Roberto De Mattei
(Continua dal numero precedente)
PERCHÉ I POPOLI NON SI RENDONO CONTO DEI CASTIGHI
CHE INCOMBONO SU DI LORO
Tra i cattolici, quando si abbattono le sciagure su un popolo, c’è chi dice di non sapere se si tratti di un castigo o di una prova. Ma a differenza che per gli uomini, i mali delle nazioni sono sempre castighi. Può succedere infatti che un uomo virtuoso debba soffrire molto per essere provato nella sua pazienza, come accadde a Giobbe. Le sofferenze che i singoli uomini incontrano nella loro vita non sono sempre un castigo, ma più spesso una prova che li prepara a guadagnarsi un’eternità felice. Ma nel caso delle nazioni, le sofferenze dovute a guerre, epidemie o terremoti, sono sempre un castigo, proprio perché esse non hanno eternità. Affermare che una sciagura possa essere “una prova” per una nazione non ha senso. Può essere una prova per i singoli uomini di una nazione, ma non per la nazione nel suo complesso, perché è nel tempo e non nell’eternità che le nazioni ricevono il loro castigo.
I castighi di una nazione aumentano in proporzione dei peccati di una nazione. E in proporzione dei peccati aumenta, da parte dei malvagi, il rifiuto dell’idea di castigo, come fece Voltaire nel suo blasfemo Poema sul disastro di Lisbona, scritto dopo il terribile terremoto che distrusse la capitale del Portogallo nel 1755. Alle blasfemie degli atei la Chiesa ha sempre risposto ricordando che tutto ciò che accade dipende da Dio e ha un significato. Ma quando sono gli stessi uomini di Chiesa a negare l’idea di castigo, vuol dire che il castigo è già in corso ed è irrimediabile. Nei giorni del coronavirus, l’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini è arrivato al punto di affermare che “è da pagani pensare a un Dio che manda flagelli”. In realtà ciò che è, non da pagani, ma da atei, è pensare a un Dio che non manda flagelli. Il fatto che questo sia il pensiero di tanti vescovi nel mondo, significa che l’episcopato mondiale è immerso nell’ateismo. E questo è un segno del castigo divino in corso.
San Bernardino spiega che quanto più il castigo di Dio è vicino, tanto meno i popoli che lo meritano se ne rendono conto15 . La ragione di questa cecità delle menti è la superbia, initium omnis peccati (Ecclesiastico 10, 15). La superbia ottenebra l’intelletto, impedendo di vedere quanto è prossima è la rovina e Dio, con questo accecamento, vuole umiliare i superbi.
Con l’aiuto di san Bernardino possiamo anche interpretare una sentenza dei Salmi che è stata ripresa da Leone XIII nel suo Esorcismo contro gli Angeli ribelli: “Veniat illi laqueus quem ignorat, et captio quam abscondit, apprehendat eum et laqueum cadat in ipsum” (Ps 34, 8). La traduzione libera di questo passo potrebbe essere: venga il laccio, cioè la trappola a cui egli non pensa e le manovre che egli nasconde colgano lui ed egli cada nel suo stesso laccio di morte.
San Bernardino dice che questo passo dei Salmi può essere interpretato sotto tre aspetti.
Dalla parte di Dio: Veniat illi laqueus quem ignorat. La prima causa di questa ignoranza viene da Dio, che per nascondere i suoi piani si serve delle epidemie e delle carestie: “laqueus est pestis vel fames et consimilia”16 , dice san Bernardino. Innanzitutto Dio sottrae ai popoli le loro guide: non solo le guide politiche e quelle spirituali, ma anche gli angeli che presiedono alle nazioni. Dio sottrae poi il lumen veritatis, che è una grazia, come ogni bene che viene da Dio. Infine, Dio permette ai popoli peccatori di cadere in mano dei propri vizi, dei demoni che sostituiscono gli angeli e di malvagi, che li guidano verso l’abisso.
Et captio quam abscondit, apprehendat eum. Una volta sottratta loro ogni guida e luce di verità, i popoli impenitenti, quando Dio annuncia il castigo, non solo non si emendano, ma aumentano i loro peccati. E la moltiplicazione dei peccati aumenta l’accecamento dei popoli.
Et laqueum cadat in ipsum. I popoli peccatori ignorano l’ora del castigo, che giunge improvviso e inaspettato. Le manovre che essi tentano per distruggere il bene si rivolgono contro di loro. Essi non sono solo puniti, ma umiliati. Si compie così la profezia di Isaia: “Verrà sopra di te la sciagura, né saprai da dove nasca, piomberà su di te una calamità che non potrai scongiurare; verrà repentinamente su di te una catastrofe che non penserai” (Isaia 47, 11).
