LA SACRALITÀ DELLA VITA
L’inizio di questo nuovo anno ha visto e continua a vedere molte persone, laiche e cattoliche, impegnate in un dibattito che riguarda quella che il Papa, nel discorso di alcuni giorni fa, ha chiamato “la sacralità della vita” e in particolare il problema, tristissimo ma purtroppo sempre attuale, dell’aborto. Come molti di voi certamente sanno, negli ultimi giorni del 2007, un noto giornalista - non credente, ma molto attento a tutti i problemi che riguardano la vita - ha rilanciato la discussione sul tema dell’aborto con una iniziativa particolare che ha suscitato consensi ma anche polemiche: prendendo spunto dalla moratoria della pena di morte, stabilita dall’ONU su iniziativa dell’Italia e della Comunità di Sant’Egidio che aveva raccolto in tutto il mondo ben cinque milioni di firme, Giuliano Ferrara ha proposto che una simile moratoria sia applicata anche all’aborto: dunque, come in tutto il mondo vengono da questo momento sospese tutte le esecuzioni capitali, cosi anche si invita a sospendere la pratica dell’aborto. I rappresentanti delle nazioni che fanno parte dell’ONU, si sono trovati d’accordo sul fatto che la pena di morte è un omicidio di stato ed è un male in sé, qualunque sia il motivo per cui viene eseguita: ebbene, impedire che nascano (=abortire, cioè uccidere) milioni di bambini mentre ancora si trovano in quello che dovrebbe essere un riparo sicuro (=il ventre materno) che altro è se non una pena di morte eseguita nei confronti di chi è sicuramente innocente? Giuliano Ferrara, in nome del diritto alla vita che appartiene a tutti gli esseri umani, chiede che si sospenda per quanto possibile la pratica dell’aborto. L’iniziativa di questo noto giornalista, è stata oggetto di discussioni animate: molte organizzazioni (il Movimento per la vita, il Forum delle Famiglie, l’Associazione Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi recentemente scomparso, l’associazione Famiglie Nuove appartenente al movimento dei Focolari ecc.) hanno aderito alla sua petizione; moltissime persone hanno manifestato e continuano a manifestare la loro personale adesione inviando lettere, a volte molto toccanti, al giornale che Ferrara dirige: chi, come noi, ritiene che l’aborto sia il più orrendo dei crimini (pur nella consapevolezza che molte donne vi ricorrono per disperazione, per non saper come affrontare la gravidanza inaspettata, per essere state lasciate sole,) non può non rallegrarsi per il fatto che se ne torni a parlare e che siano numerosi i non credenti che mettono seriamente in discussione il cosiddetto diritto di abortire con motivazioni legate alla ragione e non alla fede.
Molti sono stati anche coloro che non solo si sono dissociati dalla richiesta di moratoria, ma hanno anche attaccato duramente il giornalista e tutti coloro che lo sostengono, accusandoli di voler stravolgere e magari abrogare la legge 194. A questo proposito, è necessario fare chiarezza: su questa legge, sui suoi scopi, sul modo con cui viene applicata, sulla necessità o meno di modificarla.
La legge 194 “Sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”è stata approvata in Italia nel 1978( trent’anni fa). Pur consentendo l’aborto, la 194 stabilisce all’art. 1 che “lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”. All’Art. 2 indica i compiti dei consultori familiari pubblici che devono fornire alla donna che chiede di interrompere la gravidanza, tutte le informazioni che possono aiutarla a superare i problemi che la spingono a prendere questa decisione e stabilisce che essi “possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
L’art. 4 della legge dice: “Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.” Prima di rilasciare il certificato che consente l’aborto, il medico dovrebbe “esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, … le possibili soluzioni dei problemi proposti, aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.”(art. 5). Dopo i 90 giorni, (art. 6) l’aborto è consentito solo quando vi sia “a) un grave pericolo per la vita” o “b)per la salute fisica e psichica della donna”: fra i motivi che possono determinare pericolo per la salute psichica della donna, sono contemplati anche eventuali gravi patologie o malformazioni del nascituro. Più avanti (art. 7) la legge prevede che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a dell'articolo 6 (e cioè in caso di grave pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. Queste le linee essenziali della legge 194.
Il fatto è che oggi in Italia con questa legge si ottiene, praticamente senza problemi, se non quelli legati alle lungaggini e alle lentezze del nostro sistema sanitario nazionale, l’interruzione di gravidanza, ma solo in pochissime strutture (vedi ad es. la clinica Mangiagalli di Milano) si forniscono alle donne quegli aiuti, psicologici e/o economico-sociali, che possono aiutarla a rinunciare all’aborto e molto spesso non si consente ai volontari dei CAV (Centri di aiuto alla vita) o di altre associazioni di intervenire. La legge, quindi, non viene sostanzialmente applicata nelle parti in cui stabilisce che lo stato deve provvedere a fornire alla donna le informazioni e gli aiuti che possono sostenerla nel difficile momento che sta vivendo. Quello per cui è dunque necessario battersi, è almeno questo: che la legge sia correttamente applicata in tutte le sue parti, in modo che sia veramente una legge sulla tutela sociale della maternità.
Vi è inoltre un altro aspetto da tenere presente. I progressi che la medicina ha fatto da trent’anni a questa parte, consentono la sopravvivenza di bambini molto prematuri, di bambini cioè venuti al mondo anche alla ventiduesima settimana di gestazione, mentre fino a non molto tempo fa, avevano qualche possibilità di sopravvivenza solo i bimbi nati alla ventiquattresima settimana. La legge non stabilisce un limite di tempo per il cosiddetto aborto terapeutico, ma negli ospedali oggi si rispetta di solito il limite della ventiquattresima settimana. Alla luce dei progressi della medicina, questa prassi andrebbe modificata, consentendo l’aborto non oltre la ventiduesima settimana, in modo da rispettare la legge che prevede che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a dell'articolo 6 (e cioè in caso di grave pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.
Se adeguatamente sostenuta da coloro che (per motivi legati alla fede che professano, ma anche semplicemente alla luce dell’umana ragione) non possono accettare che vengano privati della vita milioni di esseri umani e da coloro che hanno a cuore la sofferenza delle madri che si vedono loro malgrado costrette a rinunciare a mettere al mondo i loro bambini, l’iniziativa promossa da Ferrara può servire ad ottenere almeno questo: una totale applicazione della legge ed una sua revisione in quelle parti che riguardano i limiti temporali dell’aborto terapeutico.
Antonella