La nozione di giustizia è una delle prime nozioni morali della nostra ragione: i filosofi la definiscono come l’inclinazione della volontà a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. L’anelito alla giustizia è nel cuore di ogni uomo. Noi non cerchiamo solo ciò che è vero, buono, bello, ma anche ciò che è giusto. Tutti amano la giustizia e detestano l’ingiustizia. E poiché il mondo è colmo di ingiustizie e la giustizia umana, quella amministrata dai tribunali, è imperfetta, noi aspiriamo a una giustizia perfetta, che sulla terra non esiste, e che solo in Dio possiamo trovare.
Il più celebre processo della storia, quello a Nostro Signore Gesù Cristo, sancì la più clamorosa ingiustizia di tutti i tempi. Ma Dio è infinitamente giusto, perché dà infallibilmente a ciascuno il suo. La bellezza dell’universo sta nel suo ordine e l’ordine è il regno della giustizia, perché l’ordine è dare a ogni cosa il suo posto e la giustizia è dare a ciascuno il suo: unicuique suum, come stabiliva il diritto romano.
L’infinita giustizia di Dio
L’infinita giustizia di Dio ha la sua suprema manifestazione in due diversi giudizi che attendono l’uomo al termine della sua vita: il giudizio particolare, a cui è sottoposta ogni anima al momento della morte, e il giudizio universale, a cui saranno sottoposti tutti gli uomini, in anima e corpo, dopo la fine del mondo.
E’ fede della Chiesa: al temine della propria vita ogni uomo si presenta davanti a Dio, Signore e Giudice supremo, per riceverne il premio o il castigo. Per questo l’Ecclesiastico dice: Memor est judicii mei, sic enim erit et tuum (Eccl. 38). Ricordati del mio giudizio se vuoi anche tu imparare a giudicare bene.
Nel giudizio particolare, spiega il padre Garrigou-Lagrange, l’anima capisce spiritualmente di essere giudicata da Dio e sotto la luce divina la sua coscienza pronuncia lo stesso giudizio divino. “Questo accade nel primo istante in cui l’anima è separata dal corpo, cosicché tanto è vero dire di una persona che è morta, quanto è vero dire che è giudicata” 1 . La sentenza è definitiva e l’esecuzione della sentenza è immediata.
Il giudizio di Dio è diverso da quello degli uomini. E’ celebre il caso di Raymond Diacres, celebre professore della Sorbona, morto nell’anno 1082. Tra i presenti al suo funerale, nella chiesa di Notre Dame di Parigi, vi era una moltitudine di persone, tra cui il suo allievo san Bruno di Colonia. Durante la cerimonia avvenne un fatto sconvolgente, esaminato in tutti i particolari dagli studiosi Bollandisti.
La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l’uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito:
“Rispondimi: quante iniquità e peccati hai…?”, si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: “Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!”.
Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. La domanda fu ripetuta e il defunto gridò con voce ancora più forte di prima: “Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!”.
Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al cadavere e constatarono che era veramente morto. Tra lo spavento e lo sconcerto generale, le autorità ecclesiastiche decisero di rimandare il funerale al giorno successivo.
II giorno seguente fu ripetuto l’ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi: quante iniquità e peccati hai…?”. Il cadavere si alzò da sotto il velo funebre e gridò: “Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all’inferno per sempre!”2 .
Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune. Sul feretro del dannato furono scritte le parole che egli pronuncerà al momento della resurrezione: Justo Dei judicio accusatus sum; Justo Dei judicio judicatus sum: Justo Dei judicio condemnatus sum. L’accusa, la condanna, l’assoluzione: questo è ciò che aspetterà i reprobi il giorno del Giudizio universale.
Per questo sant’Agostino, nella Città di Dio, dice: “coloro che necessariamente moriranno non devono preoccuparsi molto di ciò che avviene per farli morire, ma del luogo dove saranno costretti ad andare dopo morti” 3 . E questo luogo, aggiungiamo noi, è l’inferno o il paradiso.
Il Messaggio di Fatima si apre con la terrificante visione dell’inferno e ci ricorda che la nostra vita sulla terra è molto seria, perché ci pone di fronte a una scelta drammatica: il paradiso o l’inferno: la felicità eterna o l’eterna dannazione. A seconda della nostra scelta saremo giudicati e la sentenza, una volta pronunciata, sarà inappellabile.
(Continua al numero successivo)
1 Réginald Garrigou-Lagrange, La vita eterna e la profondità dell’anima, tr. it., Fede e Cultura, Verona 2018, p. 94.
2 Vita del gran patriarca s. Bruno Cartusiano. Dal Surio, & altri …, Alessandro Zannetti, Roma 1622, vol. 2, p. 125
3 S. Agostino, De Civitate Dei, I, 10, 11.