Da Edith Stein a suor Teresa Benedetta della Croce
Mi occuperò in questo articolo di una donna straordinaria, che ha vissuto il tempo che le è stato donato con grandissima intensità e pienezza utilizzando al massimo tutti i talenti di cui era portatrice, che ha dato ascolto alla voce della sua coscienza riconoscendo in essa la voce di Dio che la chiamava a percorrere una strada nella quale non avrebbe mai creduto di doversi inoltrare e che, infine, è andata incontro ad una drammatica sorte con la consapevolezza e la forza di chi sa che, per quanto terribile ed incomprensibile sia quello che ci accade, il Padre che è nei cieli ne conosce il senso e lo permette solo perché fa misteriosamente parte del progetto d’Amore che avvolge ogni uomo e l’umanità intera. Questa donna straordinaria è EDITH STEIN.
Edith Stein nacque, ultima di undici figli, il 12 ottobre 1891 a Breslavia (allora in Germania, oggi in Polonia), da genitori ebrei osservanti. Terminati gli studi liceali, durante i quali si era dimostrata una allieva brillante, piena di interessi e dotata di grande e acuta intelligenza, si iscrisse all’università, frequentò i corsi di germanistica, storia e psicologia e poi concentrò la propria attenzione soprattutto sulla filosofia. Era infatti animata da un grande desiderio di capire sempre meglio se stessa e il mondo e fortemente interessata ad approfondire la riflessione sul significato profondo delle situazioni e degli eventi. Si sprofondò negli studi filosofici con grande dedizione e passione, tesa con tutte le forze della sua intelligenza e della sua volontà al raggiungimento della Verità. Questo grande interesse per la filosofia avrebbe potuto condurla al rifiuto di tutto ciò che non fosse perfettamente “razionale”, tanto più che fin da piccola Edith si era completamente allontanata dalla pratica religiosa e, anzi, si dichiarava atea. Non fu così, perché chi cerca la Verità con retta ragione e coscienza giunge inconsapevolmente o consapevolmente a Dio.
Il lavoro di preparazione della tesi di laurea fu molto faticoso, data anche la difficoltà e la novità dell’argomento che le era stato assegnato. Si laureò nel 1916 conseguendo un giudizio molto lusinghiero (summa cum laude), nonostante che allo scoppiare della prima guerra mondiale avesse interrotto lo studio per frequentare un corso di infermiera: per sei mesi era stata crocerossina in un ospedale militare.
Gli anni seguenti sono quelli decisivi per il “destino” di Edith Stein. Nel novembre del 1917 il professor Adolph Reinach che con grande gentilezza e generosità l’aveva accolta e sostenuta al momento del suo ingresso nell’università di Gottinga, viene ucciso in guerra; molto addolorata, Edith si reca a far visita alla moglie di Reinach, Anne, di cui era nel frattempo divenuta amica: temeva quell’incontro, pensava che non sarebbe riuscita a trovare le parole per consolarla, ed invece si trovò di fronte una donna, provata profondamente dal dolore, ma rassegnata e serena, di una serenità contagiosa. Fu per lei qualcosa di sconvolgente. Sapeva che alcuni mesi prima sia Anne che Adolph si erano fatti battezzare ed erano diventati cristiani e fu certa che l’atteggiamento di Anne doveva necessariamente essere attribuito alla fede: solo nella fede Anne aveva potuto attingere la forza per affrontare la tragedia. Edith era ancora lontana dalla conversione, ma quell’avvenimento la scosse profondamente. Si trattava, ancora una volta, di cercare di capire il senso di ciò che ci accade, di cercare di andare incontro alla Verità. La guerra si avviava alla conclusione, la sconfitta della Germania era ormai vicina: tutti i sacrifici fatti da tante persone per la patria sembravano essere stati inutili. La vita stessa poteva apparire inutile (tanti furono in quegli anni in Germania i suicidi), la storia umana si rivelava un mistero insondabile, vani i tentativi della scienza di capirne il significato profondo. Come trovare la Verità? Forse era necessario attingere ad altre fonti, probabilmente quelle che avevano dato ad Anne la forza di continuare a vivere. Certo Edith constata sempre più chiaramente che l’uomo non ha in mano le redini della propria vita, anche quando si impegna fortemente e cerca di vivere con consapevolezza, senza tirarsi indietro di fronte a scelte difficili, come lei stessa aveva sempre fatto. E’ in questo periodo che legge e medita il Nuovo Testamento: non è ancora la conversione, è solo una ricerca puramente intellettuale. Cerca di capire se nel cristianesimo vi possa essere la risposta alle sue domande