ZEUS E LA VOLPE Favola 119
Ammirato dell’intelligenza e della versatilità della volpe, Zeus le conferì la sovranità sulle bestie. Ma poi volle vedere se, mutando sorte, s’era anche corretta delle sue abitudini meschine e, mentre essa passava in lettiga, le fece volare davanti agli occhi uno scarabeo. La volpe, incapace di dominarsi dinanzi all’insetto che continuava a svolazzare intorno alla lettiga, e incurante del suo decoro, balzò fuori per cercar d’acchiapparlo. Allora Zeus, sdegnatosi con lei, la retrocesse alla sua primitiva condizione.
La favola mostra che gli uomini dappoco non mutano affatto la loro natura, anche se si rivestono delle più splendide apparenze.
Da uno scritto dell’Arcivescovo di Buenos Aires Jeorge M. Bergoglio 2005
“Nel Nuovo Testamento appaiono persone corrotte, nelle quali l’adesione allo stato di peccato è chiara a prima vista. E’ il caso di Erode il Grande e di Erodiade. In altri la corruzione si camuffa da comportamento sociale accettabile, come nel caso di Erode (figlio) che “ascoltava volentieri Giovanni” e sceglie il dubbio come facciata per difendere la corruzione, o quello di Pilato che fa come il problema non lo riguardasse, e perciò se ne lava le mani, anche se in fondo è per difendere la sua zona corrotta di adesione al potere, a qualsiasi prezzo.
Però al tempo di Gesù ci sono anche gruppi di corrotti. I farisei, i sadducei, gli esseni, gli zeloti. Uno sguardo a quei gruppi ci aiuta a fare più nostro il fatto della corruzione a fronte del messaggio di salvezza di Gesù Cristo e della sua Persona. Ci sono due aspetti che sono comuni a questi quattro gruppi. In primo luogo tutti hanno elaborato una dottrina che giustifica la loro corruzione, o che la copre. In secondo luogo, questi gruppi sono i più distanti dai peccatori e dal popolo, quando non ne sono nemici. Non solamente si considerano puri, ma con questo comportamento proclamano la loro purezza.
I farisei elaborano la dottrina del compimento della Legge fino ad un nominalismo esacerbato che li porta a disprezzare i peccatori, o coloro che considerano trasgressori di una Legge soffocante.
I sadducei vedono, nei peccatori e nel popolo dei pusillanimi incapaci di negoziare con il potere nelle diverse situazioni della vita, e pongono precisamente nella dottrina del negoziare con il potere la loro corruzione interiore che non lascia spazio alla speranza trascendente.
Gli zeloti cercano una soluzione politica qui e ora; questa è la loro dottrina, dietro la quale si nasconde una buona dose di risentimento sociale e di mancanza di senso teologico del tempo. Per loro la teologia dell’esilio del loro popolo non è in vigore. I peccatori, il popolo finiranno con l’essere l’utile idiota che convocheranno per ideologizzarlo nella lotta armata.
Davvero si fa fatica a riconoscere, a prima vista, che corruzione ci sia negli esseni: sono uomini di buona volontà che cercano il raccoglimento e, nella vita monastica, la salvezza di un gruppo eletto. Proprio qui risiede la loro corruzione: sono stati tentati sotto specie di bene e hanno lasciato consolidare questa tentazione come riferimento dottrinale per le loro vite, Per loro i peccatori e il popolo sono lontani da un simile progetto, sono inadatti a ingrossare le file di questo gruppo. La risposta di Gesù a Giovanni Battista è rivolta, per elevazione, a loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunciata la buona novella” (Lc /,22)
(Da “Francesco, guarire dalla corruzione” di Jorge Mario Bergoglio – Ed. emi)