Un giorno capitai casualmente in una libreria a curiosare sui tavoli e negli scaffali, e trovai un libro il cui titolo singolare attirò la mia attenzione: “Nel nome del Figlio”. Natività, fughe, passioni nell’arte”:Vittorio Sgarbi. Lo comprai senza esitazione, sapendo che Sgarbi è uno dei più importanti e preparati critici d’arte di questi ultimi quarant’anni.
Leggere Sgarbi non è leggere una fredda critica, ma è imparare a penetrare nell’anima dell’artista per percepirne lo spirito. Vengono decisive in proposito le parole del pittore Arturo Nathan: “L’arte ha un solo soggetto: lo spirito del suo autore, in ciò che contiene di profondo, di nascosto e in quanto fa parte della sua vita intima”.
Dunque il libro di Sgarbi, con la sua prosa musicale e la sua scrittura narrativa, finalmente comprensibile, rispetto a molti suoi colleghi, coinvolge e appassiona anche chi, come me, vi si accosta senza una specifica cultura nel campo..
L’autore inizia il suo percorso parlando di un Figlio molto particolare; il Figlio di Dio, e di come viene rappresentato nelle tele dei grandi pittori italiani.
Interessante la sua prefazione, che cito in parte: “E’ certamente indicativo che la più grande rivoluzione compiuta nella storia dell’uomo, sia legata al nome di un Figlio. Rivoluzione che trova fondamento e certezza nella Risurrezione.
Le rivoluzioni non le fanno i padri, le fanno i figli. Dio ha creato il mondo, ma suo Figlio lo ha salvato. Nel nome del Padre noi riconosciamo l’autorità, nel nome del Figlio noi affrontiamo la realtà.
I più grandi capolavori nella storia dell’arte hanno protagonista il Cristo, mentre il Padre si affaccia dall’alto benedicente, quando si manifesta.
Pensiamo al “Giudizio universale” di Michelangelo con il Cristo giudicante che alza la mano per indicare il destino dei buoni e dei cattivi. Pensiamo al “Battesimo di Cristo”, di Giovanni Bellini nella chiesa di Santa Corona a Vicenza: il Figlio è protagonista e, in alto, il Padre osserva. Pensiamo al “Giudizio universale” di Piero Cavallini nella Chiesa di Santa Cecilia a Roma con l’umanissimo Cristo che ci osserva garantendoci speranza e salvezza. Così come i Cristi pantocratori di Monreale e di Cefalù. Il Padre eterno è rappresentato e irrappresentabile. E’. Non fa. E questo ne limita la rappresentazione. Appare essenzialmente nel momento della creazione di Adamo ed Eva, a partire dai bassorilievi di Wiligelmo. Poi si vede poco, occhieggia qua e là; ma il Cristo domina. Ed è il Figlio cui il Padre ha delegato il destino dell’uomo.
Nel nome del Figlio si cambia il mondo”.
La prossima volta mi soffermerò a considerare dal punto di vista del critico, e con qualche mia nota, alcuni quadri di artisti, che hanno fatto grande la pittura italiana.
Dada.