Nennolina Dada
La TV ci passa quotidianamente immagini di guerra, di sofferenza, di sopportazione, di morti violente, dove molto spesso le vittime sono giovani vite. Purtroppo c’è sempre la malvagità umana che si rende responsabile di tanto dolore. Abbiamo negli occhi immagini di bimbi costretti al lavoro e schiavizzati, strumentalizzati; bimbi sbattuti e contesi tra genitori che hanno distrutto la famiglia. Minori che non godono più di una certa stabilità affettiva né di un ambiente sereno dove vivere, impossibilitati a crearsi degli interessi utili per la loro crescita affettiva e psicologica. Essi presentano col tempo, inevitabilmente, carenze di comunicazione, perché nella loro grande solitudine, si affezionano a oggetti quali il computer, la TV, oppure si legano a un cane, a un criceto, unici compagni delle loro lunghe giornate di povertà affettiva. Questi piccoli sono eternamente in attesa che un padre o una madre arrivino a casa la sera, sempre più stressati, nevrotici quando addirittura depressi e raccolgono le briciole di un calore umano debole, distratto, stanco. Questi poveri genitori diventano dei “robots”, schiavi della routine, tesi a sopravvivere in un mondo che diventa sempre più lontano dall’uomo, alienati e infelici. Le famiglie non esistono più e il dolore aumenta.
La nostra società è in mano al dolore, e non lo sa. Il dolore è un grande mistero, mistero inquietante che spiazza le nostre coscienze; tuttavia, nella storia dell’uomo, ci sono esempi di sofferenza accettata, direi “capita” e offerta, non soltanto fra i santi grandi, molti assai conosciuti, ma anche fra bambini e adolescenti meno noti. Proprio il dolore diventa in questi piccoli, intimità con Cristo e la sua Croce, perché Dio fa loro intuire che la via dell’Amore e della Speranza è il sacrificio. Il totale abbandono nelle braccia del Signore, qualunque cosa succeda, la fiducia nelle sue promesse, il forte desiderio di raggiungere il Regno, per fondersi in Dio, fa spesso di loro dei piccoli – grandi Santi, talvolta votati al martirio.
Allora non c’è più differenza fra un Santo adulto e un “piccolo” Santo e si capisce che la santità è una sola, senza distinzioni di sorta.
La piccola Santa di cui vi do qualche notizia è Antonietta Meo, cresciuta per sua fortuna in una famiglia degli anni ’30 del secolo scorso. Famiglia che fu un raro esempio di devozione al Signore e di grande religiosità vissuta in ogni impegno della vita quotidiana.
NENNOLINA
Antonietta Meo.
Lo Spirito Santo suscita delle anime, simili a lampade che non brillano di luce propria, ma di quella che Egli trasmette loro, per illuminarne altre immerse nella foschia del mondo.
(Mons Ernesto Cardarelli)
Nacque il 15 dicembre 1930 e morì il 7 luglio 1937. “Caro Gesù eucaristia, sono tanto, proprio tanto contenta che tu sei venuto nel mio cuore. Non partire più dal mio cuore resta sempre, sempre con me. Gesù, io ti amo tanto, io mi voglio abbandonare nelle tue braccia e fa di me quello che tu vuoi. O Gesù amoroso dammi anime, dammene tante!” Scrisse questa letterina al suo “caro Gesù” quando aveva da poco ricevuto la prima comunione e le era stato amputata una gamba. Non aveva ancora compiuto cinque anni quando i suoi notarono un rigonfiamento al ginocchio sinistro. Dopo qualche diagnosi e cure sbagliate giunse la sentenza: osteosarcoma. Antonietta, superato il primo periodo, nonostante l’intervento e le difficoltà provocate dall’apparecchio ortopedico, continuò la sua vita di sempre; e intanto prese l’abitudine di dettare delle letterine alla mamma: “Caro Gesù, io ti voglio tanto bene, te lo voglio ripetere che ti voglio tanto bene. Io ti dono il mio cuore. Cara Madonnina, tu sei tanto buona, prendi il mio cuore e portalo a Gesù”.
