Bambini e stress di famiglia Gabriele Soliani
Ciò che "stressa" i bambini è simile a ciò che logora e provoca tensioni nell’adulto… oppure esiste uno specifico infantile e situazioni particolari che lasciano tracce durature? I risultati di due diversi studi svolti in ambienti opposti, un’isola dei Caraibi e una metropoli nordamericana, dimostrano che non sono tanto l'ambiente urbano, la povertà, la scuola o i litigi coi coetanei a stressare i piccoli, quanto piuttosto le tensioni e l’imprevedibilità dell’ambiente familiare. Lo sviluppo infantile dipende, infatti, dalle cure degli adulti, ed è naturale che per assicurarsi un sostegno emotivo e fisico i piccoli debbano essere sensibili al comportamento degli adulti.
E questo li rende particolarmente recettivi alle tensioni familiari.
La prima ricerca, condotta nei Caraibi da un antropologo dell’Università del Missouri (U.S.A), con ben 25000 dosaggi effettuati su un campione di bambini e ragazzi compresi in un arco di età da 3 a 18 anni - indica che i livelli di cortisolo (l'ormone dello stress) si innalzano soprattutto a causa di traumi in famiglia. Per un bambino lo stress non è tanto dovuto alle dinamiche coi coetanei, anche se di tipo aggressivo, quanto a quelle con gli adulti: un violento bisticcio tra i genitori, o un padre che abbandona la casa sono gli stress più forti.
Questo aspetto risulta anche da uno studio svolto da ricercatori della McGill University a Montreal in Canada.
I piccoli, e persino gli adolescenti in giovane età, accumulano le situazioni stressanti volta per volta, senza mostrare segni di assuefazione, come invece avviene per gli adulti che si adattano a situazioni stressanti che si ripetono nel tempo. Cioè gli adolescenti e i ragazzi stanno male ogni volta che c’è qualcosa che non va,… e non si abituano affatto.
L’instabilità emotiva nell’infanzia ha conseguenze durature: nella maggior parte dei casi un bambino che ha subito abusi, che è stato maltrattato o che ha vissuto frequenti separazioni o tensioni familiari, sarà un adulto emotivamente più vulnerabile, più propenso alla depressione e all’ansia. Ciò dimostra, ancora una volta, che l’infanzia è una condizione di grande reattività, in cui vengono gettate le basi della personalità dell’adulto.
Gli adulti per questo hanno il "dovere" di impegnarsi per creare e mantenere un clima d’amore nella famiglia.
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Un grande sì alla vita
ROMA, domenica, 22 novembre 2009 (ZENIT.org).- Enorme successo della mostra "Un grande sì alla vita - 28 quadri di bioetica", di cui esiste anche un libro (edizioni Ares), curato da Anna e Giovanni Rimoldi.
La mostra e il libro sono stati pensati, organizzati e promossi dal Centro di Aiuto alla Vita di Busto Arsizio (VA), che in vent'anni ha assistito più di mille mamme, ha salvato 552 bambini dall'interruzione volontaria di gravidanza e ha permesso l'adozione a distanza di 150 bambini.
Con ventotto cartelloni di bioetica che spiegano il miracolo della vita e della sua dignità dal concepimento alla morte naturale, insieme al racconto di tanti gesti di amore gratuito generato dalle famiglie, la mostra denuncia la mentalità eugenetica e mette in guardia dai rischi di una cultura relativistica ed egoista che vuole trasformare un dramma come l'aborto in diritto.
Si raccontano storie commoventi di tante donne che insieme e grazie all'accompagnamento delle volontarie dei Centri di Aiuto alla Vita hanno evitato l'aborto e hanno riscoperto la bellezza dell'essere madre. Uno dei quadri finali è intitolato "Lieto fine" e riporta alcune testimonianze.
Chiara racconta: "Ero sdraiata sul lettino, il ginecologo mi stava eseguendo l'ecografia, ultimo esame prima dell'interruzione di gravidanza. Il monitor era girato, il volume abbassato (viene fatto vedere e ascoltare solo su richiesta). Ricordavo che durante l'ecografia del primo figlio il ginecologo mi aveva fatto vedere, attraverso il monitor, il bambino che si muoveva e fatto sentire il cuoricino che batteva forte".
"Ora invece solo buio e silenzio che opprimeva il mio cuore. Ho chiesto di vedere il monitor e sentire il battito. Immediatamente ho esclamato: ‘Ma questo è mio figlio!' Ho visto il visino, le sue manine, i suoi piedini: è vivo, si muove! Sono scesa dal lettino e con mio marito sono andata al Centro di Aiuto alla Vita. Siamo stati incoraggiati e accompagnati con amore ad accogliere questa nuova vita. Un vero miracolo. Grazie!"
