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GENNAIO 2004

     

“TUTTO CIO’ CHE IL SIGNORE HA DETTO, NOI LO FAREMO”

            Con Mosé ancora acque che invece di affogare salvano la famiglia prima, il popolo poi. Allusione anche queste delle acque sante del Battesimo.

            La famiglia di Mosé stava in Egitto, in condizione di schiavitù, per scontare la povertà dei suoi antenati che, poveri di virtù, ricchi di invidia e gelosia, avevano venduto il fratello Giuseppe agli Egiziani. La siccità, da cui era stata colpita la terra di Israele, era la risposta della terra e del cielo alla loro aridità spirituale. L’abbondanza offerta all’Egitto, in grazia di Giuseppe, era la risposta del cielo alla sua onestà, alla sua fiducia nell’aiuto di Dio, ed era la celebrazione del “Magnificat” che sarà poi verbalizzato da Maria: “Abbatte i potenti dai troni, innalza gli umili”.

            Può sembrare eccessivo quanto detto, ma il popolo di Dio era consapevole che le colpe si scontano anche sulla terra e il bene viene premiato da Dio.

            Fino a che punto si è portato lo sconto della colpa? Fino al punto da fare assaporare agli ingrati figli di Giacobbe e ai suoi discendenti, lo stesso dolore che loro avevano causato al padre: il Faraone indurirà il suo cuore e ordinerà l’uccisione di tutti i figli maschi degli Ebrei.

            Ma Dio, che permette il dolore come riparazione, è sensibile al grido del povero che si rivolge a Lui.

            Ed è da questo punto che si celebra la misericordia di Dio in favore di Israele, figlio prediletto, ma comunque infedele: quando tutte le case ebree piangevano la morte per uccisione dei loro figli, Dio ne sceglie uno e lo salva dalla strage, per ricominciare da lui a salvare il popolo dall’oppressione:

“Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d'Israele. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele trattandoli duramente. Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.

Poi il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: «Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere». Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini. Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno già partorito!». Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia. Allora il faraone diede quest'ordine a tutto il suo popolo: «Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia». (Es 1:8-22)

 

La figlia del faraone era sterile, e ricorse al Nilo, che considerava il dio della fecondità, perché le desse un figlio.

Le risponde il vero Dio affidandole Mosé, il cui nome significa salvato dalle acque. E dove poteva essere protetto meglio dalla furia omicida del Faraone, che nella sua stessa reggia?

Così Mosé dovrà attendere la maggiore età sotto falsa identità, per non essere ucciso; come poi farà Gesù per 30 anni a Nazareth, dove era considerato “il figlio del falegname”.

A tempo opportuno Dio si rivelerà a Mosé nel roveto ardente e gli farà conoscere il suo progetto di vita:

“Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte».

Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione”. (Es 3:1-15)

 

            Con Mosé Dio salva non solo una famiglia ma l’intero popolo che comincia ad identificarsi come famiglia di Dio. Perché questo è lo scopo ultimo dell’esistenza umana sulla terra: preparare fin da quaggiù la famiglia di Dio, che vivrà l’eternità beata insieme a Lui, cominciando fin da ora a creare cellule vive (famiglie umane) di questa grande famiglia.

            Sarà proprio Mosé, balbuziente e indagato, a farsi portavoce di Dio presso il faraone e non una volta ma 10 volte (vedi genesi dal capitolo 7° al capitolo 11°), ma il Faraone aveva il cuore indurito per gli omicidi compiuti e solo l’Angelo sterminatore lo ridurrà a ragione.

Il peccato ha una sua legge, dichiarata da Gesù: “Chi di spada ferisce, di spada perisce”. Il Faraone aveva oltraggiato ogni nucleo familiare ebreo con l’uccisione dei figli maschi, il Signore per ben 9 volte tentò di indurlo a conversione con avvisi e castighi, ma il suo cuore duro si arrenderà solo quando egli stesso sarà colpito nel suo primogenito e soffrirà lo stesso dolore.

