IO, SUORA ABUSATA, 17 ANNI DI SILENZIO. ORA AMATA
“Guariscimi, Signore, e guarirò,
salvami e sarò salvato,
poiché tu sei il mio vanto.
(…)
Non essere per me causa di spavento,
tu, mio solo rifugio nel giorno della sventura.
Siano confusi i miei avversari, non io,
si spaventino loto, non io.
Manda contro di loro il giorno della sventura,
distruggili due volte” (Ger, 17,14. 17-18)
Perché a me Signore?
Perché sono stato travolto da tanta e devastante tragedia, una catastrofe. Perché non sei intervenuto? Perché tutte queste prove e notti oscure?
Con quante tenebre, un bambino abusato, deve convivere per tanti anni?
Perché la tentazione della disperazione per un dolore insopportabile che genera vendetta?
Ne vale la pena vivere ancora?
Perché “le cose degli empi prosperano”? (Ger. 12,1).
Quante domande, dubbi, ansie, sudore, tremori e timori. L’abuso sessuale divora, distrugge con una lucida perversione. Una ferita eterna, duratura, per sempre. L’infanzia violata costituisce una ferita nell’identità e nella psiche, una lacerazione nel senso di sé, nell’autostima, nell’affettività, nelle relazione il cui dolore può propagarsi nell’intero arco di vita. Per sempre. Il non raccontare e ripiegarsi nel silenzio lacera di più la carne e l’intimità già straziata. Ma nella vita di questa bambina, Dio non si era mai ritirato da quella storia che lei non voleva vivere. Non è stato Dio a voler quel male. E Lui, il Signore, si è fatto incontrare nel volto di uomini e donne che si sono fatti carico del dolore e della sofferenza per accompagnarla alla guarigione. Un confessore, un padre spirituale, una Madre. Ricordo ancora, quella suora, che in estate venne a trovarmi. Vestita di bianco. Quanta preghiera e lunghi colloqui risananti: balsamo per quelle ferite, che lasciano cicatrici che si trasformano in perdono e non ricordi per la vendetta. Il perdono è l’azione interiore che non ci fa deporre mai le armi dell’Amore. L’Amore vero, autentico, che genera cose e vita nuova. Il perdono è sempre un evento personale, intimo. È frutto di un cammino, molto travagliato; il perdono è un dono e deve e può perdonare solo l’imperdonabile, perché abusare di un bambino è imperdonabile. Il perdono è interrompere la dinamica della reciprocità del male. Per quei bambini abusati, preghiamo. Per gli orchi e bestie (sono appellativi per descrivere la gravità degli atti degli autori di abuso) pregherò: ho avuto anche la grazia di comprenderlo e di offrire la mia vita per la conversione dei pedofili. Nella storia di questa bambina, ora suora, si coglie come un grande dono alla Chiesa e alla società (don Fortunato di Noto).
Avevo 9 anni, quando mi abusò. Violentemente. Ora sono una suora, da più di 25 anni. Consacrata. Sono entrata in comunità giovanissima, ma un giorno nacque in me il dubbio che forse il Signore non mi aveva chiamato alla vita consacrata, ma io mi ci ero rifugiata. Il Signore fin dall’eternità mi ha pensato e amato, sei tu, sei tu Signore che hai creato le mie viscere, mi hai tessuto nel seno di mia madre e mi hai fatto come un prodigio. Conosci i miei pensieri, alle spalle e di fronte mi circondi e la tua mano mi guida (cfr Sal 139).
Sono nata in una famiglia serena, sono l’ultima di tre figli e ho vissuto un’infanzia felice pur nella fatica di un lavoro quello di mio padre che non ci permetteva di avere una casa tutta nostra, vivevamo nella casa della nonna materna, ma non era la casa piccola che ci toglieva quella gioia di rapporti umani, il calore di genitori attenti ed affettuosi e l’amore dei nonni che non mancavano di riempirci di coccole. La gioia di giocare con gli amichetti che abitavano vicino casa, con i compagni di scuola. Ma un giorno, un giorno che sembrava essere uno come tanti altri, tutto per me cambiò. Poiché Dio nel suo grande amore ci ha fatto dono della libertà, dono unico e mistero grande, l’uomo ha la facoltà di scegliere cosa farne di essa.
