IL CANTICO DEI CANTICI
Il Cantico dei Cantici narra la storia di un’anima innamorata del suo Dio, ma anche la storia di una creatura chiamata a incontrare Dio nell’immagine sacramentale del proprio coniuge.
E’ la vicenda terrena di una creatura che, in un momento di luce, scopre il suo Amore, se ne innamora. Generosa, ma inesperta nell’arte di amare, lancia la sua proposta: “Dimmi, o amore dell'anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni?”.
L’amata vuole seguire l’Amato, ma Lui la invita a vagliare bene il suo cuore. L’Amato è l’Amore e l’Amore è bello, avvincente, appagante ma molto esigente e tremendamente libero; per seguirlo bisogna farsi l’animo forte, stancarsi seguendo le sue orme, soffrire la sua assenza, irrobustirsi nella solitudine fedele, accettare la sfida di chi deride la fedeltà dell’amata.
Perché mai è così l’Amore?
Perché l’Amore è grande e vuole farsi spazio nel cuore dell’amata, ma quel cuore è troppo piccolo, non lo contiene, e allora deve dilatarlo con l’anelito del desiderio struggente, con brevi incontri negli anfratti della roccia, che accendono la passione e lasciano l’anima ferita d’amore. Ma è ancora piccolo il cuore, la “stanza della genitrice”, dove lei lo invita a sostare è appena adatta ad un amore fisico, l’anima ha bisogno di immensità, non può essere compressa in uno spazio limitato.
E’ doloroso amare, ma è l’avventura più avvincente che possa esistere, la sfida per la quale vale perdere la vita. L’Amore non può essere mai solo fisico: sarebbe insoddisfacente, inappagante, il corpo avrebbe la sua parte ma l’anima resterebbe nel vuoto, smaniosa, insoddisfatta.
L’Amore è il vincolo vitale che unisce l’anima a Dio, nostra origine e polo d’attrazione a cui tendiamo, sia pure inconsciamente. Il corpo non può bastare, è lo spirito che dà la vita.
L’ordine vuole che ogni cosa sia a suo posto, in gerarchia di priorità: prima l’anima, poi il cuore, poi la carne chiamata a spiritualizzarsi nella comunione con l’anima.
L’amore solo fisico è prostituzione, fornicazione; l’amore armonizzato nell’ordine: anima, mente, cuore, corpo è atto unitivo e creativo, capace di generare la vita che è spirito.
L’Amore è luce che invade il cuore, ma la luce ha bisogno di spazi liberi per diffondersi. Spesso la materia fa da barriera alla luce e la blocca, ma più che l’opacità della materia, sono le tenebre del male che chiudono il cuore stesso e impediscono all’Amore di passare per portare luce, tepore, conforto, colori, bellezze, speranza, gioia...
Quando questa barriera è nel nostro cuore, l’amore che da esso nasce è inquinato da bramosia, possessività, egoismo, gelosia e l’altro cuore sente che, assecondandolo perde la sua libertà, si sente oppresso e asfissiato; quando la barriera di tenebre è nel cuore che riceve l’invito all’amore, esso resta chiuso, indifferente, aggressivo, prepotente, sprezzante...
Perché l’Amore possa effondersi, bisogna rifarsi il cuore.
La sposa del C. dei C. lo fa seguendo l’Amato, noi non abbiamo altra strada: la Via, la Verità, la Vita è sempre Lui, l’Amato; il coniuge è solo l’immagine terrena dietro cui Egli si nasconde. Solo andando oltre l’immagine, oltre la materia del sacramento, Lo incontreremo e amandoci Lo ameremo.
L’amore imperfetto del nostro coniuge può stimolarci ad andare oltre, a dilatare il cuore nell’accoglienza gratuita e generosa. Solo quando il nostro cuore sarà sufficientemente dilatato, l’Amore scoprirà il suo volto e potremo dire con la sposa: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, perché forte come la morte è l’amore”.
Il Ct. è attribuito a Salomone, ma niente vieta che Salomone, re magnifico, sta per “sposo”. In oriente, infatti lo sposo e la sposa sono chiamati re e regina. Alla regalità è associata l’idea di godimento di soddisfazione, di appagamento di ogni desiderio.
La persona innamorata, infatti, sente di vivere un’esperienza inebriante. si capisce che qualcosa è successo perché l’anima è rimasta folgorata dalla luce divina e la gioia è esplosa nel cuore. Oggetto di attenzione è lo Sposo: si desidera stare con Lui in intimità, tutto il resto non interessa, le tenerezze dello sposo inebriano l’anima.