            Dio è Amore e bontà, ma il piccolo uomo non può pretendere di usarlo a discrezione. “Dio, dice il proverbio, non paga il sabato” perché è più paziente di noi, sa attendere, ma quando, con giudizio insindacabile, dice: “Basta!” nessuno può arrestarlo: il giusto trionfa, il malvagio soccombe. E’ l’ora di Dio!

            Così avvenne al tempo di Mosé e fu l’Esodo, il più chiaro anticipo della Pasqua, il segno più evidente che Dio era con il suo popolo e lo guidava, gli tracciava un cammino, si prendeva cura di lui come lo sposo si prende cura della sposa.

            I 40 anni nel deserto furono considerati proprio come il fidanzamento di Israele con il suo Dio. Un Dio vivo che interviene con segni e prodigi, perché alla sua sposa non manchi il necessario. E’ un tempo in cui Dio fa capire le sue volontà a Israele e gli traccia un programma di vita, un itinerario di luce che, se percorso, potrà farlo rimanere sempre sul Suo cuore, mentre se se ne allontana non troverà pace. il nemico lo agguanterà e lo renderà suo schiavo ancora una volta.

            Israele, dopo ripetute infedeltà, accetta la legge e dichiara di volerla seguire “Tutto ciò che il Signore ha detto, noi lo faremo!”, ed è allora che si ha la prima immagine del Corpo Mistico dei salvati in virtù della promessa che dovrà realizzarsi. Ora è tutto un popolo che diventa famiglia di Dio e la circoncisione sarà il segno di quanti vi appartengono.

            Nell’Esodo la vocazione della famiglia è meno evidente, ma è evidentissimo che Dio stesso vuole crearsi una famiglia. Infatti man mano che il tempo volge verso la pienezza, Dio rivela al popolo il suo progetto di fare di tutti gli uomini una grande famiglia, vuole celebrare un matrimonio in cui Lui stesso sarà lo Sposo e tutti i redenti saranno la sposa, come è detto nella parabola degli invitati alle nozze del Figlio del Re.

 

STORIA D’AMORE DI DIO CON ISRAELE

            Nell’Esodo, il Signore ci fa capire come si costruisce una storia d’amore:

  • Innanzitutto si allontana l’amata da chi la opprime,
  • la si conduce lontano dal chiasso, dove il dialogo può portare alla conoscenza reciproca,
  • si rendono noti i progetti reciproci,
  • si fa la scelta decisiva.

            Il tempo per costruire la coniugalità non si misura con l’orologio e con il calendario (40 anni indica non un tempo determinato ma “il tempo necessario alla preparazione”), la quantità dipende dall’intensità dell’amore, dalla concretezza dell’amore, dal tempo richiesto per creare l’intesa, la complicità, la determinazione.

            In questo periodo il popolo sperimenta la tenerezza, la premura, la gelosia, la fedeltà dello Sposo; ma sperimenta anche la propria fragilità, la propria incostanza, la propria infedeltà. Dio lo educa, gli rivela i suoi desideri, dialoga con lui attraverso Mosé, si rende presente nell’arca dell’alleanza con la nube luminosa di notte, perché quando c’è l’amore c’è sempre luce, con la stessa nube che, di giorno, si mette davanti al sole torrido del deserto, perché la sposa non soffra l’arsura e il calore. Gli procura l’acqua, la manna, la carne.. E il popolo va imparando a rapportarsi con Lui in maniera fiduciosa, come la sposa deve fare con lo sposo.

            La famiglia umana, ha in questa storia d’amore e di infedeltà, di pentimento e di perdono, di traviamento e di purificazione il suo modello e le indicazioni chiare per fare della sua storia un cammino di santità.

            Questo popolo, dopo aver fatto il suo percorso di conoscenza e di accettazione, giunge alla terra promessa, ritorna nella terra dei suoi padri e lì celebra la sua liberazione e la sua gioia: Costruisce un tempio, che è ritenuto la casa della presenza e dell’incontro.

            Così la coppia umana, raggiunta l’intesa, celebra il matrimonio, si costruisce la casa della presenza e dell’incontro col coniuge-segno, e, attraverso lui/lei, l’incontro con Dio.

