IL CIELO INCOMPIUTO di Antonella Presutti
C’è una dichiarazione di vita nelle poesie di un giovane affascinato da Pasolini.
Il verso si chiude in un frammento di vita.
In qualche modo il titolo della poesia che è anche titolo del libro contiene in sé l’eco di un destino, il finale incompleto di una vita stroncata prematuramente e tragicamente; sarà che per dare continuità alle cose, cerchiamo tracce nel passato, predizione di quello che accadrà, sarà che amiamo sentirci cartomanti che leggono il futuro, ma il cielo incompiuto ci restituisce l’idea di un orizzonte che si chiude dopo essersi aperto in tutte le sue luminose possibilità. Con questa immagine, che è titolo e sintesi, viene pubblicata la silloge delle liriche di Dominick Ferrante, punto conclusivo di un faticoso percorso di ricerca e di recupero di quanto Dominick aveva scritto nei suoi 28 anni (ma in realtà le ultime poesie raccolte arrivano ai 23 anni), percorso lineare e complesso: lineare come tutto ciò che ha un obiettivo chiaro e una finalità certa, complesso come ciò che pone domande di senso ed interrogativi su quella sottile linea d’ombra che corre tra rispetto e rispetto in assenza di una persona, quando si tratta di scegliere se mettere in comune con gli altri momenti privati, parole lasciate scivolare nella quotidianità di un lessico familiare o, piuttosto, affidare le stesse parole alla custodia personalissima di chi ha vissuto in prima persona quei momenti. “Il cielo incompiuto” non è soltanto una raccolta di poesie che ognuno attraverserà con la propria sensibilità, ma un punto fermo, non suscettibile di evoluzione, il verso che si chiude, parafrasando ancora Dominick in un frammento di vita che è anche frammento di mondo, come diceva Sylvia Plath e, nello stesso tempo, uno spiraglio che si apre verso il futuro.
Nelle poesie di un giovane affascinato da Pasolini, da Ginsberg, dai poeti maledetti francesi, troviamo innanzitutto una dichiarazione di vita, un affascinante affidarsi alle infinite possibilità che la vita ci offre e che, con rispetto, Dominick attraversa, lasciandosi incuriosire dal mondo, dalla sua infinita bellezza colta nella natura, nel silenzio notturno, nel lento dissolversi delle forme, ma anche nel dolore, nella lotta strenue e spesso perdente tra memoria e dimenticanza. Troviamo l’interesse per gli ultimi della terra, gli uomini dal passo lento, come li chiama Emily Dikinson, riscatto e dignità. Troviamo l’idea che nulla ci è estraneo, perché essere uomini obbliga a stare tra gli uomini, tra le cose con consapevolezza.
Troviamo, ed è forse uno degli elementi decisivi, la centralità della parola, la forza della parola in un mondo che sembra negarla, offuscarla in nome di una comunicazione distratta ed incompiuta. Tra le tante possibilità Dominick ha scelto la poesia con coerenza e dedizione, legando la sua breve vita ai versi e alle parole, la più completa delle strade, la più desituata dalle soluzioni e non è importante chiedersi cosa sarebbe diventato se la vita gli fosse stata più generosa, la sua opzione rimane chiara e appunto definitiva.
Scrivere è per lui una necessità assoluta, un bisogno incoercibile, scrivere è il modo per dare consistenza alle cose, agli stati d’animo, regalare tridimensionalità alle situazioni e Dominick lo sa bene che ogni situazione, ogni banale episodio di ordinaria quotidianità passa attraverso la forma del verso e si risciacqua di una vita sua propria e di una verginità assoluta. In questo modo scopriamo il significato delle parentesi di esistenza, il fascino di tutto ciò che ci scorre intorno senza destare una scheggia del nostro interesse. Se è vero, come è vero, che i giovani, a dispetto di una comunicazione simbolica e quasi aritmetica, amano la poesia e amano scrivere poesie, è altrettanto vero che l’amore non si traduce sempre in fedeltà. Per Dominick, invece, è stata una scelta mantenuta nel tempo. Dunque “Il cielo incompiuto” è la testimonianza forte dell’impegno civico e civile quotidiano che si esprime attraverso la lettura lucida del mondo, della sofferenza, della violenza, della guerra, della solidarietà, della possibilità di futuro diverso, disegnato, implorato e, il più delle volte, perso nel dolore che si rinnova.
Ad Agnone, nel luogo di vita della sua infanzia, nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno incompiuto, in posti e tempi simbolici ed evocativi, la presentazione del libro ha tenuto insieme, come intorno ad un centro gravitazionale le sensazioni e i ricordi di chi Dominick ha conosciuto e di chi lo ha incontrato attraverso le sue poesie e attraverso il filo rosso tessuto da Francesco Paolo Tanzj che ha legato sapientemente tutti gli interventi.
Il canto e il controcanto di Fabio Mastropietro e di Mari Correa ha dato ai versi di Dominick la forza di una preghiera laica, di un modo laico di affidare nelle mani e nel cuore degli altri le sue parole, lasciandosene inzuppare come dalle onde del mare, amato ed evocato di continuo, fino alla fine, fino alla morte. L’alternanza della interpretazione lirica e poetica, simbolica e letteraria di Valentino Campo ha restituito ai versi quella complessità che è rigore, ricerca, volontà di trovare una propria strada, una strada, come ha ricordato Gian Ruggero Manzoni intersecata dal paesaggio dell’animo, dal “genius loci”, che è memoria, ma anche, per così dire, cromosomica storia del proprio passato e del passato di una terra.
Se, come ricorda Marguerite Yourcenaur nelle “Memorie di Adriano”, ciò che resta a chi sopravvive alla definitiva perdita delle persone care consiste nel coltivare la memoria perché mai si offuschi e riviva moltiplicata per il tempo della lontananza, la forza, la perseveranza e il doloroso calvario che si illumina della ricerca di ogni momento della vita del figlio rimane il più grande lascito ed insegnamento di una madre, Elena, che ha reso compiuto ciò che era incompiuto.
La tua voce
Elena Salvatori (la mamma di Dominick)
Soffio caldo che sfuma
coi colori dell'estate
in tocco arcano
d'arpa lontana.
Lungo il viale verso casa,
non più suoni di ritorno, solo
fragranza di angeli in coro e,
tappeti di gelsomini appesi
come seni nudi di madri
in trepida attesa.
Vagan come ombre al crepuscolo
sagome di sogni svaniti,
inghiottiti.
Dal silenzio della sera
dalla notte del mistero
dolcemente,
al soffio del tempo,
si schiudono
echi di pensieri
per altri suoni
di eterne canzoni.