La sposa si presenta con sincerità e prima di tutto espone i suoi aspetti più banali: è bruna, in contrapposizione alla carnagione chiara, ostentata solo da quelle che vivevano nei palazzi, mentre lei, dovendo lavorare sotto il sole, si è abbronzata. Ma è bella, perché l’amore rende bello anche il volto più scialbo. E’ tanto innamorata da trascurare i suoi doveri e i suoi interessi (custodire la sua vigna), l’amore infatti espropria. Lei vuole seguire lo Sposo e chiede informazioni sulle sue abitudini.
Lo Sposo fa capire che l’intesa c’è. La contemplazione pura dell’innamorato è espressa dalle parole: “Le tue guance sono belle tra i pendenti, il tuo collo tra vezzi di perle”. Gli ornamenti dell’anima sono le virtù e Lui vuole impreziosire queste virtù con l’oro dell’amore puro, l’argento della sobrietà, della fedeltà, dell’umiltà.
Ed ecco il duetto del reciproco godimento, espresso della sottolineatura delle reciproche virtù simboleggiate dal nardo (pace), dalla mirra (mansuetudine), dal grappolo di cipro (amore).
L’esaltazione porta all’esplicitazione dei sentimenti: “Quanto sei bella”, “Quanto sei bello”: il circuito dell’amore si attiva nel dono e nell’accoglienza, l’intesa è perfetta.
L’occhio puro di colomba innamorata conquista lo sposo. Lei si sente protetta.
La sposa vede lo Sposo come un giglio tra i cardi, cioè come il completamente altro, la purezza e la delicatezza contrapposta alla grossolanità; come un melo, dai frutti saporiti, in mezzo agli alberi del bosco. Lei siede alla sua ombra appagata, anzi al suo contatto si inebria sempre più: “mi ha introdotta nella cella del vino”. La Madre Speranza, parla anche lei dell’innamoramento mistico come di ubriacatura che fa uscire di testa. Questo amore che incalza su di lei come un vessillo la rende malata d’amore, sente di svenire, ha bisogno di essere sostenuta. Ed ecco la posa dell’estasi: “La sua sinistra è sotto il mio capo, la sua destra mi abbraccia” nel tipico atteggiamento coniugale. E lo Sposo prega le figlie di Gerusalemme a non destarla finché il risveglio non avvenga spontaneamente.
Tutti nell’adolescenza c’innamoriamo dell’Amore. L’innamoramento è un fenomeno spirituale che scaturisce dal nostro santuario interiore. E’ lecito pensare che a suscitarlo sia Dio.
E’ sempre amore sponsale, è sempre una chiamata alla consacrazione, anche se avviene attraverso il sacramento. D’altra parte la consacrazione è un fatto così grande che solo Dio può esserne il destinatario. E’ il tipo di amore che esige la consacrazione.
L’amore sponsale è amore esclusivo, definitivo, totale. E’ qualcosa di così impegnativo che solo l’innamoramento, fenomeno divino, lo rende possibile nel matrimonio.
Per effetto dell’innamoramento non si vede la persona reale ma la sua immagine aureolata dalla nostra fantasia. Forse si vede la creatura così come è uscita dalla mente di Dio.
Non si vede nella concretezza dell’oggi, carica di millenni di storia contaminata dal peccato, una creatura posta a vivere in un ambiente che poco e male educa ai valori affettivi, spirituali e soprannaturali e soprattutto alle virtù capaci di veicolare l’Amore anche in condizioni di precarietà, quali la pazienza, il dominio di sé, l’altruismo, la capacità di sacrificio, la capacità di confronto, la longanimità, l’empatia; al contrario spesso educa alla doppiezza, alla scaltrezza, all’opportunismo, all’egoismo, all’inganno...
L’innamoramento è fenomeno così grande che tutto il resto che, al confronto, è degno di disprezzo. Innamorarsi è fare esperienza di divino. Dio infatti può tollerare l’uomo ingrato e ribelle solo perché è innamorato di lui. L’Amore non è logico, non calcola, brucia e bruciando rigenera. Per l’Amore si sacrifica tutto perché si intuisce che è l’unica cosa per cui vale la pena di vivere e di morire, è l’unica cosa che appaga il cuore, è l’unica cosa che non muore.
Ecco perché per sposarsi bisogna essere innamorati, se non si è innamorati non si rischia, l’altro appare con tutti i suoi difetti, con tutte le sue esigenze, con tutti i sacrifici che richiede, l’egoismo ingigantisce l’incomodo e, siccome l’io sta davanti a tutto, la persona che non è stata espropriata dall’Amore, non è disposta a donare la propria vita.
Oggi assistiamo frequentemente a matrimoni che si sciolgono. Sicuramente questo avviene perché l’amato perde l’aureola dell’innamoramento e appare nella sua fragilità di creatura imperfetta esigente, scortese, incapace di soddisfare i bisogni del coniuge, che a sua volta è incapace di amare e quindi di accoglierlo nella sua realtà fragile e difettosa.
