“Per materiale che sia il corpo, esso non è un oggetto come un altro qualunque. E’, prima di tutto, manifestazione umana di sentimenti, un mezzo di presenza tra gli altri, di comunicazione, di espressione estremamente variegata. Il corpo è una parola, un linguaggio: che meraviglia e quale rischio nello stesso tempo! Giovani, tenete in gran rispetto il vostro corpo e il corpo degli altri! Che i vostri gesti, i vostri sguardi, siano sempre riflesso della vostra anima!”
(Giovanni Paolo II – Viaggio in Francia – omelia – 4 giugno 1980)
Beata Carolina Kozka
Si è detto tante volte ormai che la fragilità della famiglia in quest’epoca storica di relativismo, crea ferite profonde al suo interno e che i primi a risentirne sono proprio i figli. Essi cercano sicurezza fuori casa, unendosi in gruppo e contrapponendolo alla famiglia, che non riconoscono più come fonte di riferimento sicuro. Data la sua fragilità, la famiglia non unisce più i suoi componenti, ma li disperde, li disgrega in un individualismo esasperato. Per i giovani il gruppo, dunque, acquisisce un peso sempre maggiore, offrendo ai ragazzi quella sicurezza, quella stabilità che in casa sentono mancare.
Ma il gruppo molto facilmente, anche sull’onda dei “media”, che riducono tutto a materia godibile, degenera e diventa branco. Un branco spregiudicato, senza punti di riferimento né valori. Tutto si può procurare senza fatica, anzi a solo scopo utilitaristico.
La persona non ha più dignità, diventa oggetto. Il sesso è un gioco. Vissuto in modo totalmente istintuale: vince il più forte. Ecco allora storie, ormai sempre più frequenti, di ragazzine dodici – tredicenni stuprate dal branco, di ragazzi coetanei o poco più grandi della loro vittima. Non si pensa alle conseguenze di atti così lesivi della dignità umana, si “consuma” e basta.
La bravata spesso si svolge in pubblico, tra spettatori cinici e indifferenti.
Le storie di piccole sante quali Maria Goretti, o la beata Kozka, morte martiri, per difendere la loro castità dall’aggressione di bruti, ci appaiono oggi quasi come una favola.
Come può essere cambiato il mondo così radicalmente in meno di un secolo?
Forse stiamo andando troppo di corsa, fino a perdere di vista la nostra anima? La lentezza del vivere lascia spazio alla riflessione, all’incontro con il trascendente, all’amore vero. Infatti l’amore necessita di tempo per essere riconosciuto ed applicato ad impreziosire le ore, di cui ha bisogno una vita di relazione. Oggi troppa è la fretta di consumare e troppa è l’avidità di avere tutto senza fatica. Basta la corazza di un gruppo unito nell’indifferenza e nell’alienazione, e una buona dose di superficialità e tutto si può fare. Stiamo giocando al massacro, alla distruzione di noi stessi.
BEATA CAROLINA KÒZKA
La storia del martirio per la difesa della purezza di S. Maria Goretti o della Beata Pierina Morosini in Italia, ebbe casi analoghi in altre parti del mondo cristiano; è il caso della Beata Carolina Kòzka in Polonia.
Nacque il 2 agosto 1898 a Wal - Ruda (Tarnòw), in una famiglia contadina, povera, umile e numerosa, ed è in questo ambiente rurale che matura la sua santità, frutto di quel tempo e della regione in cui visse. Ebbe la guida del suo Padre Spirituale Ladislao Mendrala, che la inserì nella vita attiva della parrocchia del villaggio.
Carolina insegnò catechismo ai suoi fratellini più piccoli e anche ai giovinetti delle case vicine.
Assisteva, insieme alla sua mamma, persone anziane e malati. Dunque la vita della piccola Kòzka era quella comune, ma preziosa, di una qualsiasi famiglia cattolica di campagna, nella Polonia di quel tempo. Il carattere della ragazzina era vivace e allegro, pur nelle difficoltà del vivere quotidiano.
All’inizio della Prima Guerra Mondiale (1914), truppe russe invadono il suolo polacco. A Tàrnow, come in tanti altri luoghi, la situazione dei suoi abitanti si fa molto precaria. A partire dal 13 novembre (sei mesi dopo aver ricevuto la Cresima), Carolina inizia una novena, ricevendo quotidianamente la S. Comunione.
Il 18, nottetempo, entra in casa Kòzka, di prepotenza, un soldato russo, mezzo ubriaco, che obbliga il padre e la piccola Carolina, a seguirlo. Una volta arrivati in un bosco, il soldato chiede al Kòzka di tornarsene al paese, ma di lasciare la ragazzina. Al rifiuto del padre, la piccola tenta di scappare, ma il soldato la insegue. Raggiunta cerca disperatamente di difendersi, opponendosi come può. Carolina viene picchiata e ferita a morte. Morirà dissanguata. Il 4 dicembre, nella boscaglia, fra mucchi di fogliame, viene rinvenuto il corpo ferito e mutilato della piccola Carolina. Il suo martirio suscitò molto scalpore fra gli abitanti di tutta la regione e il 18 giugno 1916, vicino alla Chiesa di Zabawa, fu benedetto un monumento a suo ricordo. Nel luogo del delitto nel bosco, fu collocata invece una croce. Fu beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 10 giugno 1987 a Tarnòw in Polonia.
Emblema: PALMA
MARTIROLOGIO ROMANO: nel villaggio di Wal – Ruda in Polonia, beata Carolina Kòzka, vergine e martire, che, durante la guerra, morì per Cristo ancora adolescente trafitta con la spada per aver voluto difendere da un soldato la sua castità.
Dada
Facciamo un momento di silenzio.