UCCISA PER SATANA, SUOR MARIA LAURA MAINETTI SARÀ BEATA.
CITTÀ DEL VATICANO. «Muori, suora bastarda!». «Signore, perdonale...». Questo breve, drammatico, dialogo si udiva il 6 giugno del 2000 in un viottolo buio di Chiavenna (Sondrio), dove tre adolescenti tra i 16 e i 17 anni avevano attirato con l’inganno suor Maria Laura Mainetti per stordirla con una mattonella sulla nuca e ucciderla inferendole diciannove coltellate. Era l’estremo sacrificio di un rito satanico nato dal patto di sangue che le tre minorenni confessarono di aver organizzato - quasi per noia - davanti ad una birra al bar. A vent’anni da quel brutale assassinio che sconvolse l’Italia, mentre le tre ragazze si sono rifatte una vita dopo il carcere, la religiosa delle Figlie della Croce diventerà beata. Lo ha deciso Papa Francesco che ne ha riconosciuto il martirio «in odio alla fede». «Ma lei era una santa già in vita, anche senza martirio probabilmente sarebbe stata avviata la causa di canonizzazione per le sue virtù», spiega la postulatrice Francesca Consolini.
L’Italia ricorda suor Maria Laura Mainetti come vittima di un rito satanico. Al di là della sua uccisione, cosa c’è da sapere su questa suora?
«La figura di suor Maria Laura va separata dal fatto di cronaca di cui la stampa si è occupata ampiamente. In questi anni come postulatrice ho scoperto una donna che ha vissuto l’essenza del carisma delle Figlie della Croce, ovvero la disponibilità totale per i poveri, i malati e soprattutto i giovani che vedeva come fragili ed esposti. Ho avuto modo di leggere in maniera approfondita alcuni appunti che la suora scriveva più che altro per sé stessa. Da questi scritti emerge il suo essere sempre pronta a mettersi in movimento, a rimboccarsi le maniche, ad essere scomodata per portare aiuto e conforto. Scriveva: impegniamoci a vivere l’accoglienza con chi ci telefona, chi bussa alla nostra porta. Diceva che bisognava farsi “disturbare” dagli altri, anche quando questo rompe tutti i piani, perché Dio vive nascosto proprio in quel fratello umanamente non accattivante. Quando accogliamo chi ci disturba, rifletteva suor Maria Laura, non siamo noi ad evangelizzare ma noi ad essere evangelizzati. Non si capisce il suo martirio se non in quest’ottica».
Infatti fu l’aver risposto ad una falsa richiesta d’aiuto, alle dieci di sera, ad aver attirato la suora nella trappola delle tre ragazze che poi la uccisero.
«Sì, ha risposto alla chiamata di una ragazza che diceva di essere incinta dopo una violenza subita e di aver bisogno d’aiuto. Ed ha risposto con tutta la carica di carità che l’ha sempre animata. Certamente non aveva preventivato il suo martirio, non operava mica in un luogo di persecuzione… Non credo che si fosse mai chiesta se Dio voleva da lei l’effusione del sangue, ma era pienamente consapevole che Dio a chi lo ama può chiedere tutto. Negli scritti di cui parlavo diceva infatti che bisogna avere il coraggio di essere persone “mangiate”, cioè trasformarsi in nutrimento per i fratelli, diventare pane. La disponibilità a dare la vita nasce da questo dono continuo, il martirio non è un fatto a sé stante ma il coronamento di un cammino di vita».
C’è inoltre la richiesta di perdono che suor Mainetti invocò da Dio in punto di morte per le sue assassine.
«Normalmente il martire prende come esempio nostro Signore che ha perdonato sulla croce i carnefici e offerto le sofferenze per la salvezza degli altri. Anche Santo Stefano, il primo martire, è morto perdonando. Suora Maria Laura guardava a questo. C’è da dire, poi, che persone come lei queste dimensioni le vivono già: la disposizione a dare la vita è presente anche nelle cose più piccole, banali, come la disponibilità ad accogliere chi magari è antipatico o si è comportato male».
Essendo martire non è stato necessario il riconoscimento di un miracolo, ma vi sono state segnalate grazie ricevute per sua intercessione?
