Il lavoro e la festa
Continuiamo a leggere, riassumendola, la relazione tenuta il 30 maggio 2012 dal prof. Luigino Bruni all'Incontro mondiale delle famiglie a Milano. Nella prima parte (vedi giornalino di gennaio) il prof Bruni aveva messo in evidenza i legami che intercorrono tra famiglia e lavoro, e ci aveva fatto scoprire come l'atteggiamento del dono (della gratuità) che caratterizza la vita della famiglia (all'interno della quale i vari componenti agiscono spinti non dalla logica del profitto, ma dal bisogno di darsi da fare gratuitamente per rendere più facile e buona la vita degli altri) deve essere presente anche nel mondo del lavoro: quando si lavora si riceve uno stipendio che è la giusta ricompensa del lavoro svolto, ma il lavoro va svolto “bene” non per la ricompensa che ci attende ma perché se lavoriamo male viviamo male e il lavoro è troppo importante per starci dentro in modo poco gratificante. Dunque il lavoro deve essere 'ben fatto', ma l'impegno che mettiamo nel lavoro ben fatto non può essere remunerato: è frutto di un atteggiamento di gratuità, è 'dono'.
Vediamo adesso che rapporto c'è tra il lavoro e la festa e quindi anche tra la famiglia, il lavoro e la festa.
Chiediamoci anzitutto: che cosa è la festa? E' un momento essenziale della vita, un momento nel quale si dà importanza soprattutto alle relazioni umane, allo stare con gli altri in modo che sia piacevole e gratificante per tutti, un momento in cui non si chiede a nessuno di mostrare quanto è bravo o efficiente, ma semplicemente si gode della presenza degli uni accanto agli altri e ognuno si dà liberamente e gratuitamente da fare per far piacere a chi gli sta vicino. Quindi “la festa è essenzialmente una faccenda di gratuità e di relazioni”: proprio per questo il mondo capitalistico, fondato sulla logica del profitto e dell'efficienza, spesso non capisce la festa e di conseguenza non la ricerca e non la valorizza. Da notare che il concetto di 'divertimento' è diverso da quello di 'festa': divertirsi vuol dire guardare da un'altra parte, distrarsi dal lavoro, dimenticare anche la famiglia e le relazioni. Il prof. Bruni osserva che “oggi la società capitalistica e dei consumi conosce e ha bisogno di divertimento (pensiamo a quanto business genera), ma ha timore della vera festa, non la capisce perché la festa è faccenda di relazioni non strumentali e di gratuità” Dobbiamo quindi recuperare il giusto concetto di festa e tenere presente che il tempo della festa è distinto da quello del lavoro: i giorni di festa vanno quindi difesi e salvaguardati, perché la vita umana ha bisogno della festa. Tuttavia, proseguendo il suo ragionamento, il prof. Bruni ci fa notare che anche il mondo del lavoro ha bisogno di festa e che anzi oggi “esiste una enorme indigenza di festa all’interno del mondo del lavoro e dell’economia”. Il lavoro è vita e per questo è importante “nelle imprese festeggiare i compleanni, i matrimoni, le cene assieme, le malattie superate, e soprattutto festeggiare le nascite dei bambini: sono riti essenziali in ogni organizzazione, se si vuole creare legame sociale”. E ancora: “In tutte le civiltà, ce lo dicono gli antropologi, i riti servono a creare legami, a consolidare l’appartenenza ad un corpo, a sentirsi accomunati da qualcosa di più profondo dei contratti e degli interessi. Per questo, un segnale chiaro e forte che si sta deteriorando la qualità relazionale di un luogo di lavoro, è quando si iniziano a dimenticare e a trascurare nascite, matrimoni, avanzamenti di carriera, a non fare più feste di Natale né in altri momenti forti dell’anno...Gli esseri umani, anche e soprattutto quando lavorano, hanno bisogno di molto di più del denaro per dare il meglio di loro stessi: la festa è anche questo rafforzamento di legami più forti dei contratti”.
