"Porta la croce, via dalla tv" Oslo cede alla lobby islamica
La conduttrice tg sollevata dall'incarico e costretta a scusarsi: è l'oscurantismo del politicamente corretto. Come per i gay
Maurizio Caverzan - Mer, 13/11/2013 - 08:26
Oscurantismo del politicamente corretto. Intolleranza delle culture dominanti. Rivendicazione del diritto all'offesa, anche dove di offesa non c'è traccia alcuna.
È tutte queste cose insieme il severo costume che alcune potenti lobby, quella islamica o quella omosessuale, stanno lentamente instaurando nella convivenza dei nostri evoluti Paesi occidentali. Nel nord Europa, così come nella nostra Italietta mediterranea. Quando si è abituati a dettare leggi e regole, quando si è arroganti e intoccabili si possono imporre stop improvvisi a chiunque, anche ad accreditati professionisti, colpevoli di non appartenere allo schieramento giusto.
È accaduto a Siv Kristin Saellmann, una delle più apprezzate conduttrici di Nrk, la televisione pubblica norvegese. Il suo errore? Indossare una catenina con la croce durante la diretta del telegiornale. Qualche occhiuto telespettatore è arrivato a scovare quel simbolo religioso sul collo della giornalista. Ci dev'essere voluto un certo impegno perché il crocefisso in questione misura la bellezza di 14 millimetri. Ma tanto è bastato a mandare alcuni utenti di fede musulmana su tutte le furie: «Quella catenina con la croce offende l'islam», hanno sentenziato. I dirigenti dell'emittente di Stato norvegese non se la sono sentita di difendere la loro anchorwoman, magari ingaggiando una polemica con l'assai influente comunità islamica. Il risultato è stato un richiamo alla conduttrice che dovrà riporre nel cassetto la sua catenina con l'«offensivo» crocefisso. Altrimenti, niente più video. «Quel simbolo non garantisce l'imparzialità del canale», hanno protestato gli islamici.
Ora si vedrà se Saellmann ricorrerà alla Corte europea dei Diritti umani come fece qualche anno fa Nadia Ewadia, una hostess della British Airways che rivendicò il diritto a indossare un'analoga catenina sul posto di lavoro. Nel gennaio scorso la Corte di Strasburgo le aveva dato ragione evidenziando «l'importanza della libertà di religione, elemento essenziale dell'identità dei credenti e fondamento, tra altri, delle società democratiche pluraliste». Al contempo aveva messo in guardia dai casi in cui «la pratica religiosa di un individuo sconfina sui diritti altrui». Come il crocefisso indossato da qualcuno in un luogo pubblico o durante l'esercizio di una professione possa sconfinare nei diritti altrui o risultare addirittura offensivo è quesito che non riusciamo a comprendere.
È l'idea stessa di offesa che sfugge. Mentre appaiono assai chiare una certa invadenza e intolleranza della cultura islamica che vorrebbe neutralizzare la semplice espressione dell'identità e della tradizione cristiana in genere. Ne sa qualcosa anche il povero Guido Barilla, costretto a pubbliche scuse e inversioni di rotta, fatte salve le ragioni di marketing, solo per aver espresso la propria personale preferenza per la famiglia tradizionale. Immediata l'accusa di omofobia e di offesa dell'universo omosessuale. Alla fine l'ideologia delle lobby è neutralizzare chi non ne fa parte e possiede una cultura e una tradizione diversa. Anche quando, come nel caso della giornalista norvegese, l'espressione della propria appartenenza avviene attraverso il crocifisso, simbolo del martirio e dell'annullamento più estremo.