«Sì tantissime, soprattutto da quando la salma è stata traslata nel febbraio dello scorso anno dal cimitero ad una delle cappelle laterali della Collegiata di San Lorenzo, nella sua Chiavenna. Il sepolcro è più accessibile e molta gente vi si reca a pregare. Accanto è stato posto anche un registro per esprimere un pensiero, una richiesta, e sono davvero migliaia i messaggi rivolti a suor Maria Laura. Essendo martire, come si diceva, anche qualora avesse fatto un miracolo non sarebbe stato oggetto di studio. Sarà interessante vedere da adesso in poi cosa succederà in vista della canonizzazione».
Accennava al fatto che la suora teneva molto ai giovani che vedeva come categoria fragile. Cosa può dire ai ragazzi di oggi una figura come questa religiosa che rischia di restare solo un caso di cronaca nera?
«Quello che oggi è ancora di grande attualità credo sia l’insegnamento che suor Maria Laura trasmetteva ai ragazzi, in particolare alle sue ex alunne che aveva conosciuto bambine e con le quali manteneva una fitta corrispondenza anche quando queste erano adulte, sposate, madri. L’insegnamento, cioè, ad accettare la vita nei vari aspetti con impegno, serenità, fiducia nel domani. Voleva molto bene ai ragazzi ed era molto ben voluta da loro che cercavano e trovavano in lei la persona che dava risposte certe. Spesso i giovani sono un po’ sballottati, indecisi, inquieti, Suor Mainetti era in grado di offrire risposte giuste momento per momento. Lo si vede dalle lettere che abbiamo reperito per la causa di canonizzazione: molti le scrivevano per un consiglio in un momento di difficoltà, qualcuno perché viveva un lutto. Lei sapeva infondere fiducia e indirizzare anche i non credenti verso una pienezza di fede. È bello, ad esempio, quando scrive ad un’ex alunna: fai ogni cosa con entusiasmo, in una visione serena della vita. Non importa fare cose grandiose, ma piccole cose ogni giorno senza affanno o angoscia».
Una donna che tanto amava i giovani, alla fine è morta per mano di tre giovani…
«Non può essere altro che un mistero di Dio. Suor Maria Laura diceva che “i giovani sono l’unico scopo della mia vita” perché vedeva in loro il futuro della Chiesa e del mondo. A mio parere la cosa veramente incredibile è che, nonostante l’età (aveva 61 anni quando è morta), ancora si metteva in discussione. Per una suora di 30 anni magari è facile e piacevole stare al passo dei ragazzi, lei nonostante l’età adulta non perdeva occasione per apprendere qualcosa in più del loro linguaggio, della musica, delle abitudini. Non li abbandonava mai e li stimolava a dare il meglio di sé».
C’è qualche aneddoto sulla vita della futura beata che l’ha particolarmente colpita?
«Gli aneddoti sono pochi, la sua era una vita ordinaria se guardata da fuori. Ha vissuto un servizio come tante suore, seguendo delle regole. Eppure in una vita così “normale” emerge l’atteggiamento straordinario di una donna sempre a disposizione di qualcun altro. Le sue consorelle raccontavano ad esempio che di sera, quando erano stanche, capitava che bussasse un povero alla porta, anche un po’ malmesso. Suor Maria Laura era la prima a darsi da fare. Lo curava, lo puliva e cucinava per lui. Quando si presentavano i poveri chiedevano di lei, tanto che una consorella una volta le disse: “Vedo che hai tanti amici”. “No, questo è il mio Gesù”, rispose lei. Stessa cosa faceva per i malati in ospedale o in casa ai quali portava la comunione, anche quando non era richiesto. Regalava il suo tempo, si fermava a conversare con queste persone per alleviare il peso della tristezza e della solitudine. Una signora racconta che qualche volta si è messa a giocare a carte col marito perché capiva che era un modo per rendersi vicina. Svolgeva il suo servizio in maniera discreta, senza pubblicizzare la carità. Tanti hanno scoperto la sua figura solo dopo la morte, anche se erano molti di più, inclusi il vescovo, il parroco e le consorelle, quelli che la consideravano già santa».
Da quello che racconta sembra che suor Maria Laura Mainetti sarebbe potuta diventare beata anche senza quel fatto di sangue. È così?
«Credo che la sua causa di canonizzazione si sarebbe potuta avviare anche per via ordinaria, seguendo la via delle virtù. Ogni martire, come i santi, si distingue per delle virtù: l’evangelizzazione; la professionalità, come nel caso dei medici uccisi in terra di missione; la giustizia, come Romero o Puglisi. Ognuno ha una nota distintiva che dipende dal contesto. Nel caso di suor Mainetti la connotazione è stata la carità. Questo l’ha resa una martire, ma ancor prima una santa».