Vi sono poi alcuni altri aspetti da prendere in considerazione. Abbiamo appena detto che il lavoro ha bisogno della festa; è anche vero però che la festa ha bisogno del lavoro. Infatti “sono i tempi del lavoro che scandiscono quelli della festa, e viceversa. Da qui deriva una conseguenza che considero oggi molto rilevante, anche politicamente: quando si è disoccupati o sotto-occupati, si perde non solo il lavoro ma anche la festa, poiché la festa senza lavoro non è mai vera e piena festa, per la persona e per la famiglia. Oggi è troppo urgente ricreare nuovo lavoro, proteggere anche istituzionalmente quello fragile...anche perché ricreando lavoro sostenibile si ricrea anche la possibilità della festa – eloquente che i governi di fronte alle crisi siano sempre tentati di sopprimere i giorni di festa, e a volte... ci riescono.”
Altro aspetto importante: la festa è un'occasione nella quale si dà spazio e valore a persone che di solito sono meno apprezzate. In famiglia ciò accade soprattutto con i bambini (ma anche con le persone anziane): nei momenti di festa sono loro, i bambini e gli anziani, al centro dell'attenzione. E' così anche nel mondo del lavoro; quando c'è una festa, le persone che nel normale ambiente di lavoro non riescono ad emergere, hanno finalmente la possibilità di utilizzare le qualità che pure possiedono e possono così essere prese in considerazione e valorizzate: sanno, ad esempio, decorare una stanza, cantare, preparare una torta, rendere allegra e accogliente l'atmosfera. Se non ci fosse la festa non ci si accorgerebbe di loro e, magari, di queste persone si conoscerebbero solo le fragilità o la scarsa efficienza. “La festa, come tanti riti, ha la grande ed essenziale capacità di creare uguaglianza e fraternità nelle comunità, anche in quelle lavorative, che spesso ne hanno veramente bisogno... La festa, poi, è indispensabile nei momenti di crisi...poiché nei momenti della prova (al lavoro e in famiglia) far festa riaccende la voglia di vivere e di lottare insieme.”
Ultimo aspetto importante da considerare: “La festa ha bisogno di tempo, e questo lo sanno bene coloro che le feste le preparano a casa, ma anche in parrocchia, nelle comunità... richiede lavoro, perché una buona festa va preparata, vissuta, e seguita dal lavoro, soprattutto da quello femminile nelle società tradizionali: nella mia famiglia la domenica era festa diversamente per gli uomini e per le donne. Le donne lavoravano di più in occasione delle feste, ma non per questo non vivevano la festa, sebbene in modo diverso, la vivevano anche lavorando...Oggi nelle famiglie si festeggia poco anche perché non può più essere soltanto la donna – senza l’aiuto di altre donne, come nelle comunità tradizionali – a lavorare per la festa: solo un lavoro e una preparazione condivisi tra uomini e donne (dentro la famiglia ma anche, non dimentichiamolo, tra famiglie: la festa è anche il momento in cui la famiglia va oltre se stessa, si trascende in comunità più ampie) rende oggi sostenibile e non troppo scarsa la festa. Ecco perché anche nella festa c’è lavoro, e a volte anche tanto, sebbene nelle famiglie e normalmente nelle comunità, è un lavoro che non passa per il mercato. Una bella festa che funzioni e porti poi i suoi frutti (molti dei quali si creano e si godono già durante la preparazione della festa: la preparazione della festa è già festa), richiede molto tempo e molta cura. Chi capisce la festa considera il tempo investito per la festa non come uno spreco o una perdita... ma come un investimento relazionale. La festa, infatti, crea legame sociale, appartenenza ad un destino comune, è esperienza simbolica dove c'è bisogno di riti che rimettono insieme i pezzi, i frammenti, anche quelli lavorativi.”