Ma quello che stupiva erano delle espressioni non comuni in una bambina di 5 anni: “Mio buon Gesù, dammi delle anime, dammene tante, te lo chiedo, te lo chiedo volentieri, te lo chiedo perché tu le faccia diventare buone e possano venire con te in Paradiso” E questo Antonietta lo ripeté continuamente. La notte di Natale, nonostante il dolore che le procurava l’apparecchio ortopedico, i presenti la videro alla fine della messa, i presenti la videro rimanere per più di un’ora in ginocchio, con le manine giunte in preghiera. A maggio ricevette la cresima. Erano gli ultimi giorni della sua vita. Si vedeva che soffriva, ma a tutti diceva: “Sto bene!”. E volle sempre recitare le sue solite preghierine del mattino e della sera. Chiese poi che il sacerdote le portasse la comunione tutti i giorni. E continuò a dettare le sue poesie: “Caro Gesù crocifisso, io ti voglio tanto bene e ti amo tanto! Io voglio stare con te sul Calvario. Caro Gesù, dì a Dio Padre che amo tanto anche lui. Caro Gesù, dammi tu la forza necessaria per sopportare questi dolori che ti offro per i peccatori”. A questo punto Antonietta fu presa da un violento attacco di tosse e di vomito ma appena cessato volle ugualmente continuare a dettare: Caro Gesù, dì allo Spirito Santo che m’illumini d’amore e mi riempia dei suoi sette doni. Caro Gesù, dì alla Madonnina che l’amo tanto e voglio starle vicina. Caro Gesù, ti voglio ripetere che ti amo tanto tanto. Mio buon Gesù, ti raccomando il mio padre spirituale e fagli le grazie necessarie. Caro Gesù, ti raccomando i miei genitori e Margherita. La tua bambina ti manda tanti baci…”. Venne a visitare Antonietta il professor Milani, archiatra pontificio, chiamato dal dottor Vecchi per il consulto. Il padre gli parlò delle letterine che Antonietta scriveva. Chiese di vederle e dopo aver letta l’ultima disse che voleva parlarne al Santo Padre e chiese il permesso di portare con sé la lettera. Il giorno seguente un’automobile del Vaticano si fermò davanti alla porta. Un delegato inviato personalmente dal Santo Padre PioXI venne a portare alla bambina la benedizione apostolica. Sua Santità era rimasto molto commosso nel leggere la letterina. “Mamma, stai allegra, sii contenta… Io uscirò da qui tra 10 giorni meno qualche cosa”. La madre non poteva sapere che in quel momento Antonietta le aveva detto esattamente il giorno e l’ora in cui sarebbe morta. Le chiese allora: “Antonietta, benedici la tua mamma…”. Facendo uno sforzo lei le segnò sulla fronte una crocetta son la mano”. E quando più tardi il sacerdote le disse che l’olio santo aumenta la grazia, Antonietta che ascoltava attentamente rispose: “Sì, lo voglio”. Baciò con tenerezza il crocifisso della sua prima comunione. All’alba del 3 luglio 1937 il papà le si avvicinò per aggiustarle ancora una volta cuscino e, accostatele le labbra per il bacio, Antonietta sussurrò: Gesù, Maria… mamma, papà… “Sorrise… poi un ultimo lungo respiro. L’indomani la piccola bara bianca fu trasportata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove appena sei anni prima Nennolina era stata battezzata. Era il 28 dicembre 1930. Il giorno dei Santi Innocenti.
Riduzione dal testo originale di Stefania Falasca – se ne raccomanda vivamente la lettura integrale.)
Cosa possiamo aggiungere? Solo questo: voglia il Signore Iddio donarci la saggezza e la forza di questa Sua piccola grande “lampada”, affinché possiamo anche noi accettare le nostre sofferenze, piccole o grandi, ed offrirle per la salvezza dei fratelli.