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GIUGNO 2010

     

La guerra è brutta anche dopo:  Come muoiono i soldati (ricerca a cura di Barbara)

Time: "In Afghanistan più soldati Usa morti suicidi di quelli caduti in azione"

 

La prestigiosa rivista Time si chiede: ‘’L’esercito americano sta perdendo la guerra coi suicidi?’. Dall’invasione dell’Afghanistan sino all’estate scorsa, l’esercito americano ha avuto 761 uomini caduti in combattimento, nello stesso periodo 817 militari si sono tolti la vita. Un fenomeno in costante aumento negli ultimi cinque anni. E' dimostrato un nesso tra il numero delle missioni svolte dal singolo soldati e il numero dei suicidi

Washington, 14 aprile 2010 - ‘’L’esercito americano sta perdendo la guerra ai suicidi?’’, è la terribile domanda- denuncia della rivista Usa 'Time'. E i dati sono chiari: dall’invasione dell’Afghanistan sino all’estate scorsa, l’esercito americano ha avuto 761 uomini caduti in combattimento. Nello stesso periodo, 817 militari hanno perso la vita suicidandosi.

Il fenomeno dei casi di militari che la fanno finita, in costante aumento negli ultimi cinque anni, e’ diventato il problema piu’ grave che si trovano ad affrontare i vertici delle Forze Armate Usa. Le cifre dimostrano che una soluzione ancora non e’ stata trovata, nonostante abbiano investito milioni di dollari e assunto centinaia di esperti di salute mentale, psicologi e psichiatri.

Secondo Time, al di la’ degli sforzi sul piano medico, il problema e’ legato all’impiego dei soldati in combattimento. Nuove ricerche hanno infatti dimostrato il nesso molto forte tra il numero delle missioni svolte dal singolo soldati e il numero dei suicidi. Combattimenti ripetuti nel tempo fanno aumentare il rischio di crisi che possono portare a decisioni drammatiche.

L’unico modo per mettere a freno questo fenomeno sembra essere quindi quello di aumentare le licenze, i giorni passati a casa lontano dal fronte. Ma il solo modo per ottenere questo risultato, osserva ‘Time’ e’ aumentare il numero dei soldati da inviare al fronte o ridurre il numero delle missioni di guerra.

Decisioni che ovviamente prevedono cambi di strategia dell’intero sforzo bellico in Afghanistan, difficili da immaginare, soprattutto alla vigilia dell’annunciata offensiva estiva nella provincia dell’Helmand

 

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UN DOLORE VERO PER RIDARE FIDUCIA Messori Vittorio  cds 19/4/10

 

