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MAGGIO 2011

     

Occhio agli estremisti   di Magdi Cristiano Allam (Ricerca a cura di Barbara)

 

I dirigenti americani ed europei non sembrano rendersi conto che nei Paesi nordafricani rischiano di prendere il potere regimi teocratici. Il ruolo dei militari, affamati di privilegi. Nella guerra esplosa in Libia e che vede l'Italia in prima linea l'unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni che l'hanno scatenata e dei suoi ipotetici sviluppi regionali e internazionali, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica. Un esito che è esattamente l'opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d'ordine «libertà» e «democrazia».

Nel suo intervento dopo l'inizio dei bombardamenti aerei e missilistici francesi, americani e britannici, Gheddafi ne ha attribuito la responsabilità ai «Paesi cristiani» e ha denunciato la «nuova crociata contro l'islam». Contemporaneamente i suoi nemici interni hanno esultato per l'operazione ribattezzata «Odissea all'alba» scatenata dalla sedicente «Coalizione dei volenterosi», brandendo i kalashnikov e inneggiando «Allah Akhbar», Dio è grande. Al di là che ci credano veramente o lo facciano strumentalmente, l'islam emerge come il riferimento ideologico che ispira sia la reazione di Gheddafi per salvare il proprio potere, sia l'azione dei ribelli tesa a rovesciare il regime libico.

Sempre nelle scorse ore in Egitto il referendum popolare ha registrato la schiacciante vittoria dell'asse tra il regime militare espresso dal Partito nazional-democratico e i Fratelli musulmani, concordi nell'emendare l'attuale Costituzione per favorire il contenimento dei poteri del capo dello Stato e la crescita del ruolo dei partiti dell'opposizione e specificatamente dei Fratelli musulmani, ma soprattutto d'accordo nel non mettere in discussione l'articolo due della Costituzione che recita: «L'islam è la religione dello Stato, l'arabo è la sua lingua ufficiale, la sharia è la fonte principale della sua legislazione». Per contro è stato pesantemente sconfitto il «popolo della rivolta» che ha infiammato l'animo degli occidentali facendoci illudere che con l'allontanamento del presidente Mubarak fosse scoccata l'ora della democrazia e della libertà.  Coloro che ritraggono il regime militare egiziano e il deposto presidente Mubarak come espressione di una laicità corrispondente alla separazione tra la sfera secolare e quella religiosa, ignorano che il loro potere si fonda su una Costituzione che è l'anticamera della teocrazia.

Non sorprende affatto che oggi i militari vadano a braccetto con i Fratelli Musulmani pur di salvare il proprio potere e perpetuare i propri privilegi. Il potere in Egitto da 7mila anni è stato fortemente centralizzato per la necessità vitale di garantire il controllo della gestione dell'acqua del Nilo, senza cui verrebbe messa a repentaglio la vita degli egiziani. Egoisticamente noi europei possiamo considerarci rassicurati da un potere centralizzato forte che garantisce i nostri interessi materiali. Finora ci è andata bene perché tra i militari e gli integralisti islamici, hanno prevalso i primi. Ma il rischio che prossimamente prevalgano i fautori della dittatura teocratica è sempre più consistente.

Ciò non significa che nell'eventualità che delle dittature teocratiche prendano il sopravvento dal Marocco all'Irak noi italiani ed europei non potremmo più fare affidamento sulle forniture di petrolio e gas, sui loro fondi sovrani o sull'accesso ai loro mercati. Ma significa che per poter beneficare di questi beni materiali dovremo essere pronti ad aprire le nostre porte all'ideologia del radicalismo islamico, acconsentendo che i nostri figli subiscano il lavaggio di cervello di chi predica la sottomissione al Corano e a Maometto. È ciò che con modalità diverse stanno facendo da decenni l'Arabia Saudita e l'Iran degli ayatollah. Ed è lo scenario che si prospetta sia in Egitto sia in Tunisia, dove i Fratelli musulmani e i loro omonimi di Ennahda hanno già sottoscritto un accordo con i militari che consta di due punti: 1). I militari manterranno la guida dello Stato e controlleranno la Difesa, la Sicurezza e la Politica estera. 2). Gli integralisti islamici saranno riconosciuti come la principale forza dell'opposizione e avranno mano libera nei dicasteri chiave di Affari religiosi, Magistratura e Istruzione. Sulla base di questo accordo gli integralisti islamici non presenteranno un loro candidato alle prossime elezioni presidenziali e in cambio i militari garantiranno il regolare svolgimento delle prossime elezioni legislative senza ostacolare l'eventuale trionfo dei candidati islamici. Su questa falsariga potrebbe delinearsi il dopo-Gheddafi in Libia, ma anche il futuro degli altri Paesi arabi in preda ai sommovimenti interni.

