Arte intemporale
Mietta Benassi
Da tempo si va per Mostre e Castelli alla scoperta della bellezza. Oggi si aggiunge una doppia opportunità: si va al ristorante.
E’ il caso di “Marsupino” a Briaglia, nelle Langhe monregalesi; che ha scelto le opere di Dada Prunotto per offrire ai suoi ospiti, oltre alle prelibatezze della cucina, la visuale delle fantasie di questa nota pittrice nonché poetessa.
Sperimentale e bizzarra (l’ultima sua pubblicazione di poesie aveva per titolo “Tango per il mio gatto”) ci sorprende anche questa volta con una serie di opere di indiscussa originalità, ma sempre ben distanti da lepidi “concetti” più o meno spaziali e dalle tronfie installazioni di un’arte ormai anch’essa arrivata… “al tempo della crisi”.
Quella di Dada Prunotto è invece una libertà di linguaggio che la mette in gioco, in quanto è lei stessa il suo primo spettatore e suo testimone.
Arte contemporanea? Sì, certo: l’arte è sempre contemporanea, così come è sempre moderna, nel tempo in cui gli artisti operano. Nessuno, se non il falsario, ha la bravura tecnica di dipingere opere d’altri tempi riuscendo anche – e non poche volte – a farla franca con i grandi esperti.
L’ispirazione che muove Dada è tanto intemporale in quanto reinventa una utopia tutta interiore, tesa a stabilire un colloquio poetico col sacro.
Qualcuno ha definito la sua, “arte povera”: niente di più falso. Questa volta Dada ha lasciato pennelli, bianche tele preparate per l’uso, tubetti di colore e i vari oggetti della professione, per operare con altri materiali di primissima qualità, provenienti da un fornitore unico al mondo: il Signore Dio nostro.
Sono sue le lunghe foglie d’agave, quelle delle sterlizie, dei giunchi, sono suoi i rami di kiwy, i tegumenti di betulle, di ciliegi, di palme e altri ancora di sua produzione.
E Dada che ne fa? Semplice: li mette al calore cocente del sole estivo o di quello più mite dell’inverno, li getta nell’ombra più nera e li ingabbia nelle correnti d’aria e nel soffio di un vento impetuoso, fino a che col tempo, assumono le forme volute dall’altra sua collaboratrice: Madre Natura.
E qui inizia il lavoro di Dada. Davanti a lei, contorte e accartocciate stanno tutte queste forme vegetali, nell’attesa che l’artista tragga l’invisibile attraverso il visibile, che l’apparenza percettiva dia origine ad una modalità espressiva. E con le forbici, trasforma la realtà dei giochi capricciosi di Madre Natura, negli effetti speciali di una visionaria sperimentatrice: taglia nel modo e nel punto giusto le foglie accartocciate, avvicina l’una all’altra quelle che tendono all’incontro oppure incorpora quelle più audaci e ogni nuova forma rende presente qualcosa che non necessariamente è “cosa”. Ma c’è come un vuoto tutt’intorno: manca il colore, perduto con la calura e a causa delle turbolenze metereologiche patite: e allora entrano in campo frammenti di vetro colorato, un fiore rinsecchito, una pietra di Langa oppure un foulard di seta indiana.
Sono piccole opere, queste di Dada, ma va loro riconosciuta una leggerezza metafisica della quale occorre seguire il percorso interiore. Va attivata una chiave di lettura che introduca alla ricerca dello “spirituale”, che è una costante di tutte le sue attività.
L’empatia non è assicurata perché esiste un coinvolgimento che, a mio parere, dipende da condizioni e convinzioni che sono estranee all’opera stessa.
Possono piacere a chi è già sensibile a quella diversa chiave di lettura che è il percorso interiore che porta Dada alla scelta finale della composizione: Quasi tutte si presentano come altorilievi che, appoggiati su di un mobile diventano sculture e che – a richiesta – possono essere trasformati in ceramiche o bronzi.
Per concludere e se si è d’accordo che qualsiasi gravidanza è l’inizio di una vita, direi che le gravidanze artistiche di Dada Prunotto, hanno originato oltre agli altorilievi, ultimi nati, una discendenza biblica di opere grafiche, a china, acquarelli, pastelli, pitture ad olio, tempere, poesie e loro illustrazioni.