Leonardo da Vinci
“La pittura è cosa mentale”, diceva Leonardo. In lui, infatti, l’idea finisce per prevalere sull’esecuzione. Siamo nel 1494, quando Leonardo accetta di eseguire l’Ultima Cena”, per il refettorio dei frati domenicani, a Milano; malvolentieri si mette all’opera, e solo perché ha bisogno di soldi. Accetta malvolentieri, come forse accetta malvolentieri di dipingere la “Gioconda”, che impiega bel 4 anni a consegnare finita.
”Ultima cena” è un dipinto su muro, che si trova in fondo al refettorio dei frati del convento di Santa Maria delle Grazie, a Milano. La tecnica doveva essere quella dell’affreswco, ma Leonardo, impaziente e maldisposto, non vuole eseguire l’opera a fresco, come si vede, bensì inventa una tecnica più veloce, usando tempere e olio su due strati di intonaco, in modo da non doverer perdere troppo tempo, in attesa che l’intonaco raggiunga l’umidità ottimale …
Questa sua tecnica stravolgente gli consente di smettere di lavorare quando vuole, per dedicarsi a mille altri interessi e intuizioni, che arrivano improvvisi nella sua mente geniale, e che , senz’altro lo coinvolgono con maggiore passione. Impiega più di 4 anni consegnare finita la “Cena” che , dopo solo diciotto anni, si presenterà già estremamente rovinata.
Lo storico dell’arte Filippo Daverio ipotizzò che Leonardo sapeva che la sua opera si sarebbe rovinata ben presto, tanto è vero che non la firmò, mentre le altre sue pitture, almeno quelle eseguite su commissione, furono tutte d lui firmate. Eppure siamo di fronte ad un capolavoro.
Pur attingendo alla tradizione fiorentina dei “Cenacoli”, molto diverso è il concetto, il pensiero col quale l’artista si mette all’opera, rispetto all’iconografia tradizionale.. Per dare senso di profondità e in certo modo “allungare” il refettorio, Leonardo ambienta la “Cena” in una sala dalla prospettiva rettilinea; vediamo infatti, appesi alle pareti laterali, degli arazzi rettangolari e, sul fondo tre grandi finestre, che si affacciano su un paesaggio sovrastato dal cielo azzurro. In primo piano il grande tavolo, coperto da una tovaglia bianca a righe azzurre e ricamata, di fattura perugina. Ed ecco il Cristo, al centro, che ha appena annunciato una tragedia imminente: “Uno di voi mi tradirà”; e, lungo la tavolata, gli Apostoli che, turbati, si interrogano su chi fosse il traditore; ciascuno di essi in atteggiamento che denuncia uno stato d’animo. La genialità dell’autore sta proprio nell’indicare, raffigurare i personaggi proprio immersi in una situazione psicologica, in un pesniero che turba tutta l’atmosfera intorno, mentre quella cena, secondo gli Apostoli, doveva essere soltanto un momento di convivialità come tanti altri.
I personaggi, rappresentati a gruppetti di tre, si interrogano chi mai possa essere il traditore, mentre Gesù, come se la sua affermazione fosse stato un pensiero espresso ad alata voce, se ne sta seduto a meditare su ciò che già sapeva sarebbe accaduto da lì a poco. Egli ha le braccia abbandonate sulla tavola, la mano sinistra aperta ad indicare il pane, l’altra contratta, tremante. La mano del pensiero la prima, quella dell’emotività l’altra. Gesù appare solo e assorto. Anche Giovanni gli si allontana, per rispondere a Pietro, che lo chiama per chiedergli conferma: se sia proprio vero che qualcuno di loro tradirà il suo Signore.
Intanto gli altri Apostoli si muovono sulla scena, turbati, alcuni in atteggiamento di sorpresa, altri di sdegno, altri di curiosità, altri di timore.
Leonardo crea, in questo suo capolavoro, il Cristo che pensa, molto diverso dalla classica iconografia. Lo Spirito, in “Ultima Cena” aleggia e muove i personaggi, per centrarsi poi sul protagonista, sul Cristo pensante, il quale è mosso da quello stesso Spirito di Amore, che il Padre gli manda, affinché possa portare fino all’ultima conseguenza il suo mandato; e il Figlio obbediente possa infine dire; “Tutto è compiuto”..