“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me, perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,20).
Nel ripensare alla Messa cui ho partecipato la domenica delle Palme, provo ancora una viva emozione. Il Parroco aveva organizzato un coro di belle voci, che diresse con grande maestria. Intanto il viceparroco celebrava la S. Messa, servito da una manciata di chierichetti. Mi guardavo intorno ascoltando le parole del celebrante, e pensavo che tutto avrebbe potuto essere come Gesù avrebbe voluto. I nostri sacerdoti ottennero, credo, ciò che Gesù lasciò detto. “… affinché siano una cosa sola”. Sì, ci sentivamo uniti da una fiamma comune, da quell’Amore che è pace, armonia, ordine e perfezione. Il merito fu molto dei nostri cari sacerdoti che seppero farci sentire “una sola cosa”, anche attraverso una liturgia essenziale, elegante, i cui canti erano una vera armonia che saliva al cielo. Pensai che la parola può essere veramente potenziamento e a anche complemento del pensiero e che, espressa in musica, poteva arrivare a Dio spontaneamente, perché Dio è armonia e perché noi, cantando, Gli parlavamo di Amore.
Ringraziai il Signore di quella grazia, data così in abbondanza, e di avere, quali ministri di Cristo, quei sacerdoti di fede provata e di tanta laboriosità feconda. Il momento dello scambio del segno della pace ci mosse ad abbracci e sorrisi pieni di speranza.
Tutto ciò mi fece riflettere sul ruolo importante che i sacerdoti ricoprono nella Chiesa e a quanta grazia ci elargisce il Signore nel metterli a nostra disposizione, quali ministri dispensatori di benedizioni e di sacramenti. Invocai a mia volta la benedizione di Dio su di loro e, insieme, il perdono per coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, talvolta attraverso peccati molto gravi. Dio abbia misericordia di tutto il popolo di Dio! In attesa di raggiungere la Gerusalemme celeste, teniamoci stretti, uniti e pieni di amore, per diventare in Cristo una cosa sola.
ROLANDO MARIA RIVI
Un giovane seminarista ucciso dai partigiani in odio alla fede.
Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 nella casa detta del Poggiolo a San Valentino, un piccolo borgo in provincia di Reggio Emilia. Quel giorno era a Reggio Emilia - e lo è oggi in tutta Italia – la festa del tricolore, vessillo che venne adottato per la prima volta nel 1797 proprio nel capoluogo emiliano quale stendardo della Repubblica Cispadana.
Rolando era un bambino sano ed esuberante, figlio di genitori molto pii.
Nel gennaio 1934 morì il parroco di S. Valentino don Iemmi e nel maggio dello stesso anno giunse come nuovo parroco, don Olindo Marzocchini, che aveva allora 46 anni.
Sacerdote zelante del suo ministero, divenne per il piccolo Rolando un fondamentale punto di riferimento.
Quando assisteva alla Messa, il piccolo non perdeva un gesto del sacerdote e seppure molto piccolo cominciò a fare il chierichetto.
Don Olindo era un prete vero: passava lunghe ore in preghiera davanti al Santissimo, curava meticolosamente il catechismo dei fanciulli, istruiva i chierichetti per il servizio all’altare e aveva messo su un coro per dare solennità alla liturgia. Fu anche attraverso di lui che Rolando imparò ad amare Gesù e a scoprire che abitava vivo nel tabernacolo.
Nell’ottobre del 1937 Rolando iniziò le scuole elementari.
La sua maestra, Clotilde Selmi, donna molto devota anch’essa, parlava spesso di Gesù ai bambini e sempre li invitava all’adorazione eucaristica.
Rolando partecipò in parrocchia al catechismo e fu ammesso a ricevere l’Eucaristia a giugno, perché era fra i fanciulli che si erano preparati meglio e più in fretta. Ne provò una grande gioia e il 16 giugno 1938, festa del Corpus Domini, ricevette per la prima volta Gesù.
Le testimonianze concordano sul fatto che dopo la prima Comunione Rolando era cambiato. Pur rimanendo un ragazzo vivace i familiari notarono in lui una maturazione profonda, che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima, il 24 giugno del 1940. Era solito accostarsi tutte le settimane alla Confessione e alzarsi prestissimo la mattina per servire la Messa e ricevere la Comunione, invitando anche i compagni a fare altrettanto: “Vieni – diceva loro – Gesù ci aspetta, Gesù ci vuole”. Riferiva che il sacerdote sull’altare, quando consacrava il pane e il vino, gli appariva grande da toccare il cielo.
Fu così che la chiamata al sacerdozio si fece via via più intensa, accompagnandolo per tutto il ciclo delle scuole elementari, fino a quando a 11 anni lo disse in casa: “Voglio farmi prete, per salvare tante persone. Poi partirò missionario per far conoscere Gesù lontano lontano.”.
Entrò nel seminario di Marola nell’autunno del 1942 e come si usava a quel tempo vestì subito l’abito talare. Ne era fiero e fu anche questo amore per l’abito talare a segnare la sua fine…
Nel periodo trascorso in seminario il ragazzo si distinse per diligenza, mantenendo sempre ferma la decisione di diventare sacerdote. Quando tornava a casa aiutava i genitori nei lavori in campagna e in chiesa suonava l’armonium, accompagnando il coro parrocchiale nel quale cantava anche suo padre.
Intanto la guerra si faceva via via più aspra, anche perché proprio in quelle zone, massiccia era la presenza di formazioni partigiane, formatesi dopo la caduta del fascismo e la tragica esperienza dell’8 settembre del 1943, che aveva portato all’occupazione da parte dei tedeschi della penisola.