Avevo 9 anni. Così quel giorno mi trovai a casa dei miei zii, quando lui si trasformò in un orco e così come per gioco abusò di me infrangendo attraverso il suo corpo, per un suo piacere disumano non solo la mia carne ma soprattutto la mia intimità, lacerando la mia dignità, facendomi sentire non più una persona, ma una cosa di cui lui si era potuto servire a suo piacimento. Mi ero anche addossata un’altra colpa che non era mia, quella di non aver fatto nulla perché tutto ciò non accadesse, ma in realtà i suoi gesti mi avevano resa incapace di reagire. Poi nel mio inconscio avevo impegnato tutte le mie forze per dimenticare.
Dopo diciassette anni di sofferenza inconscia, dove il voler a tutti i costi dimenticare aveva anche segnato negativamente la mia memoria, finalmente un giorno come per incanto mi ricordai di quella esperienza. Stavo vivendo un momento difficile in comunità e in confessione il sacerdote mi chiese se da piccola mi ero sentita amata, io invece mi ero sentita usata. Così senza volerlo mi ritrovai a raccontare quella esperienza. Da lì capii che qualcosa di veramente grave era avvenuto quella mattina, qualcosa che aveva anche influito negativamente sul mio rapporto con Dio. Iniziai un cammino tanto doloroso perché mi fece finalmente aprire la ferita, guardarla e curarla. Questa mi portò tra l’altro a dover affrontare una crisi esistenziale e vocazionale, mi tolsi l’anello che portavo al dito in segno di consacrazione al Signore anche perché mi ritrovai a capire che per me quel Dio a cui mi ero consacrata per me era stato sempre un usuraio. Ed un giorno guardando il Crocifisso trovai il coraggio di dirgli: Io ti odio, se tu sei così, ti odio.
Ma io pur nella grande sofferenza avevo capito che finalmente stavo ritrovando la verità di me stessa. Questa costava molto, ma ne valeva la pena, io finalmente potevo essere me stessa con la mia libertà anche di comprendere che la mia vocazione non era la Vita Religiosa. Questo pensiero mi faceva paura, ma ormai ero decisa volevo la verità, volevo ritrovare me stessa. E dopo la terribile notte, il sole sorse e il Signore mi fece comprendere che Lui mi amava, che mi aveva sempre amato che mai un momento mi aveva lasciata sola e che con mia immensa gioia, da sempre mi aveva chiamata a consacrare a Lui la mia piccola vita.
Grazie allo psicologo, era un sacerdote, grazie alla mia Madre Generale e qualche altra persona che mi è stata tanto vicina, ma soprattutto grazie al mio meraviglioso padre spirituale, ho iniziato una nuova vita. Una vita da persona con una libertà interiore, con la sua dignità di Figlia di Dio e con l’immensa gioia della certezza di essere stata chiamata fin dall’eternità a consacrare la mia vita a Cristo. Colui che ci ha chiamato alla libertà attraverso la sua verità (cfr Gv 8,32 ss), Colui che vuole che viviamo in pienezza di gioia e di vita (cfr Gv 10,10) e non come spesso gli orchi vogliono farci credere che dobbiamo sentirci colpevoli, mi ha permesso di rinascere. Perché la croce non è e non deve essere mai l’ultima parola, con il Signore siamo chiamati a risorgere. Se la sofferenza per ritrovare la nostra dignità e la nostra vita è grande non lo è di certo perché siamo colpevoli, ma perché espiamo il peccato dei nostri carnefici. A noi vittime di pedofilia, come al Signore, è data la grazia di stare sulla Croce da innocenti per espiare i peccati delle bestie. Io ho avuto anche la grazia di comprenderlo e di offrire la mia vita per la conversione dei pedofili.