IL TIMORE E LA PAURA
Quando inizia il castigo, il demonio, che vede sconvolti suoi piani, diffonde nei popoli il sentimento della paura, anticamera di quello della disperazione. I malvagi negano l’esistenza della catastrofe, i buoni ne comprendono l’arrivo, ma invece di cogliere nel castigo l’occasione della loro rinascita, sono tentati di vedervi l’ora della propria rovina. Ciò accade quando essi rinunziano a vedere dietro gli eventi la mano sapiente di Dio, per inseguire le manovre degli uomini. Un autore caro a san Luigi Maria di Montfort, l’arcidiacono Henri-Marie Boudon scrive: “Dieu ne frappe que pour être regardé; et l’on n’arrête les yeux que sur les créatures”17 . Dio colpisce per essere contemplato e noi invece di volgere lo sguardo a lui, lo soffermiamo sulle creature.
Ciò non significa che le manovre delle forze rivoluzionarie non debbano essere osservate, analizzate e combattute, ma senza mai dimenticare che la Rivoluzione è sempre sconfitta nella storia, per il carattere autodistruttivo del male che ha in sé, e la Contro-Rivoluzione vince sempre, per la fecondità del bene che porta in sé.
L’ateismo è l’espulsione di Dio da ogni ambito dell’attività umana. La grande vittoria dei nemici di Dio non sta nel sopprimere la nostra vita o nel restringere la nostra libertà fisica, ma nel rimuovere l’idea di Dio dalla nostra mente e dal nostro cuore. Tutti i ragionamenti, le speculazioni filosofiche, storiche o politiche in cui Dio non tiene il primo posto, sono false e illusorie.
Bossuet dice che: “Toutes nos pensées qui n’ont pas Dieu pour objet sont du domaine de la mort”18 . E’ vero e noi potremmo dire che tutti i pensieri che hanno Dio per oggetto appartengono al campo della vita, perché Gesù Cristo, Giudice e Salvatore dell’umanità, è “via, verità e vita” (Gv 14, 6). Parlare del giudizio di Dio nella storia e sulla storia non è dunque parlare di morte, ma parlare di vita, e chi ne parla non è “profeta di sventura”, ma annunciatore di speranza.
Coloro che oggi con più forza rifiutano l’idea di castigo sono gli uomini di Chiesa ed essi rifiutano il castigo, perché rifiutano il giudizio di Dio, a cui sostituiscono il giudizio del mondo. Ma il timor di Dio nasce dall’umiltà, la paura del mondo nasce dall’orgoglio.
Temere Dio è la più alta sapienza: Timor Domini initium Sapientiae, dice il libro dell’Ecclesia-stico, che si conclude con queste parole: Deum time, et mandata ejus serva: hoc est enim omnis homo (Eccl 12, 13): “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto”. Chi non teme Dio, sostituisce ai comandamenti divini i comandamenti del mondo, per paura di essere isolato, censurato e perseguitato dal mondo. La paura del mondo, che è una conseguenza del peccato, spinge alla fuga, il timor di Dio incita alla lotta.
Un grande autore francese, Ernest Hello dice: “Temere il nome di Dio vuol dire non aver paura di niente”19 . E lo stesso Hello, ci ricorda che una parola della Sacra Scrittura di cui noi non conosceremo mai la profondità: laetetur cor meum ut timeat nomen tuum (Ps 85, 11): “gioisca il mio cuore affinché tema il tuo nome”. C’è gioia solo dove c’è la presenza di Dio e Dio non può essere presente se non c’è il timore di Lui. Lo Spirito Santo dice che non vi è cosa migliore del timore di Dio: Nihil melius est quam timor Domini (Eccl 23, 37); lo chiama fonte di vita: Timor Domini fons vitae (Prov 14, 27); giubilo e letizia: Timor Domini gloria, gloriatio et laetitia et corona exultationis! (Eccl 1, 11).
E’ questo timore di Dio che ci spinge a riconoscere la mano divina nei tragici eventi del nostro tempo e a disporci con tranquillo coraggio alla lotta.
15 Ivi, pp. 340-350.
16 Ivi, p. 341.
17 Henri-Marie Boudon, La dévotion aux saints Anges, Clovis, Cobdé-sur-Noireau 1985, p. 265.