Avviandosi alla conclusione della sua relazione, il prof. Bruni lancia tre messaggi che ritiene molto importanti:
1) “I beni economici e le merci sono veramente beni (cioè cose buone) e non mali quando sono alleati e ancelle dei beni relazionali, dei rapporti di reciprocità, e non loro sostituti”. Questo vuol dire che non è assolutamente possibile riempire con il consumismo il vuoto dei rapporti: è una grande tragedia quando ciò si verifica, le famiglie questo lo sanno bene. Nessun giocattolo può riempire il cuore di un bambino, se la relazione dei genitori tra loro e con lui è malata o spezzata. Nessuna gita al centro commerciale può riempire una domenica in cui gli adulti non sanno cosa fare del tempo liberato dal lavoro perché hanno dimenticato la bellezza del rapportarsi tra loro e con i bambini in serenità ed armonia. “Sono tante, troppe, oggi le povertà e le tragedie dovute alle indigenze di rapporti riempite con gioco, lotterie, alcool, televisione, cibo (per adulti e sempre più per i bambini). Le famiglie, e le associazioni familiari, dovrebbero battersi per una moratoria della pubblicità rivolta direttamente ai bambini (...i bambini sono troppo preziosi per lasciarli ai mercanti for profit), ma anche di quella dei giochi d’azzardo... Battaglie civile che non possono essere delegate interamente alla politica e alle leggi, ma debbono essere sostenute dal basso premiando imprese e gesti virtuosi (anche con marchi di qualità assegnati da associazioni familiari), che poi possono diffondersi ed estendersi”
2) La miseria e l'indigenza sono certamente una piaga dell'umanità e tutti quanti noi, in particolare i politici, dovrebbero fare di tutto per migliorare le condizioni economiche di tante famiglie nel mondo. Non dimentichiamo però che “la povertà è anche una parola del vangelo”, quando si presenta come una scelta di sobrietà “e come rinuncia al dominio delle merci e del denaro ... Il consumismo è sempre più uno stile di vita, che essicca nelle persone le sorgenti della trascendenza, della vita interiore...Occorre combattere le povertà non scelte per poter scegliere, liberamente, una vita sobria e di comunione. Pensiamo, su questo, ancora ai bambini. I bambini che ...hanno tutto e subito, perdono il desiderio e la capacità di sorprendersi, e quindi viene loro rubata l’infanzia, che è il tempo del desiderio e delle sorprese, che poi alimentano i sogni e i progetti generativi anche della vita lavorativa adulta. La festa poi ha bisogno, come il dono, di una certa povertà, poiché se è sempre festa non è mai festa: la povertà, la mancanza di qualcosa (non di tutto), rende la festa tale perché la si attende, arrivano doni che in parte almeno riempiono quella indigenza, solo questa povertà bella del vangelo genera e alimenta il desiderio che è l’energia della vita, in ogni età”
3) “La famiglia, infine, ricorda con la vita di ogni giorno una grande verità, che oggi è troppo assente dal mondo del lavoro e dalla sfera pubblica in generale: la vulnerabilità (cioè la fragilità, la crisi) non è l’eccezione, ma è la condizione dell’umano”.Le famiglie lo sanno bene: non è che la vita sia per definizione sicura e senza problemi: essa è anzi un alternarsi continuo di serenità ed ansia, di gioia e dolore, di salute e di malattia, di tranquillità economica e di difficoltà finanziarie. La vita è qualcosa di fragile, si tiene in bilico su un equilibrio difficile, ogni giorno ristabilito con pazienza e dedizione. Ebbene: “La dinamica della vulnerabilità è simile a quella del vaccino: chi accoglie le piccole dosi quotidiane di vulnerabilità è forte di fronte alle grandi vulnerabilità; chi invece non accoglie le piccole vulnerabilità, diventa molto vulnerabile e fragile quando arrivano le grandi e devastanti vulnerabilità, che producono gli effetti di un virus che non incontra anticorpi. La famiglia è una grande scuola della cura della vulnerabilità, e quindi della sua sostenibilità e fecondità. Solo riconciliandoci con la vulnerabilità inevitabile possiamo superare questa e le altre crisi, individuali e collettive”
La relazione del prof. Bruni si conclude con queste parole, che ci richiamano ad un impegno forte di fronte alla società e al mondo:
“La famiglia può e deve lanciare con decisione questi messaggi forti alla politica e all’economia, e porsi così come guida di cambiamento, come faro, pioniere, avanguardia di Bene comune, cioè il bene di tutti e di ciascuno, quindi anche il bene della famiglia e delle famiglie”.
A cura di Antonella