più profonde. Abbiamo la testimonianza di alcune persone che l’hanno frequentata in quegli anni che parlano della crisi che Edith attraversava e delle letture alla quali si dedicava: fra di esse gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e le Confessioni di Sant’Agostino Nel frattempo si dà da fare per ottenere la libera docenza all’università: i suoi lavori suscitano l’interesse del mondo culturale, sono apprezzati da colleghi e maestri, ma ciò nonostante Edith non riesce ad avere l’abilitazione all’insegnamento universitario perché ebrea e perché donna. Continua tuttavia a studiare, a tenere lezioni: “lavorare, occupare il tempo, non disperderlo mai era il suo perenne assillo. Forse il lavoro cominciava ad essere consapevolmente un modo di pregare” (F. SALVARANI, Edith Stein, ed. Ares, 2009, pag. 232). Durante l’estate del 1921 si recò nel paesino di Bergzabern, ospite di un’amica: fu lì che una notte lesse l’Autobiografia di Santa Teresa d’Avila. Forse si trattava di una rilettura, perché Edith già nel 1918 aveva letto alcune scritti della Santa di Avila: in ogni caso “lesse tutta la notte e non depose il libro se non dopo averlo completato fino all’ultima pagina, esclamando all’alba: «Ecco la verità!»” (Teresia Renata da Spiritu Sancto,Edith Stein, ed. Morcelliana 1959). E’ l’episodio conclusivo di un cammino iniziato da tempo: la ragione le aveva fornito motivazioni per credere alla esistenza di Dio, ma la lettura di quel testo le fa capire qualcosa di più. Con la parola di un suo biografo già citato possiamo dire: “Edith cercava la Verità e ha scoperto che la Verità è l’Amore, è Dio stesso e che Cristo ne è la rivelazione” (Salvarani, cit., pag. 243). Si dedica allo studio della dottrina della Chiesa cattolica e della liturgia, percorre rapidamente il cammino catecumenale e viene battezzata il primo gennaio del 1922.
Ha subito chiaro in mente che vuole diventare carmelitana, come Santa Teresa d’Avila, ma dovrà aspettare molti anni prima di riuscirci. Anzitutto deve affrontare la reazione della madre. Scrive Edith ad un amico: “Per mia madre la conversione è la cosa peggiore che potessi fare e per me è terribile vedere come si tormenta senza che io possa alleviarla. Qui c’è una assoluta mancanza di comprensione” (cit. da Salvarani, pag. 247). Edith si rende conto che la madre non sarebbe in grado di sopportare la sua entrata in monastero e, consigliata anche dal padre spirituale, si rassegna ad attendere, sostenuta dall’Eucarestia quotidiana.
Nei dieci anni successivi, Edith si dedica all’insegnamento nella città di Spira in un liceo femminile e in un istituto magistrale retti da suore domenicane (presso il cui convento vive), fa conferenze (in Germania, ma anche in Austria e in Svizzera), continuando a studiare e a pubblicare saggi e articoli molto apprezzati. Si avvicina all’opera di San Tommaso e traduce in tedesco il De veritate. Ormai è nota e apprezzata in tutta Europa, per la vastità della sua cultura e l’acutezza della sua intelligenza, accompagnate da una grande sensibilità umana. Si occupa anche della situazione femminile sottolineando la ricchezza della femminilità e scrive pagine molto belle sulla missione della donna sotto il profilo umano e religioso.
Nel 1931 lascia l’insegnamento e si dedica alla preparazione di una nuova opera filosofica, con la quale spera di ottenere finalmente l’abilitazione all’insegnamento universitario: sarebbe stata la prima donna tedesca ad insegnare in una università. Studiava e scriveva con la solita dedizione, ma senza ansie, pronta ad accettare tutto ciò che Dio le avrebbe prospettato. Ancora una volta la sua richiesta non venne presa in considerazione, probabilmente perché non le veniva perdonata la sua origine ebraica. Fu comunque chiamata ad insegnare presso un istituto cattolico di Münster, l’Istituto tedesco di pedagogia. Vi rimase poco meno di un anno: a metà del 1933 i nazisti imposero il licenziamento di Edith Stein, a causa della sua origine ebraica. Edith accettò con calma e serenità anche questa prova: la fede nel Dio Amore che aveva incontrato le dava una forza interiore che nessun avvenimento esterno poteva intaccare. In tutti questi anni non aveva accantonato l’idea del Carmelo: però, ogni volta che chiedeva al Padre spirituale il permesso di fare la domanda per entrare in monastero, le veniva detto di aspettare ancora, per non dispiacere la madre e anche per non abbandonare gli importanti incarichi che svolgeva nel mondo cattolico. Ora finalmente l’atteso consenso le viene concesso.
