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FEBBRAIO 2008

 

UNA GIORNATA PER LA VITA Antonella

 

            Ormai, da trenta anni a questa parte, la prima domenica di febbraio costituisce un appuntamento fisso: si celebra nella chiesa italiana la “Giornata per la vita”. E’ stata istituita nel 1978, in risposta alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza. In occasione di questa giornata, ogni anno, la Conferenza Episcopale italiana, manda un messaggio rivolto non solo ai credenti, ma a tutte le persone di buona volontà, a tutti coloro che ritengono che la vita – ogni vita – sia un bene prezioso. Quest’anno il messaggio si intitola “SERVIRE LA VITA”: parla di figli naturalmente – e di genitori che la società tutta deve mettere in condizione di affrontare serenamente e responsabilmente la nascita di un bambino -  ma anche  di uomini e donne che non dovrebbero trovarsi nella situazione di rischiare la vita sul posto di lavoro (le “morti bianche”) e ancora di anziani e malati che dovrebbero poter affrontare l’ultimo periodo della loro esistenza con dignità, circondati dall’ affetto dei familiari  e assistiti da persone che sappiano prendersi cura dei loro bisogni spirituali e siano in grado di aiutarli a non soffrire troppo (le “cure palliative”). I vescovi italiani dunque ci sono vicini in ogni momento della nostra esistenza e ci ricordano che al centro di tutto, sempre, deve essere posta la persona. 

            Leggiamo dunque il messaggio e ci renderemo conto di quanto esso sia attuale, di come si riferisca non a teorie astratte ma a problemi  concreti, che ciascuno di noi vive, ha vissuto o vivrà nella propria reale esistenza e in quella delle persone che gli stanno intorno.

 

SERVIRE  LA  VITA

 

I figli sono una grande ricchezza per ogni Paese: dal loro numero e dall’amore e dalle attenzioni che ricevono dalla famiglia e dalle istituzioni emerge quanto un Paese creda nel futuro. Chi non è aperto alla vita, non ha speranza. Gli anziani sono la memoria e le radici: dalla cura con cui viene loro fatta compagnia si misura quanto un Paese rispetti se stesso.

La vita ai suoi esordi, la vita verso il suo epilogo. La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. I primi a essere chiamati in causa sono i genitori. Lo sono al momento del concepimento dei loro figli: il dramma dell’aborto non sarà mai contenuto e sconfitto se non si promuove la responsabilità nella maternità e nella paternità. Responsabilità significa considerare i figli non come cose, da mettere al mondo per gratificare i desideri dei genitori; ed è importante che, crescendo, siano incoraggiati a “spiccare il volo”, a divenire autonomi, grati ai genitori proprio per essere stati educati alla libertà e alla responsabilità, capaci di prendere in mano la propria vita.

Questo significa servire la vita. Purtroppo rimane forte la tendenza a servirsene. Accade quando viene rivendicato il “diritto a un figlio” a ogni costo, anche al prezzo di pesanti manipolazioni eticamente inaccettabili. Un figlio non è un diritto, ma sempre e soltanto un dono. Come si può avere diritto “a una persona”? Un figlio si desidera e si accoglie, non è una cosa su cui esercitare una sorta di diritto di generazione e proprietà. Ne siamo convinti, pur sapendo quanto sia motivo di sofferenza la scoperta, da parte di una coppia, di non poter coronare la grande aspirazione di generare figli. Siamo vicini a coloro che si trovano in questa situazione, e li invitiamo a considerare, col tempo, altre possibili forme di maternità e paternità: l’incontro d’amore tra due genitori e un figlio, ad esempio, può avvenire anche mediante l’adozione e l’affidamento e c’è una paternità e una maternità che si possono realizzare in tante forme di donazione e servizio verso gli altri.

Servire la vita significa non metterla a repentaglio sul posto di lavoro e sulla strada e amarla anche quando è scomoda e dolorosa, perché una vita è sempre e comunque degna in quanto tale. Ciò vale anche per chi è gravemente ammalato, per chi è anziano o a poco a poco perde lucidità e capacità fisiche: nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quando una vita non merita più di essere vissuta. Deve, invece, crescere la capacità di accoglienza da parte delle famiglie stesse. Stupisce, poi, che tante energie e tanto dibattito siano spesi sulla possibilità di sopprimere una vita afflitta dal dolore, e si parli e si faccia ben poco a riguardo delle cure palliative, vera soluzione rispettosa della dignità della persona, che ha diritto ad avviarsi alla morte senza soffrire e senza essere lasciata sola, amata come ai suoi inizi, aperta alla prospettiva della vita che non ha fine.

Per questo diciamo grazie a tutti coloro che scelgono liberamente di servire la vita. Grazie ai genitori responsabili e altruisti, capaci di un amore non possessivo; ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, agli educatori e agli insegnanti, ai tanti adulti – non ultimi i nonni – che collaborano con i genitori nella crescita dei figli; ai responsabili delle istituzioni, che comprendono la fondamentale missione dei genitori e, anziché abbandonarli a se stessi o addirittura mortificarli, li aiutano e li incoraggiano; a chi – ginecologo, ostetrica, infermiere – profonde il suo impegno per far nascere bambini; ai volontari che si prodigano per rimuovere le cause che indurrebbero le donne al terribile passo dell’aborto, contribuendo così alla nascita di bambini che forse, altrimenti, non vedrebbero la luce; alle famiglie che riescono a tenere con sé in casa gli anziani, alle persone di ogni nazionalità che li assistono con un supplemento di generosità e dedizione. Grazie: voi che servite la vita siete la parte seria e responsabile di un Paese che vuole rispettare la sua storia e credere nel futuro.

 

Roma, 2 ottobre 2007

Memoria dei Santi Angeli Custodi

 

Il Consiglio Permanente della

Conferenza Episcopale Italiana

 

           

            La poverta’  Iolanda Lo Monte

 

la povertA' cammina per la via

e chiede la caritA',

in nome della Vergine Maria.

I suoi bimbi soffrono la fame

e attendono alla sera

che porti loro un pane!

essa cammina tutta trasandata:

“Fate la caritA', sono troppo sfortunata!”

 

Passa l’avarizia, fredda e spudorata,

in tasca non ha un soldo:

“Allontanati, risponde, non E' giornata!”

 

La bontA', che non ha perso quella scena,

ha pensato alla povertA' senza cena:

“orsU', piccola donna, non disperare,

quel poco che  ti offro ti  potrA' bastare!”

Una monetina le mette tra le mani,

la povertA' singhiozza e dice:

“Hai sfamato i miei figli

per oggi e per domani.

La vergine Maria

questa moneta centuplicherA'

per merito della tua bontA'”.

 

 

 

 

 

 
 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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