            Nessuno si aspetta che il Ministro da cui dipendono i Convitti Nazionali incontri gli «abusati» da qualche insegnante o inserviente, esprimendo «dolore e vergogna». Altrettanto vale per gli armatori di navi, dove la sorte dei minori imbarcati è nota a tutti. Né esprimono pubblica contrizione i responsabili dello sport giovanile, dove spogliatoi e docce attraggono, com'è risaputo, anche una fauna di adulti ben prevedibile. La pedofilia (o pederastia che sia, il limite di età è incerto e varia a seconda di gusti e culture) è presente da sempre, ovunque ci siano uomini e donne. E, spesso, è presente in modo non clandestino, è addirittura lodata e raccomandata da filosofi, come avvenne nell'antica Grecia e com'è avvenuto nel Sessantotto europeo e americano. Il leader dei Verdi all'Europarlamento, Daniel Cohn-Bendit, il già carismatico capo della contestazione, si è vantato di avere non solo raccomandato ma praticato il sesso con i minori quando era insegnante. Mario Mieli, ideologo e iniziatore del movimento omosessuale in Italia, in un' opera di culto stampata dall'allora austera Einaudi, considerava «opera redentiva» per entrambi il sesso tra un adulto e un giovanissimo. Sartre, la de Beauvoir, Foucault, Jack Lang, il futuro ministro francese, firmarono con altri intellettuali un famoso manifesto dove - in nome della «liberazione sessuale» - esigevano la depenalizzazione dei rapporti con minori, bambini compresi. In quei «maestri» riviveva una lunga tradizione europea. Il filosofo venerato dai giacobini, a partire da Robespierre, e dalla maggioranza dell'élite rivoluzionaria, non era certo il blasfemo Voltaire bensì l'edificante Jean Jacques Rousseau, apostolo della educazione infantile. In tutti i sensi, visto che scrisse compiaciuto di avere comprato a Venezia una bambina di 10 anni, che seppe liberarlo dalla depressione. Eppure, malgrado i pulpiti da cui vengono tante prediche siano risibili; malgrado sia impenetrabile il silenzio di coloro che rappresentano ambiti ampiamente coinvolti; malgrado questo, Benedetto XVI continua a voler mostrare che la Chiesa «è differente», sino a umiliarsi personalmente. A Malta ha ripetuto quanto già aveva fatto in Australia e negli Stati Uniti: incontrare alcuni di coloro che furono vittime, spesso decenni fa, delle attenzioni di religiosi «educatori». Come ha fatto nella drammatica, commovente, lettera aperta ai cattolici d'Irlanda, rifiuta di fare appello alle circostanze attenuanti o di puntare il dito su altri ricordando, come pur potrebbe, che molti giudici di oggi farebbero meglio a tacere. Il fatto è che papa Ratzinger è del tutto consapevole che il peccato dei sacerdoti del Cristo non ha soltanto conseguenze canoniche e penali, ma ha echi metafisici. Nella prospettiva evangelica, il volto dei piccoli è quello stesso di Dio; chi dà scandalo, qui, meglio farebbe a mettersi al collo una macina da mulino e a gettarsi in un pozzo. Parola, terribile, di Vangelo. Il Papa sa con quale fiducia non solo i genitori cattolici ma, spesso, anche quelli di altre fedi e convinzioni, affidassero i figli alle istituzioni ecclesiali, ispirate all'ideale evangelico. Il tradimento di quelle attese gli pare intollerabile. Così mostra che la Chiesa, anche nella caduta, non è un luogo come altri: è un ambito dove, nell'istituzione, il peccato è presente. Ma la colpa, qui, è assai più grave che ovunque altrove, perché l'ideale è il più alto, i doveri i più pressanti, il Maestro il più esigente. Il dolore e la vergogna di cui parla vengono da autentica sofferenza, non sono certo melodramma ipocrita. Eppure, per il paradosso evangelico, la sua umiliazione non ne sminuirà ma ne accrescerà la credibilità di guida e garante della cristianità.

 

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RU 486: RAGIONI PER NON USARLA  Gabriele Soliani

 

La pillola abortiva Ru 486 non è un "farmaco", nè tantomeno "importante per il progresso scientifico", nè "fondamentale per la tutela della donna".

Gli studi sull’applicazione della sostanza chimica, pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine, sono stati condotti in Francia, Stati Uniti e Cina. In quest’ultimo Paese il “mifepristone”  (il principio attivo della RU 486), che contrasta l’azione dell’ormone della gravidanza, (il progesterone), è usato da almeno 15 anni. Nel 2000 si sono verificati 7 milioni di aborti chimici, ma la pillola abortiva è stata ritirata, e le donne sono obbligate ad assumerla durante il ricovero in ospedale. La Cina non si pone "problemi etici", ma è giunta alla decisione dopo diversi casi di morte, dovuti a shock settico (un’infezione dovuta ad un batterio il Clostridium sordellii). Ne parlano anche studi californiani e svedesi. Sembra che il mifepristone alteri il sistema immunitario della donna, determinando uno specifico deficit immunitario; quindi l’infezione non è provocata dal prodotto abortivo in utero, né si verifica uno shock anafilattico da allergia.

Il grave pericolo è dunque uno shock settico fulminante, senza evidenti segni premonitori.

Negli Stati Uniti l’uso della Ru 486 sta diminuendo,  e viene assunta dal 3-5% delle donne, proprio per motivi precauzionali e per le controindicazioni.

Quindi non solo si interrompe l’esistenza dell’embrione umano, ma si mette a rischio anche quella della madre.

Occorre dire che per qualsiasi altro prodotto farmaceutico le procedure sono molto severe, e solo il minimo dubbio di effetti collaterali pericolosi ne impedisce l’uso. Perché non è così per la pillola abortiva RU 486 ?

 

 

                                                

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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