Gesù è più forte della camorra Alessandro Ranieri
Da leggere tutto d’un fiato il libro di Don Aniello Manganiello, il parroco “di strada”, “di frontiera”, il cui ricavato è destinato alle famiglie povere di Scampia, per la grande umanità, senso del dovere e affermazione dei valori di un cristianesimo visto come intervento attivo nella società, per eliminare le ingiustizie, per redimere chi sbaglia, per recuperare le persone all’amore verso il prossimo, e non solo formalità e stanchi riti. Don Aniello, ordinato sacerdote nel 1980, ha improntato tutta la sua azione e la sua vita parrocchiale all’intervento a favore dei bisognosi, non solo di beni materiali, in particolare, nei 16 anni vissuti a Scampia, ha avuto modo di conoscere una realtà di degrado, sottosviluppo e abbrutimento, originata da decenni di soprusi, di omertà e di asservimento alla camorra. La gente di Scampia non è come viene dipinta da persone che non ci hanno messo mai piede, dice Don Aniello, la stragrande maggioranza è fatta di persone oneste, che rimangono oneste nonostante l’ambiente in cui vivono, nonostante la povertà, ma è gente che ha paura, che è abituata a chinare la testa al boss e a quelli che dicono di stare con il boss. L’attività svolta dal parroco in un territorio così compromesso è stata straordinaria: contro tutto e tutti ha denunciato, facendo nomi e cognomi, i capifamiglia, ha reso note le piazze di spaccio della droga, ha litigato con ben due sindaci, che non lo hanno mai sostenuto nel suo immane sforzo. Ma soprattutto, Don Aniello ha saputo mettere in pratica i valori più alti della dottrina cristiana: la sua grande umanità gli ha fatto vedere anche il peggiore camorrista come un uomo, che quindi può essere redento e salvato. Senza paura, protetto e illuminato dalla fede, e memore dell’insegnamento di Don Guanella e di Don Tonino Bello, è andato nelle case dei camorristi e gli ha chiesto di pentirsi, di cambiare vita, ha dato aiuto a chi voleva uscire da una vita fatta solo di violenza e di sopraffazione, e in effetti, in alcuni casi ci è anche riuscito. Ma soprattutto l’intervento a favore dei giovani è stato determinante, invece di coinvolgere solo quelli per bene, dandogli in mano uno striscione e una bandiera per manifestazioni contro la mafia che lasciano il tempo che trovano, Don Aniello è andato a conoscere i giovani del quartiere, quelli già affiliati alla camorra, quelli a rischio, offrendo loro una vita alternativa, dandosi da fare per farli lavorare, per impegnarli in qualcosa di onesto e costruttivo, ha cercato soldi e risorse per aiutare chi aveva bisogno, sottraendo braccia, menti e anime alla camorra. I boss in carcere, sapendo dell’attività di don Aniello rivolta ai loro figli, lo ringraziavano per quello che faceva, perché questi potessero avere un futuro diverso dal loro, per rompere la catena dell’odio, comunque il suo intervento deciso ed energico gli ha fatto guadagnare anche le attenzioni dei capifamiglia camorristici, anche per il suo rifiuto di concedere i sacramenti a chi non si pentiva e cambiava vita. Anche il sindaco Bassolino, messo alle strette perché faceva poco di concreto per impedire il degrado umano della camorra gli ha dato del mascalzone, e il successivo sindaco Iervolino ha minacciato di querelarlo. Nemmeno Chiesa lo ha mai sostenuto, e a un certo punto si è accorta di questa attività meritoria: come premio, anche a seguito di alcune interviste in cui Don Aniello ha detto senza mezzi termini come stavano le cose, ha deciso di trasferirlo di nuovo a Roma, ordine cui Aniello ha obbedito con la mente, ma non con il cuore, che è rimasto lì, fra i poveri di Scampia, dove l’umanità stenta ad affermarsi, dove stava svolgendo un ottimo lavoro di recupero sociale, oramai interrotto, anche se l’insegnamento di queste persone coraggiose rimane comunque vivo.