomo è soggetto della propria esistenza; ed insieme è di Dio, perché Dio è al principio e alla fine di tutto ciò che vale e redime: «Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23). L’anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come «Padre nostro!». Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini imparare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperLo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosià verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male (cfr Mt 6,9-13).

            Al termine dell’Anno Paolino mi piace esprimere questo auspicio con le parole stesse dell’Apostolo nella sua Lettera ai Romani: “La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda’’ (12,9-10). Che la Vergine Maria, proclamata da Paolo VI Mater Ecclesiae e onorata dal popolo cristiano come Speculum iustitiae e Regina pacis, ci protegga e ci ottenga, con la sua celeste intercessione, la forza, la speranza e la gioia necessarie per continuare a dedicarci con generosità all’impegno di realizzare lo «sviluppo di tutto l’uomo e d tutti gli uomini».

 

            La vostra carità non sia ipocrita. Che significa questa frase? “Ipo” significa “poco, al di sotto, isufficiente”, “crita” significa “chiara, vera, giusta”, più o meno la genesi della parola è questa. Una carità ipocrita è una carità farisaica, ridotta a finzione, a ritualità vuota di contenuto. Una carità siffatta non può piacere a Dio che ci vede nella verità, ed è insufficiente anche a convincere gli uomini che, sebbene molto più superficiali, capiscono tuttavia, per una sorta di empatia che passa tra noi, quando un atteggiamento, un gesto, una scelta, un’opera buona viene dal cuore e quando è falsa.

            Per uscire da questa crisi culturale non basta una finzione, occorre detestare il male in tutte le sue forme, costi quel che costi, e attaccarsi al bene con altrettanta determinazione. Si tratta senz’altro di un impegno serio che può anche costare sacrificio. Ma chi ha detto che la santificazione non deve costare? Gesù è morto in croce per potercela procurare.

  • Noi dovremo portare la croce della nostra tendenza al male e contrastarla con tutte le forse,
  • dovremo sopportare gli attacchi del tentatore e vincerlo respingendolo con decisione, anche se le sue proposte sono spesso allettanti,
  • dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri, caricandoci anche un po’ della croce dei nostri cari, che a volte ce la scaricano addosso ingiustamente; se saremo capaci di alleggerirli un po’ sopportando con pazienza le loro pretese e le loro ingiustizie, rimanendo nell’amore, Gesù si sentirà sollevato di quel peso, e la persona responsabile riceverà un dono di conversione, come la ricevette S. Agostino per le preghiere della mamma e il buon ladrone sul Golgota.

            Questo significa attaccarsi al bene come una sanguisuga, senza flettere per indecisione o mediocrità.

            Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno. La fraternità è sentimento d’amore verso il fratello e l’amore muove a procurare il bene della persona amata. Vi sono persone amabili per doti proprie, per una sorta di empatia che passa tra individui per cui una persona riscuote una fiducia e un’attenzione particolare; stare con simili persone è gratificante. Queste persone vengono scelte e sono gli amici. Non sempre l’amicizia dura perché spesso la persona amica o noi stessi verso gli amici, manchiamo di attenzioni, di fedeltà, di rispetto e allora subiamo una delusione o altri la subiscono nei nostri riguardi, per questo il libro del Siracide ci parla dell’amicizia e ci dice che chi trova un amico trova un tesoro e ci dice anche come si conquista un amico:

“Una bocca amabile moltiplica gli amici, un linguaggio gentile attira i saluti.

Siano in molti coloro che vivono in pace con te, ma i tuoi consiglieri uno su mille.

Se intendi farti un amico, mettilo alla prova; e non fidarti subito di lui.

C'è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura.

C'è anche l'amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi.

C'è l'amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura.

Nella tua fortuna sarà come un altro te stesso, e parlerà liberamente con i tuoi familiari.

Ma se sarai umiliato, si ergerà contro di te e dalla tua presenza si nasconderà.

Tieniti lontano dai tuoi nemici, e dai tuoi amici guàrdati.

Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro.

Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore.

Un amico fedele è un balsamo di vita,lo troveranno quanti temono il Signore.

Chi teme il Signore è costante nella sua amicizia, perché come uno è, così sarà il suo amico.

                                                                                                                                                                                            (Siracide 6:5-17)

            Ma Gesù non ci ha detto di essere amici fra di noi ma fratelli. L’amore fraterno deriva dal vincolo del sangue, dall’essere figli degli stessi genitori e questo vincolo è più forte dell’amicizia, è un vincolo di appartenenza così forte da sentirci coinvolti gli uni nelle vicende degli altri.

            Mentre la fraternità umana ha sua matrice dall’utero materno, la fraternità divina ha la sua matrice nel Cuore di Dio. Siamo fratelli perché abbiamo lo stesso Dio che ci ha creati, lo stesso Redentore che ci ha redenti, la stessa Madre che si è sacrificata per noi e ci ha accolti sotto la croce del Figlio, lo stesso Battesimo, la stessa fede, lo stesso Spirito che si è effuso su di noi, lo stesso Vangelo, la stessa Chiesa che ci ha accolti, la stessa Eucaristia che ci nutre, lo stesso sacramento della Riconciliazione che ci purifica e ci perdona, camminiamo insieme verso lo stesso Regno di Dio, aiutandoci a vicenda anche con la preghiera…

            Questa fraternità è anche più dell’amicizia, è un vincolo che ci coinvolge gli uni nella vita degli altri come per diritto di famiglia, è un vincolo che non può essere messo in discussione dal difetto piccolo o grande del fratello, dalla sua ingratitudine piccola o grande, dal suo disprezzo, neanche dalla sua violenza; queste cose tristi e improprie della fraternità possono verificarsi come malattie della fraternità, ma non annullano la fraternità stessa, al contrario la stimolano a prendere rimedi perché il fratello guarisca. La fraternità è un vincolo indistruttibile.

            Perciò: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda”. L’apostolo sembra chiedere molto, ma in realtà è il nostro “essere” che chiede molto, perché è molto quello che ci unisce, povero e pesante quello che ci divide, ma non dobbiamo permettere che questo poco annulli il nostro essere.

            Questo intende dire S. Paolo quando esclama:

“Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Rm 8,35-39)

            S. Paolo poteva parlare così perché l’amore di Cristo aveva creato in lui una fraternità così forte da non essere messa in dubbio neanche dalle più grandi ingiustizie subite e dalla stessa morte.

            Questo è l’unico vincolo che può fare del nostro mondo una famiglia, la Famiglia di Dio. Speriamolo e prepariamolo per la mediazione potente di Maria nostra Madre.

 

Questionario di approfondimento personale:

    • Siamo convinti che solo un umanesimo cristiano può cambiare il nostro mondo?
    • Secondo il Papa, l’ateismo è il maggiore ostacolo allo sviluppo. Condividi questa affermazione? Sapresti dimostrarla con argomenti validi a chi la contesta?
    • Cosa possiamo fare dalla nostra piccola angolatura?
    • Che significa: “Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio?
    • Su cosa si basa la fraternità evangelica?
    • Quando la carità diventa ipocrita?
    • Abbiamo imparato a caricarci dei pesi altrui almeno in famiglia?
    • Portiamo questi pesi con amore, nonostante le ingratitudini che riceviamo?
    • Gareggiamo nello stimarci a vicenda?

     

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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