Abbiamo bisogno di capire cos’è l’Amore, dobbiamo imparare a dilatare il cuore impiccolito dall’egoismo, superando prove e passando nel Cuore di Cristo, vero crogiolo di purificazione.
Il poema continua ad educarci nell’arte d’amare: l’amata è in casa protetta dai genitori, ma la voce dell’Amato la tiene in tensione. Ed eccolo giungere con piedi di cerva, balzando tra le rocce.
L’Amore è travolgente, per lui non ci sono ostacoli. E’ intraprendente: si acquatta dietro il muro e spia dalla finestra. E’ propositivo, invitante: “Alzati mia bella e vieni perché è spuntata la stagione dell’amore, l’inverno dell’attesa è passato, la pioggia uggiosa non c’è più, sono spuntati i fiori, è tornato il tempo del canto”.
La persona innamorata canta, il fico mette i frutti, la vigna è in fiore…, è come dire: l’adolescenza è passata, sei in grado di iniziare questa avventura e di produrre frutti...
Se la vigna in fiore è l’immagine della giovinezza, le volpicine, di cui parla il testo, sono forse gli altri spasimanti, che disturbano ma non accendono il cuore.
Ormai la scelta è stata fatta: “Il mio diletto è per me e io per lui”
Nell’esperienza dell’innamoramento aspirazione e dolore precedono il possesso e vanno di pari passo. L’Amore riempie di sé il cuore e desta sentimenti maprovati. Tutto è bello nell’Amato, ma quei “Piedi di cerva” che lo fanno balzare di roccia in roccia, incurante del rischio, sono un’autentica novità! Come potrà lei, fragile, dai piedi difettosi, ballare con Lui il duetto dell’Amore?
Per ora non si pone problemi. E’ troppo bello sapere che l’Amore, si interessa a lei. L’invito ad alzarsi è stato accolto, ma.... ma Lui non c’è più!
Come è veloce l’Amore! Quei richiami invitanti sono attimi... Come acquistare piedi di cerva per corrergli dietro? Così l’esperienza spirituale: brevi momenti di Tabor, che lasciano l’anima è restata “ferita d’amore” e poi la notte dello spirito.
Chi ha provato anche per pochi attimi l’amore soprannaturale, non può più accontentarsi di surrogati e se vive l’amore coniugale sente il bisogno di altre profondità: l’amore fisico, l’affetto, la solidarietà nella vita pratica non l’appaga più, ha bisogno di un vincolo di anime, perché solo un amore profondo è capace di colmare il suo cuore.
Ma quanto sono pericolose le tenebre per l’amore, soprattutto se l’Amore tarda a tornare. Allora il riposo notturno si trasforma in veglia, il letto diventa scomodo e ci si mette in giro nella notte per cercare l’Amato. Ma come è difficile camminare nella notte! La ricerca però, anche se rischiosa, non è vana, e, alla fine, lo Sposo si lascia ritrovare. Quando ciò avviene si dimentica tutta la sofferenza ed è festa, la festa dell’amore ritrovato!
Il momento della prova è comunque doloroso. Si vede l’Amato con tutte le sue fragilità, ma proprio quello è il momento in cui si verifica la propria capacità di amare.
Cosa è successo alla sposa che non può prendere sonno? Il Ct. non lo dice ma è evidente che c’è qualcosa che impedisce l’incontro. La sposa è vigile, sente il rumore, capisce che è il Diletto che la invita ad aprire, chiamandola con i nomi che hanno sedotto il suo cuore e facendo appello anche alla sua compassione, dicendo che a motivo della guazza notturna i suoi riccioli sono bagnati, ma non ottiene che rifiuti motivati da pretesti tipici dell’egoismo: “Mi sono tolta la veste, mi sono lavata i piedi...” Non è disponibile al dialogo. L’amore viene logorato da considerazioni umane. Lui prova a forzare la serratura ma non ci riesce. Lei ha un fremito di commozione e corre ad aprire con mani fluenti mirra (disponibile all’accoglienza) ma... Lui non c’è, è sparito nella notte.
La delusione è tale che perde i sensi. Rinvenuta si mette alla ricerca dell’Amato ma la notte è fonda, cerca, chiama, ma Lui non risponde, sembra sparito nel nulla. Le guardie preposte alla vigilanza della città, invece di aiutarla la percuotono, le strappano il mantello. (la dignità)
Si rivolge allora alle “Figlie di Gerusalemme” e le incarica di dire allo sposo che lei è malata d’amore, ma queste invece di confortarla e di aiutarla nella ricerca, quasi con senso ironico le chiedono cosa abbia mai il suo Diletto che tanto la mette in ansia, lui non è diverso dagli altri, perché si affanna tanto? Se tanto la ama perché si nasconde? Se lei è malata, perché non la soccorre?