E Cristina: "Non volevamo questo bambino: eravamo spaventati, non era programmato, avevamo molti problemi, da quelli economici a quello della casa. Incontrando Bianca e Annalisa al CAV, il nostro cuore si è spalancato all'accoglienza e all'amore per questa creatura. Abbiamo capito che quello che ci era chiesto era il nostro sì alla vita. Questo incontro ha reso la nostra vita felice. La nostra bambina è nata. Siamo molto grati. Grazie di cuore!"
Alina: "Nel periodo più duro della mia vita (e niente andava come doveva), il Signore ha voluto donarmi un angelo, ha voluto darmi un raggio di sole. Un qualcosa che mi riempisse il cuore, un angelo di nome Elisabetta. Anche se tutto è difficile, mai ho abbandonato la speranza. Ora sto bene con la mia famiglia e sono serena".
Angela, che ha evitato di abortire dopo aver incontrato le volontarie del CAV, ha narrato: "Ero in sala d'attesa per l'ecografia prima dell'IVG. Non alzavo mai lo sguardo, mi sentivo come morta dentro. Quando camminavo non riuscivo a guardare le persone, i bambini, neanche mio marito. L'incontro con Tiziana e Bianca mi ha aiutato ad alzare lo sguardo e avere speranza. Grazie"
Il professore di Storia e Filosofia Giovanni Rimoldi, coautore insieme alla moglie Anna della mostra e del libro, ha raccontato a ZENIT che più di 500 giovani, studenti delle medie e delle superiori, hanno visitato l'esposizione accompagnati dai loro insegnanti o in maniera spontanea.
I ragazzi, che i mass media descrivono come disattenti e superficiali, affetti dal bullismo, hanno ascoltato invece con attenzione per oltre un'ora e 40 minuti, studiando e riflettendo attentamente di fronte alle immagini e alle sollecitazioni delle guide.
Un ragazzo che ha ascoltato con attenzione l'illustrazione della mostra è venuto il giorno successivo con i genitori e ha voluto spiegare loro il contenuto dell'esposizione.
Un altro ragazzo gravemente infermo, ma molto lucido e intelligente, ha assistito alla mostra insieme ai compagni e ha espresso la volontà di diventare medico per capire e curare tutti quelli affetti dalle sue stesse malattie.
Un gruppo di giovani disabili ha reagito con entusiasmo alla mostra, con la gioia di trovare qualcuno che prova rispetto e amore verso la loro condizione.
Il Comune di Busto Arsizio ha concesso per la mostra la sala più prestigiosa, nel palazzo Marliani Cicogna, proprio come impegno dell'amministrazione per un'educazione di livello che vede la comunità tesa a promuovere e difendere la vita
Rimoldi ha detto che "insegnare a difendere e promuovere la vita è una battaglia prioritaria", ed è necessaria in un mondo che sembra in crisi di civiltà, con "una società così confusa da non riconoscere neanche le argomentazioni più ovvie e ragionevoli come quelle del diritto alla vita".
Di fronte alla superficialità che caratterizza gran parte della nostra società, ha ricordato una massima socratica secondo cui "una vita senza ricerca è indegna di essere vissuta".
La mostra è itinerante e ha avuto numerose richieste, per cui è impegnata fino ad aprile 2010. Chi volesse richiederla può scrivere al dott. Antonio Pellegatta, presidente del Centro di Aiuto alla Vita, Via Antonio Pozzi 7, 21052 Busto Arsizio. Email antopelle@libero.it , tel. 320 8686276.
