“La famiglia e il lavoro oggi in una prospettiva di fede”.
Nel giornalino di quest'anno ho cercato di offrire alla riflessione di tutti noi i testi delle principali relazioni svolte durante il Congresso che lo scorso anno si è tenuto a Milano in occasione dell'Incontro mondiale delle famiglie. In questo ultimo numero ho scelto, in conclusione, il testo della relazione tenuta dal cardinale Tettamanzi, il 31 maggio, che ha come tema “La famiglia e il lavoro oggi in una prospettiva di fede”.
Si tratta di un testo piuttosto lungo e articolato, diviso in tre parti: nella prima, l'autore riflette sulla famiglia a partire da alcuni testi biblici. Non ci soffermiamo su questa parte perché temi simili sono già stati affrontati dai cardinali Ravasi e O'Malley le cui relazioni sono state già riassunte in numeri precedenti.
La seconda parte della relazione riassume la dottrina sociale della Chiesa, esaminando soprattutto le encicliche di Benedetto XVI (Deus caritas est e Caritas in veritate) e sviluppando argomentazioni che già abbiamo incontrato nella relazione del prof. Luigino Bruni: in particolare vengono esposti i concetti di 'gratuità' e di 'dono' e viene sottolineato con forza l’inscindibile rapporto tra giustizia e carità, con tutte le implicazioni che riguardano la dignità del lavoro umano, la giustizia sociale e la povertà. La povertà è quindi vista come il risultato di una concezione dell'economia in cui la persona umana non è posta al vertice di ogni scelta, ma, al contrario, strumentalizzata e asservita alla logica del profitto: sono i temi della Caritas in veritate di Benedetto XVI, che è sicuramente un'enciclica molto amata da papa Francesco e alla quale egli spesso si riferisce nella sua predicazione.
Ci soffermeremo più a lungo sulla terza parte della relazione del card. Tettamanzi, nella quale per parlare di famiglia e lavoro l'autore fa costante riferimento alla famiglia di Nazareth.
Si parla anzitutto di “normalità del lavoro nella vita di tutti i giorni”:
È un Gesù “normale” quello che troviamo a Nazareth, un uomo comune a tutti gli altri. Ed elemento essenziale per lui è il suo lavoro con Giuseppe. Gesù lavora con un uomo "giusto", umile, nascosto, dedito alla sua famiglia. Lavora, giorno dopo giorno, per trent'anni: tanti e sempre uguali! Qui la normalità coincide con la quotidianità, con quanto comporta di ripetitività, stanchezza, fatica, sacrificio, impegno. E all'insegna del senso del dovere!
“E che tipo di lavoro compie Gesù a Nazareth? Lavoro di falegname o fabbro che sia, è pur sempre il suo un lavoro manuale. Ci insegna che ogni lavoro, anche quello manuale e il più umile e il più stressante, ha dignità umana, in quanto rimanda alla persona coinvolta nel lavoro, in obbedienza alla volontà originaria del Creatore... Forse che il tempo, le forze fisiche e psichiche, le responsabilità dell'ultimo lavoratore valgono di meno del tempo, delle forze e delle responsabilità di un alto dirigente di finanza o di industria o di governo o di partito o di sport? Mi chiedo: le cosiddette leggi del mercato - che danno molto a qualcuno perché la sua attività movimenta enormi capitali a beneficio di molti – non devono forse essere, loro stesse, regolate? Regolate perché il mercato sia per l'uomo e non l'uomo per il mercato!”.
Si parla poi del rapporto lavoro-vita in famiglia, e anche in questo caso si parte da Nazareth:
“ “Gesù è al suo paese, a Nazareth. Ed è con Maria, la madre, e con Giuseppe, il padre putativo e insieme il "maestro" di lavoro e, con gli anni, anche il "compagno" della fatica d'ogni giorno”.
Emergono due interrogativi generali.
“Il primo: senza lavoro, quale famiglia è possibile? In realtà, non c'è famiglia senza lavoro! Non è possibile costituirla o - se costituita - non è possibile farla crescere nei valori e secondo le esigenze ad essa peculiari. La questione non è solo economica, perché il lavoro è inserimento attivo nel tessuto della società, è partecipazione responsabile all’edificazione della città: se ne viene esclusa, la famiglia è come mutilata, emarginata, deturpata da una ferita che può portarla a vergognarsi, a nascondersi, a prediligere sentieri male illuminati e trascurare gli spazi aperti e luminosi in cui la gente si incontra, intesse relazioni, entra in una vita di comunione.
S’inserisce qui anche il fenomeno delle migrazioni con i contraccolpi problematici o negativi, non solo sulla famiglia migrante costretta a lasciare il proprio Paese, ma anche sul “lavoro temporaneo” specie con l’attività di cura (badanti, colf, ecc.) …
Il secondo interrogativo: senza famiglia, quale lavoro è possibile? Sì, non c'è lavoro senza famiglia! L'esperienza, infatti, ci dice che la famiglia è il luogo educativo primario anche per il lavoro...