Questo la Sposa non può tollerarlo, paragonarlo a chiunque altro è impossibile, lui è il giglio fra i cardi! Ed eccola a tessere l’elogio allo Sposo.
La sposa fa a questo punto la più bella dichiarazione d’amore: “Io sono per il mio Diletto e il mio Diletto è per me, Egli pascola il gregge tra i gigli”.
Questa dichiarazione d’amore è pari solo a quella di Gesù in croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Lo Sposo, vinto dall’amore, viene fuori dal suo nascondiglio e torna a contemplare la sua sposa resa ancora più forte delle prove subita e vinta.
La sposa viene paragonata a Gerusalemme, la tutta bella e a Tirza, la capitale del nord che sta per graziosa, ora la sposa è terribile come schiere pronte per la battaglia; è tanto fiera che lo sposo viene turbato dai suoi occhi. Ora la sposa ha acquistato valori che non emergevano prima della prova, ora viene paragonata a Sirio, la stella del mattino, che riflette lo splendore del Sole ed è forte e sicura come schiere e vessilli spiegati.
Lo Sposo, che si era recato nel suo giardino (il cuore della sposa) per vedere se il melograno (l’albero dell’amore) metteva germogli, si trova spiazzato e turbato dalla sua regale bellezza e maestà.
La capacità di amare è un fatto personale, è vocazione e missione. L’uomo e la donna che iniziano una storia d’amore, devono verificare prima di tutto i propri sentimenti, devono mettere alla prova il loro cuore e vedere se è capace di sacrificio, di rinuncia, di solitudine, di distacco... Il Ct. ci educa a questo quando l’Amato, inspiegabilmente lascia sola l’amata ed essa è costretta dal suo amore a cercarlo nella notte, ma il suo amore resta saldo. Le stesse amiche tentano di farla ragionare invitandola a rinunciare al suo sogno, ma lei persiste, anzi si direbbe che più loro cercano di farle arrendere all’evidenza, più lei si convince che l’amato è unico e insuperabile.
Lo Sposo la paragona ad una vigna dall’uva matura e lei risponde che il suo vino è solo per lo Sposo, va diritto al suo cuore. “Io sono per il mio Diletto e la sua brama è verso di me” L’invito della sposa all’intimità è segno che la prova è finita e il loro amore ne è uscito ancora più rafforzato.
Qui non si parla di perdono ma noi sappiamo che se vogliamo ripetere l’esperienza dell’a-mata del Ct. abbiamo bisogno perdonare, di dimenticare, di recuperare fiducia.
Forse nel Ct. c’è un invito al dialogo chiarificatore prima di concedersi nel dono totale di sé: “Vieni, mio diletto, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se mette gemme la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze! Le mandragore mandano profumo; alle nostre porte c'è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi; mio diletto, li ho serbati per te». (Ct 7,12-14). Si tratta di una verifica.
Il Ct ci educa anche all’espressione della tenerezza che tanto conforta la persona amata: “Là ti darò le mie carezze!”
Insomma la sposa siamo noi, lo Sposo è Dio che ci ama immensamente e vuole che il nostro amore cresca e si irrobustisca. L’amore coniugale deve percorrere lo stesso itinerario.
- Se dovessi definire il tuo processo di crescita nell’amore, in quale stadio ti collocheresti?
e) L’amore umano veicolo dell’Amore divino.
d) Comunione, intesa, progetto comune.
c) Vittoria, forza nuova, fedeltà.
b) Prova, verifica, crisi, decisione - indecisione.
a) Innamoramento, illusione, sogno, poesia...
2. Pensi di avere superato momenti di prova che hanno irrobustito il tuo amore?
3. Sei soddisfatto dell’amore coniugale o pensi che per appagare l’anima occorre purificare il cuore?
4. Come la sposa del Ct. sai elencare le virtù del tuo coniuge?
5. Consideri il tuo cuore un tempio dello Spirito, dove viene custodita l’alleanza nuziale, vissuta come vera consacrazione all’Amore divino attraverso l’amore umano?
6. Sai che l’Amore è la più grande forza dell’universo e se lo custodisci nel cuore non hai motivo di temere?
7. Hai capito che l’Amore è un fatto personale e non è legato alla corrispondenza dell’altro/a?
8. Sei convinto che se amerai potrai acquistare piedi di cerva che ti faranno affrontare agevolmente le difficoltà della vita e ali di aquila che ti porteranno oltre ogni limite umano?
9. Scrivi una dichiarazione di amore al tuo coniuge.