A parte gruppi minoritari di cattolici democratici, le file partigiane erano composte da comunisti, socialisti, azionisti, tutti accomunati da una forte ideologia anticattolica. La frangia più estrema, quella comunista, non si limitava a combattere i tedeschi. Vedeva nel clero un pericoloso argine al proprio progetto rivoluzionario. L’anticlericalismo divenne violento e si fece via via più minaccioso.
Quando nel 1944 i tedeschi occuparono il seminario di Marola, tutti i ragazzi dovettero rientrare alle loro case. Rolando continuò a sentirsi seminarista: oltre a studiare, frequentava quotidianamente la Messa e la Comunione, recitava il rosario, pregava, faceva visita al Santissimo Sacramento. Nonostante fosse stato consigliato diversamente, non smise mai di portare il suo abito religioso: “Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”.
Un atto d’amore che pagherà con la vita.
Il 10 aprile, martedì dopo la domenica in Albis, al mattino presto, il ragazzo era già in chiesa: si celebrava la Messa cantata in onore di San Vincenzo Ferreri e Rolando vi partecipò, suonando l’organo. Uscito di chiesa, mentre i suoi genitori si recarono a lavorare nei campi, Rolando, con i libri sottobraccio, si diresse come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa. Indossava sempre la sua talare nera.
A mezzogiorno i suoi genitori l’attesero invano per pranzo. Preoccupati l’andarono a cercare. Tra i libri trovarono un biglietto: “Non cercatelo. Viene un momento con noi. I partigiani”.
Frattanto Rolando, trascinato via dai partigiani in un loro covo nella boscaglia, iniziava la sua “via crucis”. Venne spogliato della veste talare che li irritava, insultato, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato. Rimase per tre giorni nelle mani dei suoi aguzzini, ascoltando bestemmie contro Cristo, insulti contro la Chiesa e contro il sacerdozio. Secondo alcuni testimoni sarebbe stato frustato e avrebbe subito altre indicibili violenze. Tra i rapitori pare che qualcuno si commosse, proponendo di lasciarlo andare. Ma altri si rifiutarono, minacciando di morte chi aveva fatto la proposta del rilascio. Prevalse l’odio per la Chiesa, per il sacerdote, per l’abito che lo rappresenta e che quel ragazzino non si era mai voluto togliere. Decisero di ammazzarlo: “Avremo domani un prete di meno”.
Lo portarono, sanguinante, in un bosco presso Piane di Monchio (in provincia di Modena), dove c’era una fossa già scavata. Rolando capì che stava per morire, pianse chiedendo di essere risparmiato. Con un calcio lo scaraventarono a terra. Allora chiese di pregare un’ultima volta. Si inginocchiò, poi due scariche di rivoltella lo fecero rotolare nella buca. Venne coperto con poche palate di terra e foglie secche.
La veste del “pretino” divenne un pallone da calciare: poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Rolando aveva 14 anni e 3 mesi.
Per tre giorni i genitori e Don Camellini lo cercarono lungo tutto quel tratto del crinale appenninico, finché alcuni partigiani li indirizzarono a Piane del Monchio. Qui incontrarono un capo partigiano comunista, cui chiesero: “Dov’è il seminarista Rivi?” Quello rispose: “E’ stato ucciso qui, l’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo”. E indicò dove il giovanetto era stato sepolto il giorno prima.
Don Camilleri domandò ancora al partigiano: “Ha sofferto molto?”.
Quello mostrandogli la sua rivoltella, replicò beffardo: “Con questa non si soffre molto. Non si sbaglia”.
Era la sera di sabato 14 aprile 1945.
Raggiunto il posto dell’omicidio il sacerdote non fece fatica a recuperare il cadavere del ragazzo, con indosso solo una maglietta e un paio di calzoni sdruciti, legati al ginocchio. Aveva due ferite: una alla tempia sinistra e l’altra sulla spalla, in corrispondenza del cuore. Il volto sporco di terra, era coperto di lividi: il suo corpo martoriato.
Era notte ormai, sicché solo la mattina dopo, seconda domenica dopo Pasqua il corpo di Rolando fu portato in chiesa dove don Camellini celebrò la Messa per l’anima di Rolando. Alla presenza del padre Roberto e di Don Camellini, il parroco di Monchio scrisse in latino sul registro parrocchiale l’atto di morte e di sepoltura di Rolando.
“15 aprile 1945. Rivi Rolando, figlio di Roberto e di Cavoni Albertina, celibe, di San Valentino (Reggio Emilia), qui, per mano di uomini iniqui, a 14 anni di età, alle ore 19, in comunione con santa madre Chiesa, rese la sua anima a Dio. Il suo cadavere, oggi, fatte le esequie e celebrata la Messa, è stato sepolto nel cimitero parrocchiale”.
La chiesa accolse in silenzio e commozione il piccolo martire, ucciso in odio alla fede, la sua causa di canonizzazione ha dovuto attendere 60 anni, fino al 7 gennaio 2006.
Questa fede semplice di chi per essa era disposto a dare la vita, di chi in Cristo ci credeva davvero.
Era stato lui – è scritto in un libro distribuito in fondo alla chiesa dal “Comitato amici di Rolando Rivi” a preparare quel trionfo al figlio prediletto, a quel ragazzo aspirante al sacerdozio, caduto innocente sotto il piombo di uomini empi, come i ragazzi e i giovani cattolici martiri in Russia, in Messico e in Spagna, nelle recenti persecuzioni sotto l’odio massonico e comunista.
(Osserviamo un minuto di silenzio).
Rubrica a cura di Dada Prunotto