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FEBBRAIO 2013

     

 

EPIGENETICA (Ricerca a cura di Barbara)

“Se credete solo al Dna avete sbagliato tutto”.


            L’epigenetica sta trasformando il modo «classico» con cui si concepiva il nostro Genoma. Dal clima agli stili di vita fino alle emozioni: sono moltissimi gli elementi che possono condizionare l’espressione dei geni.

            Quando vuole spiegare di che cosa si occupa, David Baulcombe usa una formula secca: «It’s not all in my Dna!». Non è tutto nel mio Dna!

            Spesso la doppia elica e le quattro lettere che la compongono - A, C, G e T - vengono usate a sproposito. E c’è chi pensa di essere ciò che è per colpa o per merito del Genoma. Come se ci fosse un meccanico, e rozzo, rapporto causa-effetto. Baulcombe, capo del dipartimento di scienze botaniche all’University of Cambridge, sta esplorando l’ancora misterioso universo delle piante per smontare gli stereotipi di chi si è fatto imprigionare nella camicia di forza del determinismo genetico. Le cose - ha scoperto - sono decisamente più complicate. E a rivelarlo è la scienza di cui lui è diventato maestro: l’epigenetica.

            I geni non galleggiano nel vuoto. Sono influenzati dall’ambiente e quindi dall’insieme degli elementi in cui è immerso un organismo. Le loro «espressioni» possono modularsi come uno spartito musicale continuamente variabile e non c’è essere vivente che sfugga a questo destino. Ciò che vale per le piante vale anche per noi umani e il fascino dell’epigenetica - spiega Baulcombe - sta proprio nel fatto che fa a pezzi molte idee e ne propone altre, rivoluzionarie: dall’origine delle nostre malattie ai modi di coltivare il grano o i pomodori, fino a influenzare la concezione stessa dell’evoluzione, rendendone le logiche più sofisticate di quanto pensasse il suo ideatore di due secoli fa.

            Ospite a Roma, dove ha ricevuto il Premio Balzan della Fondazione omonima, Baulcombe salta volentieri da un tema all’altro, esattamente come suggeriscono i molteplici scenari disegnati dall’epigenetica. «Quando penso a Darwin, mi viene in mente il celebre schizzo dell’albero della vita che tracciò sui suoi taccuini. Una vera icona. In effetti, oggi sappiamo che noi e le piante abbiamo un antenato comune, che non è altro che un’ameba. L’epigenetica conferma, se ce ne fosse bisogno, la teoria dell’evoluzione, sebbene Darwin non conoscesse i meccanismi genetici delle variazioni nel corso del tempo». E anche se c’è chi deduce che la nuova disciplina tenda a mettere un po’ da parte Darwin e a ridare spazio al grande avversario - Lamarck - il professore inglese non ne è così convinto. «Nessuna ricerca ci dice che sia vera la famosa deduzione sul collo delle giraffe che si allungherebbe per raggiungere, un po’ alla volta, le foglie più alte». Se l’ereditarietà di alcuni caratteri acquisiti è una delle scoperte dell’epigenetica, contrariamente al pensiero del biologo e botanico francese non ci sono prove di quegli automatismi che hanno fatto sognare tanti studiosi. «Le mutazioni non hanno necessariamente una direzione e un obiettivo - dice -. Tutto succede in modi “random”». Casuali, insomma.

            E questo è un punto fondamentale sul quale il professore - studioso di fiori, alghe e ibridi - ama insistere. I cambiamenti nei geni e quindi delle proteine che esprimono possono seguire esiti diversi. Persistere intatti da un padre a un figlio oppure - sottolinea - «resettarsi» rapidamente o, ancora, perdersi per ripartire in modi nuovi. Non c’è - che si sappia - un modello prestabilito. Si osserva piuttosto una molteplicità di quelle che vengono definite «manifestazioni molecolari», indotte da aspetti specifici dell’ambiente (e che possono essere quasi infiniti): dall’intensità delle piogge che infradiciano una pianta all’alimentazione di un essere umano.

 

La stampa 28/11/2012 Gabriele Beccaria

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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