Quando Edith comunica alla madre la sua decisione, ne ottiene, come lei stessa dice, un “rifiuto disperato”. Seguono settimane dolorose per entrambe: fino all’ultimo sua madre non si rassegna ad accettare la scelta di Edith e anzi la combatte con tutte le sue forze. Il 14 ottobre del 1933, Edith Stein viene accolta nel monastero di Colonia e diviene suor Teresa Benedetta della Croce. I suoi superiori la incoraggiano a proseguire le sue ricerche, consapevoli dell’importanza dei suoi studi. Edith obbedisce e utilizza con grande concentrazione tutti i momenti che gli impegni della sua vita di carmelitana le lasciano liberi.
Con il passare del tempo, la vita degli ebrei in Germania diventa sempre più difficile. Edith segue gli avvenimenti, sa che prima o poi lei stessa ne sarà coinvolta. Giunge così il 2 agosto 1942.
Da alcuni anni Edith si trova nel convento di Echt in Olanda: le sue consorelle l’hanno trasferita lì, sperando che in Olanda i nazisti l’avrebbero lasciata in pace. Con lei c’è anche la sorella Rose, anche lei convertita. In quel periodo suor Teresa sta lavorando ad un’opera su San Giovanni della Croce, che, come molti altri suoi lavori, sarà pubblicata postuma con il titolo Scientia Crucis (la scienza della Croce). Approfondendo il pensiero del grande Santo e meditando sul mistero della Croce, Edith andava comprendendo sempre più di essere chiamata a far propria la sofferenza del popolo ebraico e decide di non fare nulla per sottrarsi al martirio, se questo si fosse presentato. Dice alle consorelle : “Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta”(cit. da Giovanni Paolo II nella Omelia per la canonizzazione di Edith Stein). Il 2 agosto la Gestapo si presenta al convento di Echt per prelevare “le signorine Stein”. Le due sorelle vengono dapprima condotte al campo di raccolta di Westerbork, da dove Edith riesce a mandare un messaggio alla priora di Echt: "Sono contenta di tutto. Una Scientia crucis si può acquistare solo se la Croce si sente pesare in tutta la sua gravezza. Di questo sono stata convinta fin dal primo momento, e ho detto di cuore: "Ave crux, spes unica" (cit. da L.B. Invernizzi, Edith Stein, sul sito www.alleanzacattolica.org)
Scrive Anna Maria Canopi, Madre Badessa del Monastero Mater Ecclesiae di Orta San Giulio: “Durante l'ignobile viaggio e poi all'arrivo nel lager fu come una benefica rugiada di consolazione per gli altri deportati. Ma il 9 agosto veniva già introdotta nella camera a gas del campo di sterminio di Auschwitz. Non fu una morte subita, ma accolta: un olocausto consumato nel fuoco dell'amore, unito al sacrificio redentore di Cristo. Se Edith Stein fosse vissuta a lungo e avesse scritto molte opere di filosofia e di mistica, non ci avrebbe lasciato un insegnamento più grande e più luminoso di questo.”
Teresa Benedetta della Croce è stata dichiarata beata il 1 maggio 1987 a Colonia e canonizzata il 9 agosto 1998 da Giovanni Paolo II, il quale l’ha anche proclamata patrona d’Europa, insieme a Santa Caterina da Siena e a Santa Brigida di Svezia.
(a cura di Antonella)
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Stabat Mater Laura de Dora Mochi
Sotto quel duro legno accasciata stavi,
hai creduto di morire per andare con Lui
o per troppa sofferenza?!
Ti sentivi strappata per Lui
o per l’uomo che non comprendeva?!
Attonita perché tutto era compiuto
giacevi senza forza,
ma dovevi essere ancora,
madre dei Suoi discepoli,
di chi lo avrebbe scelto,
lo avrebbe amato.