CARAVAGGIO
Dada
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, per scelte dello stesso artista, avendo egli abitato nel paese di Caravaggio, in Lombardia. Chi non lo conosce? Caravaggio fu un’anima in pena, sempre in fuga per eludere la prigionia.
Amante delle locande malfamate, frequentatore di ragazzi di strada, gran bevitore, si trovò al centro di una rissa dove, non si sa se volutamente o per un incidente fortuito, uccise un uomo. Dal temperamento sanguigno e rissoso, pare non fosse solo quella l’unica volta che lo vide protagonista di un assassinio.
Come coniugare questa sua esistenza violenta e lussuriosa con la sua pittura talvolta densa di poesia? Il suo spirito artistico si manifesta tradotto talvolta in elegia. Penso, per esempio, al “Riposo durante la fuga in Egitto”. La tela rappresenta la Madonna, il Bambino e S. Giuseppe sfiniti dalla stanchezza. A destra la Madonna, colta improvvisamente dal sonno, che lascia andare un braccio abbandonato sul grembo e con l’altro regge, con gesto umano di madre, il Figlio dormiente e inconsapevole. A sinistra una scena onirica dove S. Giuseppe intento a reggere uno spartito musicale, le cui note un angelo interpreta al suono del violino. Una musica armoniosa pervade la scena: forse è un sogno di Maria? Non ci è dato saperlo.
E’ un’opera giovanile del Caravaggio, che accoglie sentimenti poetici, tra realtà e sogno.
Caravaggio non era credente, e dunque le sue opere di soggetto sacro non esprimono necessariamente il sacro del mistero divino: sono rappresentazioni di taglio fotografico, uniche per il suo tempio.
Se Michelangelo Merisi fosse vissuto nel nostro secolo, sarebbe un fotografo – dice Sgarbi. Infatti le sue inquadrature, i soggetti, le luci in contrasto marcato con le ombre, sembrano scene riprese da un abile fotografo, dove i suoi protagonisti vengono di preferenza scelti sugli ambienti e fra i personaggi dal pittore frequentati. Poi vediamo l’artista il quale, come se un flash fosse scattato improvviso nella sua mente, applicare alla sua opera un’ineffabile atmosfera, talvolta onirica di pace, di riposo, altre volte potente, drammatica.
Un’opera che mi ha colpito particolarmente è la “Cena in Emmaus”, in realtà sono due le “Cene” dipinte dal Nostro. La prima dipinta nel 1601, in un periodo di giovanile fervore dell’artista, la seconda del 1606, quando egli stava entrando nella maturità. Due sono dunque le opere con lo stesso tema, ma molto diverse fra di loro, tanto che – dice Sgarbi – ci sarebbe da dubitare sull’autore della seconda. E’ tuttavia accertato che sono due tele dello stesso autore: più attinente alla realtà dell’evento la prima, dove viene rappresentato un Cristo giovane, paffutello nell’atto di benedire il pane, e, i due discepoli dai gesti direi plateali, i cui movimenti delle mani vogliono rappresentare la realtà del recente accaduto: benedicenti quelli di Cristo, di stupore di un discepolo, quasi a mimare la crocifissione il suo compagno.
Intanto nei cinque anni che separano un’opera dall’altra, Caravaggio si muove molto, scappa e vive una vita sempre al limite del lecito.
Il Cristo della seconda “Cena” è un uomo più maturo, l’espressione del volto è intensa e molto raccolta nel gesto benedicente. Anche i discepoli esprimono una gestualità più contenuta e di rispetto per la scena che Gesù mette in atto. L’atmosfera è pregna di spiritualità: il Cristo sembra rivivere i momenti drammatici del giovedì Santo, mentre i due discepoli osservano attenti e commossi. C’è amore in quei gesti. L’artista pare partecipare all’evento: nel chiaro - oscuto della stanza, il pennello di Caravaggio si muove a rappresentare qualcosa che forse non capisce, ma che misteriosamente lo affascina. Eppure Caravaggio continua ad essere l’uomo dalla certificata frequentazione della strada, con rischi ed avventure conseguenti, tra liti in infime taverne e fughe tra Milano – Roma – Napoli – Siracusa – Messina – Malta.
Cristo ha affascinato con i suoi gesti, le sue opere, la sua vita evangelica anche il Caravaggio, artista non credente, corrotto e contraddittorio.
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