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NOVEMBRE 2009

     

“Il vostro parlare sia: sì,sì, no,no” Antonella

Nell’articolo del mese scorso abbiamo imparato che il relativismo è la posizione di chi non ammette l’esistenza di verità assolute o di principi immutabili e invece ritiene che la verità non esista o che ne esistano tante a seconda delle situazioni.  Abbiamo visto che, prima ancora che la fede, è la ragione che ci suggerisce che, al contrario, esistono dei principi immutabili e  universali ai quali dobbiamo fare riferimento e che devono guidarci nei nostri comportamenti quotidiani. Tuttavia, la cultura del relativismo che cerchiamo di contrastare s’insinua abbastanza subdolamente nella nostra vita di tutti i giorni e forse, senza che noi ce ne rendiamo conto, già influenza alcuni nostri atteggiamenti o comportamenti; può accadere così, che anziché essere dei testimoni coerenti di valori e principi a cui diciamo di credere, ci comportiamo in modo simile a chi più o meno apertamente dichiara che il mondo è cambiato, che oggi le esigenze  e le abitudini non sono più quelle di una volta e che quindi non è possibile non adeguarsi. E’ su questi atteggiamenti che è bene riflettere, per divenirne consapevoli e per  bandirli dalla nostra vita.

Mi viene in mente una situazione di fronte alla quale veniamo a trovarci sempre più frequentemente: le convivenze. Molti sono oggi i giovani che preferiscono non sposarsi e decidono di andare a vivere insieme, sostenendo di voler mettere alla prova la loro unione o addirittura dichiarando di non credere nel matrimonio come istituzione. E’ una scelta che molti fanno con convinzione, altri forse solo per moda o per superficialità.  C’è chi non crede al matrimonio come sacramento e come istituzione sulla quale soltanto può essere fondata una famiglia: per lui questa scelta è un comportamento del tutto normale e lecito. Chi però è  cristiano e cattolico dovrebbe avere nei confronti di tali situazioni un giudizio di altro genere; non può accettarle con naturalezza o con indifferenza, magari dicendo: “Fanno tutti così…Che cosa c’è di male?” e così via.

Non si vuole con questo dire che di fronte ad un figlio, o anche semplicemente ad un conoscente, che si trovi in una simile situazione un cattolico debba assumere un atteggiamento di rifiuto o di condanna, magari decidendo di interrompere le relazioni o le amicizie: assolutamente no. Il fatto che si condanni un certo comportamento, non significa che si condannino anche le persone che ne sono protagoniste o che le si rifiuti. Ciò che si rifiuta di condividere è la decisione che esse hanno preso; verso le persone è anzi necessario essere quanto mai accoglienti, far loro  sentire la nostra vicinanza e la nostra disponibilità all’ascolto e, se occorre, anche all’aiuto. Tuttavia, occorre essere molto chiari e coerenti. Ricordiamo le parole di Gesù in Mt 5, 37: “Sia il tuo parlare: sì, sì, no, no”. Dire: “Ti voglio bene e ti sono vicino, ma sappi che non condivido ciò che hai deciso di fare”  è l’atteggiamento che dovremmo prendere. Anche nei discorsi che si fanno tra colleghi, tra amici e parenti, occorre accettare serenamente di essere in minoranza, nel sostenere, senza arroganza ma con fermezza, le proprie idee: potremmo addirittura avere la sorpresa di accorgerci che in fondo non siamo poi così soli come sembra, perché fra chi ci ascolta c’è magari qualcuno che la pensa come noi ma non ha ancora trovato il coraggio di esporsi.

Vi sono, nella vita di tutti i giorni, molti momenti in cui siamo chiamati a dare testimonianza del nostro essere cristiani e in cui la nostra coerenza con ciò in cui crediamo viene messa alla prova: ogni nostra scelta è in qualche modo importante. Gli spettacoli a cui decidiamo di assistere, ad esempio. La televisione mette frequentemente noi e le nostre famiglie di fronte a trasmissioni, che sono ispirate alla esaltazione dell’individualismo più sfrenato, al consumismo senza limiti, alla sguaiate esibizione di vizi e comportamenti stravaganti, giustificati solo dal principio del “faccio così perché mi va”. Ecco un’altra situazione di fronte alla quale dobbiamo saper dire: “Io non ci sto, non mi faccio violentare da ciò che mi viene propinato, ma scelgo consapevolmente quello che voglio vedere e quello che voglio che i miei figli vedano”. La tentazione di pensare:  “Lo vedo così, tanto per passare il tempo, almeno mi diverto un po’…” è appunto una tentazione e va respinta. Il giorno dopo, di fronte ai colleghi che commentano lo spettacolo cui hanno assistito la sera precedente, diremo tranquillamente: “Non l’ho visto, perché lo trovo volgare, perché non ne condivido il messaggio…ho preferito fare altro”.

E’ anche così, in questo modo così semplice, che si combatte la cultura del relativismo: in fondo, si tratta di ragionare con la propria testa, facendo continuo riferimento ai valori in cui si crede.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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