Obama, Sarkozy, Merkel, Cameron e Berlusconi sono consapevoli che questa campagna militare, preannunciata a Parigi dal «Vertice per il sostegno al popolo libico», si risolverà con l'avvento al potere non di democrazie laiche e liberali ma bensì di regimi islamici, dove il ruolo dei militari sarà sempre più vacillante, che tenteranno di sottomettere anche noi alla legge coranica? E a noi italiani ed europei ci starà bene svendere la nostra anima pur di avere in cambio i beni materiali che ci permetteranno di continuare ad accumulare ricchezza per poter consumare sempre di più?

IL GIORNALE   lunedì 21 marzo 2011

 

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Non difendo Gheddafi e la sua dittatura, ma come mai nessuno fugge dalla Libia?

I proventi del petrolio Gheddafi li ha usati per strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo, due acquedotti; inoltre ha mandato le bambine a scuola e le ragazze all'università, ha abolito la poligamia e varato leggi in favore della donna (ad esempio ha proibito di tener chiuse le ragazze e le donne in casa)

di Piero Gheddo

 

L'Occidente si è schierato con gli avversari di Muhammar al Gheddafi, che dovrà scegliere se morire nella Tripoli ridotta a macerie o accettare l'esilio in un Paese amico. E' un dato di fatto ed è superfluo richiamare quanto ha detto più volte il Papa. Ancora ieri, 27 marzo, dopo l'Angelus, Benedetto XVI ha detto: "Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, cresce la mia trepidazione per l'incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall'uso delle armi. Nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l'esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l'azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature. In questa prospettiva, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell'intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l'immediato avvio di un dialogo, che sospenda l'uso delle armi".

Il vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli (AsiaNews.it, 25 marzo) aggiunge: "La guerra poteva essere evitata. Qualche giorno prima che Sarkozy decidesse di bombardare, si erano aperti spiragli veri di mediazione. Ma le bombe hanno compromesso tutto".

Dittatore dal 1969, all'inizio Gheddafi ha seguito una linea anti-occidentale e anti-italiana, fino a finanziare il terrorismo di matrice islamica, le moschee e madrasse islamiche d'ispirazione estremista in tutto il mondo. Ha espulso dalla Libia i 25 mila italiani e altri stranieri che tenevano in piedi l'economia e i servizi pubblici, riducendo il suo popolo alla miseria. Nel 1986, Reagan bombardò le sei tende, all'interno di caserme, in una delle quali viveva il premier libico, che scampò per miracolo.

Isolato fra Egitto e Tunisia filo-occidentali, capì che la linea rivoluzionaria era fallimentare, a poco a poco ha cambiato politica: ha continuato a fare discorsi rivoluzionari e anti-occidentali, ma in pratica, specie dopo che nel 1998 venne tolto l'embargo economico e nel 2004 l'embargo sulla vendita di armi alla Libia, ha  iniziato un cammino di avvicinamento all'Occidente e, quel che più importa, di faticosa educazione del suo popolo con la scuola e al rispetto dei diritti dell'uomo e della donna.

Sono stato in Libia nel 2007 e sono rimasto in contatto con amici. I proventi del petrolio Gheddafi li ha usati per sviluppare il Paese: strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo con l'acqua tirata su nel deserto ad una profondità di 600-800-1.000 metri! Due acquedotti (costruiti dai sudcoreani) portano l'acqua dal deserto alla costa, 900 km. a nord.

