L'aborto non è un “diritto umano”
Si diffonde in Italia e in Europa la tendenza a far passare leggi in materia di etica della vita umana a colpi di sentenze nei tribunali e non attraverso il normale percorso nelle aule parlamentari. Dovrebbero essere i delegati eletti dal popolo a discutere e poi legiferare, ma la lunghezza dei passaggi, gli sgambetti e le defezioni dell'ultima ora impediscono ai paladini dell'assoluta libertà di scelta di ottenere i risultati sperati.
Da noi la tragica vicenda della povera Eluana è stata un esempio di come le sentenze dei vari tribunali si siano accavallate e contraddette, con l'esito che tutti conosciamo. E poi ancora le sentenze dei tribunali di Salerno e di Cagliari sono un altro esempio di come si cerchi di svuotare e stravolgere il già insufficiente livello “etico” della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita. Il tema centrale di tutto è il concetto, ormai usato per molti fatti, dei “miei diritti”, che sembra avere assunto un significato abnorme. Non più quello di strumento essenziale per la vita e la dignità della persona, ma quello dei bisogni soggettivi riconosciuti tali dalla “maggioranza” del momento. Prima l'aborto ed ora il “fine vita” sono oggetto di una pressione pseudo culturale e mass mediatica a tutto campo.
Uno stop a questa onda travolgente è arrivato dalla sentenza del Tribunale Europeo dei Diritti Umani, il quale ha deciso, il 16 dicembre 2010, che non c'è un “diritto umano all'aborto”. Il Tribunale Europeo dei Diritti umani era stato chiamato in causa per una diatriba relativa a una sfida alla Costituzione irlandese, e la sentenza è stata che il “divieto di abortire” nella costituzione irlandese non viola la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Il contenzioso era portato, nel dicembre scorso, da tre donne che affermavano di essere state “costrette” a recarsi all'estero per abortire, sostenendo che in questo modo avevano messo in pericolo la loro salute. Il Tribunale ha deciso che le leggi del Paese non violano la Convenzione Europea dei Diritti Umani, che sottolinea il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”. In pratica il Tribunale non ha riconosciuto un “diritto” all'aborto, ma ha riconosciuto il “diritto alla vita” del non nato come “diritto legittimo”. Non è un diritto assoluto ma è tuttavia un diritto che deve essere valutato alla pari con altri interessi in conflitto, come la salute della madre o altri interessi sociali. E' pur vero che c'è un vasto consenso pro-aborto nella legislazione europea, ma questo ampio consenso pro-aborto nella legislazione europea non crea alcun nuovo obbligo, come in altri temi dibattuti a livello sociale e morale. Questa è una novità inaspettata che, ci auguriamo, trascinerà con sé altre sentenze Europee. Fin'ora mai era stata espressa una sentenza che riconoscesse chiaramente un diritto autonomo alla vita del bambino non nato. In questo modo uno Stato sarà libero di fornire un grado molto elevato di protezione del diritto alla vita del bambino “non nato”, diritto che può superare legittimamente altri diritti in conflitto garantiti. L'idea che regolamentando l'aborto, e permettendolo per legge, bastasse a chiudere per sempre la questione si è rivelata sbagliata. Infatti non solo è diventato un dramma sociale all'origine dell'inverno demografico, ma ha preteso di elevarsi a diritto paragonandosi addirittura al diritto all'istruzione, al cibo, alla casa, alla libertà di culto, ...alla salute. Con questa sentenza ora c'è più chiarezza.
Gabriele Soliani