            La casa è luogo sacro, dove si vive l’intimità, dove i due sono una sola cosa, hanno un solo pensiero, un solo amore, un solo interesse, una sola volontà, addirittura, come dice la Genesi, i due sono una carne sola. Qui l’incontro diventa fecondo e accoglie la vita come dono e come complemento. Che grandi cose compie Dio nella coppia umana!

            In cammino del popolo di Dio è narrato nella Bibbia perché ci faccia da guida, da modello. Se facciamo ciò che Dio consiglia e approva saremo felici in terra e addirittura beati per l’eternità, dove, superata la prova del segno, si vivrà la realtà dell’amore sponsale con Dio stesso per tutta l’eternità; ma se faremo ciò che Dio disapprova, ci allontaneremo dalla gioia, c’inoltreremo in un sentiero senza uscita, in un labirinto di triboli e spine, dove solo l’Amore Misericordioso del Buon Pastore può venirci a prendere, se glielo permettiamo.

            Ma noi non vogliamo correre questi rischi, vogliamo far tesoro di questi saggi e sacri insegnamenti, per camminare nella luce di Dio, purificare il nostro cuore, impegnarci a curare la nostra relazione perché cresca in qualità, passi da un amore sensoriale, superficiale, intriso di egoismo, ad un amore dono, ad un amore attento alle esigenze del coniuge, disposto a rinunciare ai propri desideri per soddisfare i suoi, purché siano conformi alla volontà di Dio; un amore responsabile, che si prende cura non solo del corpo e della psiche del coniuge e dei figli ma anche della loro anima, pregando per loro, presentandoli continuamente a Dio nella propria preghiera, offrendo per la loro santificazione sacrifici e rinunce, in sintesi, permettendo a Dio di intervenire nella propria storia per darci “il vino migliore”.

 

Chiediamoci:

 

  1. Dove ci troviamo come coppia e come famiglia? 
  2. Ci siamo lasciati liberare dal “Faraone” che ci teneva schiavi?
  3. Conosci il nome di questo Faraone? (Egoismo, gelosia, invidia, infedeltà, sete di dominio…)
  4. Abbiamo attraversato il mare della conversione per poter entrare nella Terra promessa?
  5. Ci concediamo tempi di deserto, perché Dio ci possa parlare e noi possiamo comunicarci ciò che Dio ci dice?
  6. Ci lasciamo istruire da Dio, accogliamo i suoi consigli?
  7. Abbiamo accettato la “mappa” dei Comandamenti, che ci riporterà nella “terra promessa”, nella Casa del Padre?
  8. Sappiamo dialogare col coniuge come Dio sapeva dialogare con Israele?
  9. Sappiamo perdonare e ricominciare da capo come Lui faceva?
  10. Provvediamo al coniuge come Dio provvedeva al suo popolo?
  11. Gli diamo l’acqua della gioia e della vita, facendolo esprimere liberamente, senza opprimerlo con le nostre intransigenze?
  12. Provvediamo a mettere una nuvola luminosa di comprensione, nei momenti in cui il buio sembra inghiottirci?
  13. Veliamo i sentimenti eccessivi per mezzo dell’autocontrollo, perché non resti bruciato dalle nostre parole roventi?
  14. Siamo fedeli a Dio, alla sua chiamata vocazionale, a noi stessi, al coniuge, ai nostri figli?
  15. Abbiamo fatto o vogliamo fare della nostra casa il luogo dell’incontro con Dio presente attraverso l’immagine del coniuge?
  16. La nostra intimità è feconda non solo nel senso di apertura alla vita nascente ma anche perché ci inserisce sempre più nella fecondità stessa di Dio che si offre per i fratelli?
  17. Ci sentiamo disposti ad inserire la nostra famiglia nella grande famiglia di Dio, orientando noi stessi e i figli a seguire la volontà di Dio costi quel che costi?
  18. Chiediamoci sinceramente: temiamo o desideriamo il ritorno a Casa, l’incontro con lo Sposo, la celebrazione delle vere nozze col Figlio del Re?
  19. Stiamo preparando questo incontro, perché quando lo Sposo giungerà ci trovi pronti?

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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