Altro obiettivo da raggiungere è una conciliazione, meglio un’armonizzazione, direi un’alleanza positiva, tra la vita di lavoro e la vita di famiglia: nei ritmi di tempo (oggi sempre più frenetici) e nelle condizioni di vita e di lavoro (si pensi al prolungarsi delle percorrenze per recarsi sui luoghi di lavoro). Urge allora trovare strumenti adeguati per migliorare il rapporto tra tempi della vita familiare e tempi del lavoro".
Si parla, infine, di lavoro “ al servizio del villaggio di Nazareth”.
“ Gesù svolge il suo lavoro nella casa di Nazareth, dunque in un villaggio, ma anche per il villaggio e con tutta probabilità per altri villaggi ancora. Questo accenno ci rimanda alla dimensione sociale del lavoro. Così lo spazio familiare si dilata e diviene spazio comunitario più vasto, mediante l'ampliarsi dei rapporti interpersonali: parole queste di estrema semplicità ma che oggi assumono proporzioni enormemente amplificate con il fenomeno della globalizzazione.
E qui sorge l'esigenza di fare dei luoghi di lavoro non solo uno spazio geografico o fisico nel quale ci si trova, né un campo di rivendicazioni reciproche, anche se giuste, né un’area di dura conflittualità, ma una comunità di persone: una comunità cioè dove le persone vengono non solo rispettate nella loro dignità ma anche valorizzate nelle loro molteplici e diverse risorse e potenzialità. È questa, com’è noto, la precisa prospettiva proposta dalla dottrina sociale della Chiesa; ma è questa anche un'esigenza umana, naturale e razionale, di cui sono oggi consapevoli le stesse scienze economiche più moderne”.
Ma è nell'ultima parte - intitolata “Gesù salvatore del mondo mediante il lavoro” - che il tema famiglia-lavoro viene affrontato nella prospettiva della fede.
“ La fede ci assicura che Gesù Cristo, crocifisso e risorto, è il salvatore del mondo, l'unico salvatore! Ma questa stessa fede ci apre allo stupore, perché Gesù Cristo è l'unico e universale salvatore anche mediante il suo lavoro quotidiano a Nazareth. È veramente sorprendente per noi sapere che il Salvatore del mondo ha fatto sbocciare la salvezza proprio qui, al banco del falegname, tra le mura o nei dintorni della piccola casa di Nazareth. Solo dopo trent'anni rivedremo il Signore altrove, cioè sulle strade della Palestina e sulla Croce. Lo ripeto: ha fatto sbocciare la salvezza con il lavoro delle sue mani: altrove ci sarà la parola che davanti a tutti annuncia la "lieta notizia", mentre qui tutto è nascondimento e silenzio; altrove ci saranno i gesti miracolosi, mentre qui l'unico "miracolo" è quello di un lavoro che fa "vivere": fa vivere chi lavora e gli altri ai quali il lavoro è destinato.
Sì, è la fatica umana di Cristo Salvatore che “redime” e "santifica" il lavoro, ed insieme lo rende "santificante". E questo vale non solo per lui, ma anche per noi. È nuovamente la fede cristiana a dirci che il nostro lavoro è una reale condivisione del lavoro stesso di Gesù Cristo. Per questo anche il nostro lavoro, con la grazia del Signore Gesù, diventa luogo di salvezza e di santificazione per noi e per gli altri.
Di qui il doveroso interrogativo: abbiamo noi la consapevolezza della novità cristiana presente e operante nel nostro lavoro? Crediamo veramente che è anche nel lavoro e attraverso il lavoro delle nostre giornate che noi ci salviamo e ci santifichiamo?
In realtà, c'è una condizione indispensabile per avere limpida questa consapevolezza e salda questa fede: è l'amore al silenzio del cuore e al colloquio della preghiera. A sua volta sarà questa preghiera a sostenerci nel testimoniare la novità cristiana del lavoro dentro il nostro vissuto quotidiano, che in gran parte è dato dal lavoro: una testimonianza dai lineamenti tipici della vita di Nazareth, che è fatta di semplicità, normalità ed essenzialità; che non ricorre a nessuna "predica" e a nessun "proselitismo"; che non ha bisogno di segni distintivi o speciali; che rifugge da tutto ciò che può urtare sensibilità diverse dalla nostra; che non scade in qualche forma di pietismo. Basta il dovere, il dovere compiuto nel migliore dei modi!
Senza dire che la vita di grazia dei lavoratori - questa meravigliosa “inabitazione” di Dio, Trinità santissima, nella nostra anima - rappresenta la più preziosa ricchezza spirituale che noi offriamo, anche se a loro insaputa, ai nostri compagni di lavoro: e non solo a loro.
È questo il lievito evangelico, nascosto quanto efficace, che fermenta l'impasto dell'ambiente di lavoro e che contribuisce al vero "bene comune" di cui ha grande bisogno la nostra società”.
Mi sembra che su questo testo potremmo meditare durante le vacanze estive in modo da affrontare a settembre il ritorno alla vita lavorativa con più forza e coraggio e soprattutto “nella prospettiva della fede”.
A cura di Antonella