Il regime di Gheddafi è sostenuto dalle tribù della Tripolitania, combattuto da quelle della Cirenaica, la regione che si è ribellata e facilmente ha conquistato il potere a Bengasi e in altre città. Una rivalità tradizionale che già aveva creato problemi al tempo della colonizzazione italiana. La recente rivolta non è stata causata dalla miseria, come quelle di Egitto e Tunisia, infatti fino ad oggi, molti i profughi dai paesi del Maghreb, nessun libico è fuggito dalla Libia: segno che la gente non stava proprio male. La rivolta è guidata da rivalità tribali (le tribù si chiamano "kabile") e poi dall'oppressione di una dittatura che non lascia spazi di crescita politica e di coinvolgimento popolare nella guida del paese. 

Ma non possiamo dimenticare quel che il dittatore ha fatto: ha mandato le bambine a scuola e le ragazze all'università, ha abolito la poligamia e varato leggi in favore della donna anche nel matrimonio: ad esempio ha proibito di tener chiuse le ragazze e le donne in casa e nel cortile cintato di casa. Soprattutto, ha controllato e tenuto a freno l'estremismo islamico. Un comitato di saggi islamici a Tripoli preparava in anticipo il testo dell'insegnamento religioso del venerdì, lo mandava a tutte le moschee del Paese; l'imam doveva leggere quel testo senza aggiungere né togliere nulla, pena la perdita del posto.

In Libia, finora, c'è libertà religiosa. I 100 mila cristiani (nessun libico, tutti stranieri in maggioranza lavoratori copti egiziani), pur con molti limiti, godono di libertà di culto e di riunione. La Caritas libica è un organismo stimato e richiesto di interventi. Due fatti eccezionali. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo suore italiane per i suoi ospedali. Costruiva ospedali e dispensari, ma non aveva ancora infermiere libiche. La richiesta veniva dal buon esempio delle due francescane infermiere italiane che hanno assistito il padre di Gheddafi fino alla morte. Oggi in Libia ci sono circa 80 suore cattoliche (soprattutto indiane e filippine, ma anche italiane) e 10.000 infermiere cattoliche filippine e indiane, oltre a molti medici filippini, indiani, libanesi, italiani. Il vescovo Martinelli mi diceva: "La presenza di queste giovani donne cristiane, professionalmente preparate, gentili, attente alle necessità del malato che curano con amore, stanno cambiando l'immagine del cristianesimo fra i musulmani". In nessun Paese islamico tutto questo è permesso.

Secondo fatto. Sono stato nel deserto a 900-1000 km. da Tripoli, dove sta fiorendo una regione ex-desertica per l'acqua tirata su dalle profondità della terra. Un lago di 35 km. di lunghezza e campagne coltivate e cittadine, dove 20 anni fa non c'era nulla. La città di Sebha capitale della regione ha 80 mila abitanti, dove vive un sacerdote medico italiano, don Giovanni Bressan (di Padova) che è stato uno dei fondatori dell'ospedale centrale. Don Bressan ha riunito i molti africani profughi dai paesi a sud del deserto (Nigeria, Camerun, Ciad, ecc.) fondando per essi una parrocchia, una scuola, un centro di riunioni e di gioco. Gli africani lavorano e sono pagati, per tre o più anni rimangono nel sud, poi hanno soldi a sufficienza per tentare il passaggio in Italia! Fanno tutti i lavori e sono ammirati perché lavoratori onesti e forti. Don Vanni (Giovanni) riesce a fermare alcune famiglie, le altre vogliono venire in Italia, in Europa. Il cammino della Libia verso la piena integrazione nel mondo moderno e nella Carta dei diritti dell'uomo e della donna, era cominciato. Non difendo Gheddafi e la sua dittatura, ma mi pare giusto testimoniare anche aspetti del suo operato, del tutto ignorati in questi giorni.

Il 26 marzo scorso Magdi Cristiano Allam ha scritto su "Il Giornale": "Nella guerra esplosa in Libia e che vede l'Italia in prima linea, l'unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni di chi l'ha scatenata, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica. Un esito che è esattamente l'opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d'ordine 'libertà' e 'democrazia'".

 

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