LA VISITA DEL PAPA ALLA SINAGOGA DI ROMA
Se anche Benedetto XVI e Pio XII diventano vittime del pregiudizio
Bisognerebbe smetterla con la malafede, il partito preso e, per dirla tutta, la disinformazione, non appena si tratta di Benedetto XVI. Fin dalla sua elezione, si è intentato un processo al suo «ultraconservatorismo», ripreso di continuo dai mass media (come se un Papa potesse essere altra cosa che «conservatore»). Si è insistito con sottintesi, se non addirittura con battute pesanti, sul «Papa tedesco», sul «post-nazista» in sottana, su colui che la trasmissione satirica francese «Les Guignols» non esitava a soprannominare «Adolfo II». Si sono falsificati, puramente e semplicemente, i testi: per esempio, a proposito del suo viaggio ad Auschwitz del 2006, si sostenne e - dal momento che col passar del tempo i ricordi si fanno più incerti – ancor oggi si ripete che avrebbe reso onore alla memoria dei sei milioni di morti polacchi, vittime di una semplice «banda di criminali», senza precisare che la metà di loro erano ebrei (la controverità è davvero sbalorditiva, poiché Benedetto XVI in quell' occasione parlò effettivamente dei «potenti del III Reich» che tentarono «di eliminare» il «popolo ebraico» dal «rango delle nazioni della Terra» Le Monde, 30/5/2006). Ed ecco che, in occasione della visita del Papa alla sinagoga di Roma e dopo le sue due visite alle sinagoghe di Colonia e di New York, lo stesso coro di disinformatori ha stabilito un primato, stavo per dire che ha riportato la palma della vittoria, poiché non ha aspettato nemmeno che il Papa oltrepassasse il Tevere per annunciare, urbi et orbi, che egli non aveva saputo trovare le parole che bisognava dire, né compiuto i gesti che bisognava fare e che dunque aveva fallito nel suo intento... Allora, visto che l' evento è ancora caldo, mi si consentirà di mettere qualche puntino su qualche «i». Benedetto XVI, quando si è raccolto in preghiera davanti alla corona di rose rosse deposta di fronte alla targa commemorativa del martirio dei 1021 ebrei romani deportati, non ha fatto che il suo dovere, ma l' ha fatto. Benedetto XVI, quando ha reso omaggio ai «volti» degli «uomini, donne e bambini» presi in una retata nell' ambito del progetto di «sterminio del popolo dell' Alleanza di Mosè», ha detto un'evidenza, ma l' ha detta. Di Benedetto XVI che riprende, parola per parola, i termini della preghiera di Giovanni Paolo II, dieci anni fa, al Muro del Pianto; di Benedetto XVI che chiede quindi «perdono» al popolo ebraico devastato dal furore di un antisemitismo per lungo tempo di essenza cattolica e nel farlo, ripeto, legge il testo di Giovanni Paolo II, bisogna smettere di ripetere, come somari, che egli è indietro-rispetto-al-suopredecessore.
A Benedetto XVI che dichiara infine, dopo una seconda sosta davanti all' iscrizione che commemora l' attentato commesso nel 1982 dagli estremisti palestinesi, che il dialogo ebraico cattolico avviato dal Concilio Vaticano II è ormai «irrevocabile»; a Benedetto XVI che annuncia di aver l' intenzione di «approfondire» il «dibattito fra uguali» che è il dibattito con i «fratelli maggiori» che sono gli ebrei, si possono fare tutti i processi che si vuole, ma non quello di «congelare» i progressi compiuti da Giovanni XXIII. Quanto alla vicenda molto complessa di Pio XII, ci tornerò, se necessario. Tornerò sul caso di Rolf Hochhuth, autore del famoso «Il vicario», che nel 1963 lanciò la polemica sui «silenzi di Pio XII». In particolare, tornerò sul fatto che questo focoso giustiziere è anche un negazionista patentato, condannato più volte come tale e la cui ultima provocazione, cinque anni fa, fu di prendere le difese, in un' intervista al settimanale di estrema destra Junge Freiheit, di colui che nega l' esistenza delle camere a gas, David Irving. Per ora, voglio giusto ricordare, come ha appena fatto Laurent Dispot nella rivista che dirigo, La règle du jeu, che il terribile Pio XII, nel 1937, quando ancora era soltanto il cardinale Pacelli, fu il coautore con Pio XI dell' Enciclica «Con viva preoccupazione», che ancora oggi continua ad essere uno dei manifesti antinazisti più fermi e più eloquenti. Per ora, dobbiamo per esattezza storica precisare che, prima di optare per l' azione clandestina, prima di aprire, senza dirlo, i suoi conventi agli ebrei romani braccati dai fascisti, il silenzioso Pio XII pronunciò alcune allocuzioni radiofoniche (per esempio Natale 1941 e 1942) che gli valsero, dopo la morte, l' omaggio di Golda Meir: «Durante i dieci anni del terrore nazista, mentre il nostro popolo soffriva un martirio spaventoso, la voce del Papa si levò per condannare i carnefici». E, per ora, ci si meraviglierà soprattutto che, dell' assordante silenzio sceso nel mondo intero sulla Shoah, si faccia portare tutto il peso, o quasi, a colui che, fra i sovrani del momento: a) non aveva cannoni né aerei a disposizione; b) non risparmiò i propri sforzi per condividere, con chi disponeva di aerei e cannoni, le informazioni di cui veniva a conoscenza; c) salvò in prima persona, a Roma ma anche altrove, un grandissimo numero di coloro di cui aveva la responsabilità morale. Ultimo ritocco al Grande Libro della bassezza contemporanea: Pio o Benedetto, si può essere Papa e capro espiatorio.
traduzione di Daniela Maggioni RIPRODUZIONE RISERVATA
Levy Bernard Henri (20 gennaio 2010) - Corriere della Sera