(Continua dal numero precedente)
IL CAVALIERE, LA MORTE E IL DIAVOLO
Il cavaliere, la morte e il diavolo è un’incisione su lastra di rame di Albrecht Dürer, realizzata nel 1513. L’opera raffigura un cavaliere, con un elmo sul capo e armato di spada e di lancia, che cavalca su di un maestoso destriero, sfidando la morte, che gli mostra una clessidra col tempo della vita che fugge, e il diavolo, raffigurato come un animale cornuto che impugna un’alabarda.
Plinio Corrêa de Oliveira, in un articolo pubblicato sulla rivista Catolicismo quasi settant’anni fa, nel febbraio del 1951, evocava quest’immagine per evocare lo scontro tra la Rivoluzione che non può retrocedere, e la Chiesa che, nonostante tutto, non è riuscita a vincere.
Egli scriveva: “La guerra, la morte e il peccato si apprestano a devastare nuovamente il mondo, questa volta in proporzioni maggiori che mai. Nel 1513 il talento incomparabile di Dürer li rappresentò sotto forma di un cavaliere che parte per la guerra, completamente rivestito dell’armatura e accompagnato dalla morte e dal peccato, quest’ultimo rappresentato da un unicorno. L’Europa, già allora immersa negli sconvolgimenti che precedettero la Pseudo-Riforma, si avviava verso l’età tragica delle guerre religiose, politiche e sociali che il protestantesimo scatenò.
La prossima guerra, senza essere esplicitamente e direttamente una guerra di religione, toccherà in modo tale i più sacri interessi della Chiesa che un vero cattolico non può fare a meno di vedere in essa principalmente l’aspetto religioso. E la strage che si scatenerà sarà per certo incomparabilmente più devastante di quelle dei secoli scorsi.
Chi vincerà? La Chiesa?
Le nubi che abbiamo davanti non sono rosee. Ma ci anima una certezza invincibile e cioè che non solo la Chiesa — com’è ovvio, data la promessa divina — non scomparirà, ma che otterrà ai nostri giorni un trionfo maggiore di quello di Lepanto.
Come? Quando? Il futuro appartiene a Dio. Molte cause di tristezza e di apprensione si parano davanti a noi, perfino nel guardare alcuni fratelli nella fede. Nel calore della lotta è possibile e perfino probabile che vi siano terribili defezioni. Ma è assolutamente certo che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa mirabili e indomabili energie spirituali di fede, purezza, ubbidienza e dedizione che al momento opportuno copriranno ancora una volta di gloria il nome cristiano.”
Plinio Corrêa de Oliveira, concludeva il suo articolo con la speranza che il secolo XX sarebbe stato “non soltanto il secolo della grande lotta, ma soprattutto il secolo dell’immenso trionfo”. Ci facciamo eco di questa speranza che estendiamo al secolo XXI, il nostro secolo, l’epoca del coronavirus, e di nuove tragedie, ma anche il tempo di una rinnovata fiducia nella promessa di Fatima. Una fiducia che vogliamo esprimere con le parole che papa Pio XII rivolgeva all’Azione Cattolica nel 1948:
“Voi conoscete, diletti figli, i misteriosi cavalieri di cui parla l’Apocalisse. Il secondo, il terzo e il quarto sono la guerra, la fame e la morte. Chi è il primo cavaliere sul bianco destriero? « Su questo sedeva uno che aveva un arco, e fu data a lui una corona ed egli uscì da vincitore » (6, 2). È Gesù Cristo. Il veggente Evangelista non mirò soltanto le rovine cagionate dal peccato, guerra, fame e morte; egli vide anche in primo luogo la vittoria di Cristo. Ed invero il cammino della Chiesa attraverso i secoli è bensì una via crucis, ma è anche in ogni tempo una marcia di trionfo. La Chiesa di Cristo, gli uomini della fede e dell’amore cristiano, sono sempre quelli che alla umanità senza speranza portano la luce, la redenzione e la pace. Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula (Hebr. 13, 8). Cristo è la vostra guida, di vittoria in vittoria. Seguitelo”20 .
20 Pio XII, Discorso del 12 settembre 1948 alla Gioventù di Azione cattolica, Discorsi e Radiomessaggi, X (1948-1949), p. 212. Rome Life Forum