GIOVANNI BELLINI
Sgarbi, con la sua scrittura narrativa musicale, mi ha condotto ad una osservazione più profonda ed attenta all’opera d’arte, dando vita alle immagini, trasferendomi quasi fisicamente, come in una specie di sogno ad occhi aperti, verso civiltà lontane che ancora oggi diventano testimonianze molto presenti. Coinvolta dunque in questa avventura, leggo con avidità, per poi tornare spesso indietro, agli artisti già visitati, soffermandomi con maggiore consapevolezza e con animo libero.
Tornando al tema attinente al titolo della rubrica, scelgo pittori che più mi hanno attratto con alcune delle loro opere di soggetto sacro. Uno di questi è senz’altro Giovanni Bellini, cognato di Andrea Mantegna: i due più importanti pittori del Quattrocento del Nord Italia.
Del Bellini Sgarbi dice: “… è un pittore in cui prevale l’esaltazione dei sentimenti, delle emozioni e della sensibilità …”. Un esempio di quanto citato si nota, molto evidente, nel “Cristo deposto in grembo alla Madonna” o “Pietà Martinengo”.
Sullo sfondo di un paesaggio, che gode di una certa autonomia, espressione di certe architetture significative e, ad indicare luoghi ben precisi: il Figlio.
L’abbandono alla morte lo vede tra il verde dei tappeti erbosi e alberi dalle chiome verdeggianti, quelli più lontani, e alberi spogli e tronchi, apparentemente senza vita, più vicini al Cristo, quasi a significare la morte, l’assenza di vita.
Gesù è in grembo a sua madre, la quale lo sorregge, come in un ultimo abbraccio, prima della sepoltura. Una Madonna pietosa e suo Figlio, abbandonato alla morte, che torna idealmente nel grembo materno. E’ un’immagine dolcissima e molto umana, immersa in un paesaggio bello e – dice Sgarbi – consolante.
Anche in quest’opera si vede lo spirito del pittore, assai sensibile nel captare ogni cosa che accade, partecipare ai sentimenti dei soggetti rappresentati: la Madonna ricolma di pietà, il Cristo morto, che rivive nell’anima di noi spettatori e nelle emozioni del Bellini, artista di grande sensibilità.